"Quello che tu erediti dai tuoi
padri, riguadagnatelo, per possederlo".
Il testo dell'intervento dedicato al
tema del Meeting di S. Ecc. Mons. Pierbattista Pizzaballa, amministratore
apostolico del Patriarcato Latino di Gerusalemme
Introduzione
Ringrazio ancora una volta gli organizzatori del Meeting, di questo grande e importante momento per la vita della Chiesa in Italia, per avermi invitato e per avermi così ancora una volta costretto a fissare per iscritto alcune considerazioni riguardo al nostro tempo che tra amici si andava facendo, lasciando però tali considerazioni sempre un po’ sospese e/o rimandate ad ulteriori approfondimenti.
Ribadisco a voi quello che ho già detto a suo tempo a chi mi ha invitato. Non sono un esperto di questioni sociali, ecclesiali, teologiche per non parlare di quelle politiche e di altro genere. Sono solo un credente, ora con la responsabilità di una Chiesa, che con serenità si interroga e cerca di capire, di cogliere e dare un senso a quanto accade attorno a lui. Mi sento un po’ a disagio, perciò, in un contesto così prestigioso, per parlare di argomenti così grandi. Vi prego dunque di accogliere con la stessa libertà e serenità ciò che cercherò di esprimere in questo incontro.
Premetto subito che anche io, come molti, ho più domande che risposte. Ci sono domande che non riesco a sciogliere completamente, a decifrare e analizzare, definire. Non so dare forma precisa alle tante intuizioni e sollecitazioni che questo tempo sta presentando. Per spiegare cosa intendo, mi rifaccio alla scheda di presentazione del titolo del Meeting, che solleva alcune di tali domande del nostro tempo e che interrogano la mia coscienza di credente cristiano e anche la mia Chiesa: siamo nel tempo della post-verità, del pensiero liquido, del tutto-e-subito; il tempo nel quale si deve vivere il presente e basta, dove i progetti sono sempre a breve termine, dove il "per sempre" non si concepisce, dove bisogna essere una sorta di genitori di se stessi. È un tempo, insomma, in cui siamo persi nel frammento, in tutti i contesti di vita. Non c’è posto per Dio e sappiamo che, dove Dio è assente, anche l’idea di uomo e del mondo cambia radicalmente.
Ma anche nella nostra realtà di Chiesa penso vi siano fenomeni simili e su questo mi sento particolarmente interpellato, soprattutto ora che di una Chiesa sono pastore: siamo nel periodo (almeno per quanto riguarda il mondo occidentale) chiamato post-cristiano. Nemmeno anticristiano, ma post. Il pensiero cristiano che per secoli e generazioni ci ha accompagnato in un modo o nell’altro non è più all’origine del pensiero comune. Non dico nell’ambito scientifico e accademico culturale. In quel contesto il fenomeno era noto. Ce lo ricorda anche Paolo VI nella sua Evangelii nuntiandi: «La rottura tra Vangelo e cultura è senza dubbio il dramma della nostra epoca» (21). Anche nella vita sociale comune, tuttavia, assistiamo ad un cambiamento radicale. Per essere breve: non vi è più stata la trasmissione della fede nelle famiglie. Il resto è venuto da sé.
Il cristianesimo occidentale, poi, che per secoli è stato al centro della formazione nella Chiesa, almeno di quella cattolica, oggi non sembra più essere così determinante nella vita della Chiesa universale.
Insomma, siamo dentro ad un cambiamento epocale, in forza del quale società, cultura, religione, umanesimo eccetera non sono e non saranno più letti e vissuti secondo i parametri ai quali siamo abituati.
Questo scenario problematico non riguarda solo l’Occidente post-cristiano. Un po’ in tutti i contesti, come dicevo, ci troviamo di fronte a cambiamenti che hanno dinamiche simili. Anche dove vivo, in Medio Oriente, tutto cambia. Lì sono stati soprattutto (ma non solo) i conflitti a distruggere il tessuto sociale, culturale e religioso e a spazzare via quella continuità generazionale nella trasmissione della fede. L’antica coesistenza dei diversi popoli, distinti tra loro dalle diverse appartenenze religiose e identitarie, già indebolita lungo il ‘900 dalle dittature arabe, è saltata definitivamente in questi ultimi anni e tutto ora è da ricostruire, ma non si sa come e con quali criteri. Il senso di appartenenza ad una comunità religiosa e comunitaria, oggi, non basta più a sostenere le comunità cristiane che, per questa ragione, poco alla volta si allontanano.
Ringrazio ancora una volta gli organizzatori del Meeting, di questo grande e importante momento per la vita della Chiesa in Italia, per avermi invitato e per avermi così ancora una volta costretto a fissare per iscritto alcune considerazioni riguardo al nostro tempo che tra amici si andava facendo, lasciando però tali considerazioni sempre un po’ sospese e/o rimandate ad ulteriori approfondimenti.
Ribadisco a voi quello che ho già detto a suo tempo a chi mi ha invitato. Non sono un esperto di questioni sociali, ecclesiali, teologiche per non parlare di quelle politiche e di altro genere. Sono solo un credente, ora con la responsabilità di una Chiesa, che con serenità si interroga e cerca di capire, di cogliere e dare un senso a quanto accade attorno a lui. Mi sento un po’ a disagio, perciò, in un contesto così prestigioso, per parlare di argomenti così grandi. Vi prego dunque di accogliere con la stessa libertà e serenità ciò che cercherò di esprimere in questo incontro.
Premetto subito che anche io, come molti, ho più domande che risposte. Ci sono domande che non riesco a sciogliere completamente, a decifrare e analizzare, definire. Non so dare forma precisa alle tante intuizioni e sollecitazioni che questo tempo sta presentando. Per spiegare cosa intendo, mi rifaccio alla scheda di presentazione del titolo del Meeting, che solleva alcune di tali domande del nostro tempo e che interrogano la mia coscienza di credente cristiano e anche la mia Chiesa: siamo nel tempo della post-verità, del pensiero liquido, del tutto-e-subito; il tempo nel quale si deve vivere il presente e basta, dove i progetti sono sempre a breve termine, dove il "per sempre" non si concepisce, dove bisogna essere una sorta di genitori di se stessi. È un tempo, insomma, in cui siamo persi nel frammento, in tutti i contesti di vita. Non c’è posto per Dio e sappiamo che, dove Dio è assente, anche l’idea di uomo e del mondo cambia radicalmente.
Ma anche nella nostra realtà di Chiesa penso vi siano fenomeni simili e su questo mi sento particolarmente interpellato, soprattutto ora che di una Chiesa sono pastore: siamo nel periodo (almeno per quanto riguarda il mondo occidentale) chiamato post-cristiano. Nemmeno anticristiano, ma post. Il pensiero cristiano che per secoli e generazioni ci ha accompagnato in un modo o nell’altro non è più all’origine del pensiero comune. Non dico nell’ambito scientifico e accademico culturale. In quel contesto il fenomeno era noto. Ce lo ricorda anche Paolo VI nella sua Evangelii nuntiandi: «La rottura tra Vangelo e cultura è senza dubbio il dramma della nostra epoca» (21). Anche nella vita sociale comune, tuttavia, assistiamo ad un cambiamento radicale. Per essere breve: non vi è più stata la trasmissione della fede nelle famiglie. Il resto è venuto da sé.
Il cristianesimo occidentale, poi, che per secoli è stato al centro della formazione nella Chiesa, almeno di quella cattolica, oggi non sembra più essere così determinante nella vita della Chiesa universale.
Insomma, siamo dentro ad un cambiamento epocale, in forza del quale società, cultura, religione, umanesimo eccetera non sono e non saranno più letti e vissuti secondo i parametri ai quali siamo abituati.
Questo scenario problematico non riguarda solo l’Occidente post-cristiano. Un po’ in tutti i contesti, come dicevo, ci troviamo di fronte a cambiamenti che hanno dinamiche simili. Anche dove vivo, in Medio Oriente, tutto cambia. Lì sono stati soprattutto (ma non solo) i conflitti a distruggere il tessuto sociale, culturale e religioso e a spazzare via quella continuità generazionale nella trasmissione della fede. L’antica coesistenza dei diversi popoli, distinti tra loro dalle diverse appartenenze religiose e identitarie, già indebolita lungo il ‘900 dalle dittature arabe, è saltata definitivamente in questi ultimi anni e tutto ora è da ricostruire, ma non si sa come e con quali criteri. Il senso di appartenenza ad una comunità religiosa e comunitaria, oggi, non basta più a sostenere le comunità cristiane che, per questa ragione, poco alla volta si allontanano.
1. Riappropriarsi
della "tradizione"
Insomma, come si può intuire da questi asistematici, superficiali accenni, lo scenario che ci si presenta dinanzi è di una complessità tale, da scoraggiare chiunque voglia fare sintesi. Forse l’errore sarebbe proprio questo: volere a tutti i costi costringere in una definizione unitaria la complessità del nostro tempo, tentare di trovare, per così dire la formula capace di esprimere lo status quo. Alcuni ci hanno provato: pensiero debole (Vattimo), società liquida (Bauman)... Ma tali espressioni, pur molto acute, riescono ad esaurire la complessità, diciamo pure il disordine, di questi anni? Forse è bene accettare, con umiltà, di non avere ancora la chiave per unificare e sistematizzare i vari fenomeni cui si faceva accenno e risolversi ad imparare a vivere dentro questa complessità e le sue domande, con uno stile cristiano. Questa penso sarà la risposta da dare: capire quale sarà lo stile che ci deve caratterizzare. Come stare/abitare in questo nuovo modello sociale, più che chiedersi cosa porre di fronte ad esso, perché il cosa è lo stesso di sempre. È Cristo Via, Verità e Vita, incarnato e testimoniato in secoli e generazioni di credenti e che ancora oggi attende testimoni che, nel linguaggio di oggi, siano capaci di renderlo ancora Via, Verità e Vita.
La domanda allora diventa: in quanto credenti, come dobbiamo pensare il nostro rapporto con quella realtà alla quale diamo il nome di “tradizione”?
Insomma, come si può intuire da questi asistematici, superficiali accenni, lo scenario che ci si presenta dinanzi è di una complessità tale, da scoraggiare chiunque voglia fare sintesi. Forse l’errore sarebbe proprio questo: volere a tutti i costi costringere in una definizione unitaria la complessità del nostro tempo, tentare di trovare, per così dire la formula capace di esprimere lo status quo. Alcuni ci hanno provato: pensiero debole (Vattimo), società liquida (Bauman)... Ma tali espressioni, pur molto acute, riescono ad esaurire la complessità, diciamo pure il disordine, di questi anni? Forse è bene accettare, con umiltà, di non avere ancora la chiave per unificare e sistematizzare i vari fenomeni cui si faceva accenno e risolversi ad imparare a vivere dentro questa complessità e le sue domande, con uno stile cristiano. Questa penso sarà la risposta da dare: capire quale sarà lo stile che ci deve caratterizzare. Come stare/abitare in questo nuovo modello sociale, più che chiedersi cosa porre di fronte ad esso, perché il cosa è lo stesso di sempre. È Cristo Via, Verità e Vita, incarnato e testimoniato in secoli e generazioni di credenti e che ancora oggi attende testimoni che, nel linguaggio di oggi, siano capaci di renderlo ancora Via, Verità e Vita.
La domanda allora diventa: in quanto credenti, come dobbiamo pensare il nostro rapporto con quella realtà alla quale diamo il nome di “tradizione”?