lunedì 28 gennaio 2019

LUCAS CI FA RIVIVERE IL VANGELO



In un mondo dove le parole sono troppe. In una chiesa dove le parole a volte soffocano Gesù Cristo. Per una gioventù che spesso perde la rotta. Per una vita che chiede sempre più risposte sul senso… a volte basta un immagine.
Questa è stata scattata da Carlos Yap, un appassionato di foto e video. Ha colto l’attimo in cui il giovane disabile Lucas viene innalzato dai suoi amici mentre passa Papa Francesco mercoledì 23 gennaio, durante lo spostamento dall’aeroporto internazionale di Tocumen alla Nunziatura Apostolica, dopo essere arrivato a Panama per partecipare alla Giornata Mondiale della Gioventù (Gmg).
Lucas soffre di una paralisi che gli impedisce di camminare, parlare e muovere una delle sue mani. Ma Lucas, come ha dichiarato la madre a Cna ha avuto da “Dio altri doni”. 
Tra cui anche i suoi amici che in un attimo hanno fatto rivivere qualcosa di simile ai fatti evangelici del paralitico calato dal tetto dagli amici per porlo davanti a Gesù.

domenica 27 gennaio 2019

LA MEMORIA E LA REDENZIONE


ANGELUS NOVUS
PAUL KLEE E WALTER BENJAMIN


C’è un quadro di Klee che s’intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in procinto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, e le ali distese.

L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira  dal paradiso, che si è impigliata  nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle.

Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine cresce davanti a lui al cielo.

Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta.

Così Walter Benjamin interpreta la celebra tela del pittore Paul Klee. In queste parole, Benjamin esplica la sua visione messianica della storia, l’attesa perpetuamente insoddisfatta di una rendezione avvenire, mentre l’uomo viene trascinato via suo malgrado dal tempo e dal progresso, lasciandosi alle spalle le tragedie e gli orrori di cui l’umanità è stata capace, avendo seminato morte e distruzione ad ognuno dei suoi passi.

Per questo l’Angelo di Klee guarda angosciato il passato, mentre il vento (il tempo) lo spinge via, quando vorrebbe restare tra quelle vittime per tenerle strette a sé, per garantire ad esse un significato di qualche tipo.
Oggi l’unica redenzione possibile è quella offerta dalla memoria: a partire dallo sguardo sconvolto dall’orrore dell’Angelus di Klee, ci è offerta l’occasione di cogliere, nel turbinio incessante e frenetico della modernità, dei momenti capaci di illuminare di una luce differente ciò che invece ci sfugge repentinamente nella vita quotidiana. Serbando il ricordo delle vittime, dell’insensatezza della loro sconfitta e delle loro sofferenze, si può riscattare la Storia e la cultura dalle macerie del passato e dalle catastrofi che ci circondano, e ,attraverso le circostanze che il presente ci offre, metterci in attesa dell’avvento del Redentore.





giovedì 24 gennaio 2019

UOMINI GIUSTI AI POSTI GIUSTI


UOMINI GIUSTI AI POSTI GIUSTI

 ALDO MARIA VALLI

       Buongiorno e ben trovati. L’uomo giusto al posto giusto con il quale partiamo è un cardinale: Roger Michael Mahony, arcivescovo emerito di Los Angeles, che fra due mesi parlerà al Los Angeles Religious Education Congress, il più grande congresso cattolico americano, che ogni anno si rivolge a giovani e adulti affrontando temi relativi all’educazione religiosa.

È previsto che sua eminenza terrà una conferenza rivolta agli studenti delle scuole medie e superiori, ma perché diciamo che Mahony è uomo giusto al posto giusto? Perché, come qualche lettore ricorderà, il porporato sei anni fa fu sollevato da tutti gli incarichi dopo essere stato riconosciuto colpevole di aver insabbiato centoventinove casi di abusi sessuali commessi da preti della sua diocesi.
Lo scandalo fu tale, e le polemiche così roventi, che all’epoca un movimento cattolico statunitense, Catholics United, chiese apertamente a Mahony, attraverso una petizione, di rinunciare al conclave del marzo 2013, dal quale sarebbe poi uscito papa Jorge Mario Bergoglio. Ma Mahony partì comunque per Roma ed entrò in conclave.
«Se un cardinale è privato di ogni ruolo pubblico nella diocesi, perché dovrebbe essere premiato con la possibilità di votare per la scelta del prossimo papa?», si chiesero gli aderenti a Chatolics United. E la domanda potrebbe essere attualizzata così: se un pastore ha già dato prova di non saper guidare bene il suo gregge, tanto da meritare di essere privato delle responsabilità decisionali, con quale autorità ora può rivolgersi a un pubblico di fedeli cattolici su temi relativi all’educazione religiosa?
Occorre ricordare, fra l’altro, che l’arcidiocesi di Los Angeles fu costretta a pagare 9,9 milioni di dollari come risarcimento per quattro casi di abusi commessi da un parroco, Michael Baker, che confessò i suoi crimini a Mahony, ma quest’ultimo, pur mandando Baker dallo psicologo, lo reintegrò nel suo ruolo, permettendo al parroco di tornare a molestare minori.
Ma al congresso cattolico di Los Angeles ci sarà un’altra presenza che ci permette di parlare di uomo giusto al posto giusto. Ci riferiamo al padre Daniel Horan, francescano e attivista pro-gay, da anni in prima linea nel sostenere la causa delle cosiddette comunità Lgbt e dei movimenti femministi.

Assistente di teologia sistematica e spiritualità alla Catholic Theological Union di Chicago, Horan scrive per il National Catholic Reporter e anni fa, quando la Corte suprema degli Stati Uniti annullò la legge che bandiva il matrimonio omosessuale, disse che la sentenza non rovinava in alcun modo le fondamenta della società e parlò di «passo avanti verso la garanzia che tutti gli esseri umani negli Stati Uniti vengano trattati alla pari» .
Un’autentica «disgrazia per il sacerdozio»: così alcuni cattolici americani hanno giudicato Horan, sempre pronto a prendere posizioni antitetiche al cattolicesimo e a unirsi a coloro che vorrebbero distruggere la Chiesa.
Bene. Concludiamo con il nostro terzo uomo giusto al posto giusto di oggi, che è un altro cardinale: Vincent Nichols di Westminster, a Londra, il quale nella festa del Battesimo del Signore ha presieduto una «Messa di benvenuto ai cattolici Lgbt». La celebrazione si è svolta nella chiesa dei gesuiti di Farm Street (che ospita il consiglio pastorale Lgbt dei cattolici di Westminster, voluto dal cardinale) e, come spiegal’agenzia Indipendent Catholic News, Nichols nella sua omelia ha detto che la parola «famiglia» include «molti e diversi modelli».
Inoltre secondo il cardinale l’identità che il cristiano riceve con il battesimo trascende tutte le altre, comprese quelle di uomo e donna. Ma da umili ignoranti ci chiediamo: da qualche parte non sta scritto che Dio «li creò maschio e femmina»?
Infine, non contento (o forse già pregustando la nomina a uomo giusto al posto giusto?), sua eminenza Nichols dopo la Santa Messa ha elogiato  i cattolici Lgbt di Westminster «non solo come individui che vengono accolti, ma come comunità identificabile che è di casa nella Chiesa».
Alla prossima!
Aldo Maria Valli


ABORTO FINO ALLA NASCITA, I DEM USA CELEBRANO LA LORO FOLLIA



Lo Stato di New York, dove sono in netta maggioranza i democratici, ha approvato una legge che stravolge i concetti di «omicidio» e «persona» e consente di abortire fino al 9° mese di gravidanza, anche in assenza di un medico. A legge approvata si è sentita una voce gridare in aula: «Possa Dio avere pietà di questo Stato!».

Martedì 22 gennaio era il 46°, nefasto, anniversario della Roe contro Wade, la sentenza della Corte suprema che nel 1973 ha liberalizzato l’aborto in tutti gli Stati Uniti, fondata tra l’altro su una campagna menzognera fino all’ennesima potenza, come ammise Norma Leah McCorvey (vero nome della «Jane Roe» protagonista della sentenza), la donna usata da due giovani avvocate che volevano «fare la storia» e che tempo dopo si convertì attraversando l’America in difesa dei nascituri. A 46 anni di distanza da quel verdetto che ha causato l’uccisione, con l’avallo della giustizia umana, di milioni di bambini negli Usa e dato la spinta all’ulteriore diffusione di una mentalità mortifera nel mondo, il parlamento dello Stato di New York ha approvato una legge che consente praticamente di abortire fino al nono mese di gravidanza.
La legge, dopo alcune modifiche votate dall’Assemblea, è stata approvata dal Senato dello Stato americano con un voto di 38-24, passando con una facilità disarmante per la netta maggioranza dei democratici in entrambe le camere, effetto delle ultime elezioni di novembre. Qualche istante dopo la votazione finale - come ha riferito Karen DeWitt, cronista di una radio newyorchese - in aula si è sentita una voce gridare: «Possa Dio Onnipotente avere pietà di questo Stato!».
Il Reproductive Health Act (RHA) votato dai democraticifortemente voluto dal governatore Andrew Cuomo (che ha apposto la sua firma nella stessa giornata) e dal suo sponsor Hillary Clinton, modifica dopo quasi 13 anni di tentativi andati a vuoto la già radicale legislazione dello Stato di New York (la soppressione del bambino in grembo era già consentita fino alla 24^ settimana), dove l’aborto era stato introdotto fin dal 1970, quindi tre anni prima della Roe contro Wade, uno dei pochi Stati in cui la classe politica aveva anticipato la svolta, nel male, impressa dalla Corte suprema.
L’RHA esordisce definendo la «salute riproduttiva onnicomprensiva» (espressione che per gli estensori della legge include la contraccezione e l’aborto) «un elemento fondamentale» per la «salute, la privacy e l’uguaglianza» di ogni individuo. Dopo aver affermato il «diritto» alla sterilizzazione, il testo dell’RHA prosegue in un crescendo diabolico, avallando l’indifferenza morale tra due scelte opposte: «Ogni persona [il testo usa per la precisione il più generico «individual», e non «woman», il che si può leggere come un inchino all’ideologia transessualista, ndr] che rimane incinta, ha il diritto fondamentale di scegliere se portare avanti la gravidanza, fare nascere un bambino o avere un aborto». La nuova legge afferma in breve che un bene oggettivo - dare la vita - è equivalente per lo Stato di New York al suo perfetto contrario: un male oggettivo e radicale, come uccidere l’innocente. Le tenebre più fitte, insomma.

mercoledì 23 gennaio 2019

AI CONFINI DELLA REALTA’


Lino Banfi all’Unesco!
A questo punto tutto è possibile:sono cose che capitano quando il Truman Show si impadronisce della politica!
Il vicepremier Luigi Di Maio  questa mattina, con il Premier Conte e i big del movimento, ha comunicato che Lino Banfi farà parte dell’Assemblea della Commissione nazionale italiana per l’Unesco. L’attore pugliese va a sostituire Folco Quilici, scomparso il 24 febbraio del 2018, che ricopriva il ruolo di referente per la comunicazione
Lino Banfi, entusiasta, dopo aver detto in perfetto pugliese stretto“porca puttena”, ci ha offerto uno squarcio importante sulla formazione di Di Maio: "Luigi mi disse: 'Conosco i tuoi film a memoria, interrogami'. Questo spiega molte cose sul governo, si comincia finalmente a capire che la Bizona, una delle inimitabili idee calcistiche dell'allenatore Oronzo Canà, assieme  allo schema leggendario del 5-5-5, è una delle strategie di Palazzo Chigi, e in particolare il modello al quale si sono ispirati per disegnare il reddito di cittadinanza, e dunque  ogni sforzo è vano, perché non torneranno mai i conti.

Sì, lo sappiamo, dovremmo forse prendere sul serio tutta la questione, assumere un tono grave, imparruccato e accigliato, e tuonare contro la mortificazione della cultura, dello studio, chiedere un editoriale a Saviano, far intervenire Galli della Loggia e intervistare in diretta un profondo e sospirante dottor Crepet, ma c'è il serio rischio di finire nell'opposto ridicolo di questa storia.  

In ogni caso però l’Unesco è l’organizzazione Onu per la scienza, la cultura e l’educazione, che per quanto svilita da quello che ha fatto in passato, è pur sempre un organismo non solo decorativo. Per farne parte bisogna essere preparati sul serio, conoscere le lingue, fra le quali il pugliese non è previsto. Non basta “portare un sorriso ovunque”, come ha detto il comico pugliese, che ha aggiunto, forse per mantenere fede al suo ruolo, che vuole i nonni italiani “patrimonio dell’Unesco”.

Allora non lo prendiamo sul serio, ma ci poniamo un quesito:  Perché Nonno Libero? Ma perché ogni mattina, in Italia, come sorge il sole, Di Maio si sveglia e sa che dovrà correre più di Salvini o morirà di fame.

UNA CAMPAGNA DI ODIO E DI DIFFAMAZIONE ANTICRISTIANA IN AMERICA


DOPO LA MARCIA PER LA VITA A WASHINGTON, D.C.
 vedi il video nel post del CROCEVIA precedente

Qui se ne è parlato poco, ma qualche giorno fa negli Stati Uniti è successa una cosa che dovrebbe interessare anche noi. Un gruppo di studenti di una scuola cattolica di Covington (Kentucky) che avevano partecipato  alla Marcia per la Vita tenutasi il 18 gennaio scorso a Washington (una cosa imponente, oltre 200.000
persone, pressoché ignorate dai grandi media naturalmente ), sono stati fatti oggetto – sull'unica base di un video circolato in rete, in cui si vedeva un anziano native american che suonava un tamburo davanti ad alcuni di loro che sembravano ridere di lui – di una gigantesca  campagna di odio e di diffamazione promossa dal sistema mediatico statunitense, in massima parte dominato da un'ideologia ormai apertamente ostile al cristianesimo.
Accusati di razzismo, coperti di infamia, minacciati di ogni sorta di sanzioni, in breve apertamente e spudoratamente perseguitati, questi ragazzi (dei minorenni, non dimentichiamolo), sono invece risultati ben presto le vittime di una mostruosa montatura, che per fortuna in questo caso è miseramente crollata nel giro di pochi giorni.
Nick Samdmann col berrettino trumpiano
che ha scatenato l'odio ideologico
 Sono saltate fuori documentazioni filmate inoppugnabili, da cui emerge che: a) che i ragazzi della scuola cattolica non stavano facendo nulla di male, ma aspettavano tranquillamente i pullman per tornare a casa; b) che era stato invece un gruppo di Black Hebrew Israelites ad aggredirli verbalmente con pesanti insulti, quelli sì razzisti ,a cui i ragazzi avevano risposto molto civilmente limitandosi a cantare alcune canzoni della loro scuola; c) che il nativo americano del primo video era andato di sua iniziativa a provocare gli studenti (un vecchio che provoca dei ragazzini!) suonandogli il tamburo a poche centimetri dalla faccia, ed anche in questo caso la reazione, in particolare quella del ragazzo ripreso in primo piano nel video che ha innescato il caso mediatico – ragazzo che è stato messo alla gogna con nome e cognome e minacciato (ripeto: un minorenne!) – non può che definirsi corretta, se non addirittura esemplare.
Il diavolo – che qui è obbligatorio citare, perché quell'ideologia è davvero satanica – fa le pentole e (non sempre) i coperchi: la verità è venuta a galla quasi subito e, dei tanti (quasi tutti, bisogna dire, di qualsiasi parte e schieramento) che erano subito saltati addosso ai Covington kids, molti (ma non tutti!) hanno dovuto ritrattare e chiedere scusa.
Scandalizza che non lo abbia fatto il loro vescovo, almeno stando a ciò che si può leggere qui: https://www.lifesitenews.com/news/covington-bishop-continues-to-condemn-catholic-students-despite-videos-prov
Se il sale perde il sapore, a che serve?
Se il sale perde il sapore, a che serve? A che serve una chiesa terrorizzata dall’ideologia dominante e sempre pronta a prender per buono quel che il sistema mediatico spaccia?
P.S. Qui si può leggere un’onesta ammissione di colpa e una descrizione del comportamento schifoso di giornalisti e personalità pubbliche in questa vicenda: https://catholicherald.co.uk/commentandblogs/2019/01/22/dear-covington-boys-everyone-failed-you/?platform=hootsuite.
Sottolineo un particolare: gli incolpevoli ragazzi della scuola cattolica di Covington sono tuttora sotto la concreta minaccia di subire ritorsioni nella loro vita privata (ad esempio per quanto riguarda il loro futuro accesso all’università).
LEONARDO LUGARESI

Covington Kids
Nota: Il vescovo cattolico della diocesi di Covington (Kentucky) Mons. Roger Joseph Foys ha scritto una lettera di condanna contro gli studenti cattolici della sua diocesi che sono stati al centro di una tempesta di media questo fine settimana con accuse che si sono rivelate false e diffamatorie, davanti al Lincoln Memorial di Washington, DC 
"Condanniamo le azioni degli studenti della High School cattolica di Covington nei confronti di Nathan Phillips in particolare, e dei nativi americani in generale, il 18 gennaio, dopo la Marcia per la vita, a Washington, DC".  Il vescovo e l'amministrazione scolastica hanno affermato che la questione è "indagata". Hanno aggiunto che avrebbero "preso le misure appropriate, fino all'espulsione inclusa".

domenica 20 gennaio 2019

DOVERI POLITICI DEL CITTADINO

don Luigi Sturzo

I diritti dell’uomo e del cittadino sono più noti dei doveri; se non altro, se ne parla di più, e si fanno valere con maggiore efficacia. Ma dei doveri non si ha un’idea chiara, al di là di quelli di obbedire alle leggi e di pagare le tasse, cosa di cui molti farebbero volentieri a meno, se non ci fossero multe e prigioni. Questo mio foglio è diretto ai credenti, non perché essi abbiano più doveri di ogni altro cittadino, ma perché essi per la loro fede sono convinti che l’adempimento dei doveri verso il prossimo è allo stesso tempo un atto di ubbidienza e di onore verso Dio. Essi quindi, per i loro principi, danno (o debbono dare) ai doveri politici un significato etico-religioso che altri non dà o non sa dare.

Rapporto fra diritti e doveri

Una delle idee che occorre inculcare nella mente dei giovani è che diritti e doveri sono correlativi; non si dà un diritto senza un dovere corrispondente. L’operaio ha il diritto al giusto salario, ma ha il dovere di far il lavoro bene: le qualità di giusto per il salario e di buono per il lavoro sono anch’esse correlative, perché inerenti al rapporto economico, che implica un rapporto morale.

Il cittadino ha il diritto di essere governato bene, secondo le tradizioni e mezzi che ha un Paese; ma ha il dovere di inviare ai posti pubblici elettivi persone moralmente integre e politicamente preparate. Per questa corrispondenza interiore e razionale fra diritto politico e dovere civico si crea un rapporto fra il cittadino e la società (Municipio, Regione, Stato, Federazione di Stati e Organizzazione Internazionale) che, secondo gli aspetti etici che prende, può caratterizzarsi rapporto di giustizia o rapporto di carità.

Ho più volte ricordato nei miei scritti che Pio XI, ricevendo un gruppo di giovani belgi, disse loro che la politica è una forma di carità del prossimo. Per coloro che stimano la politica una cosa sporca e che parlano dei politicanti come di gente moralmente dubbia, la frase di Pio XI dovette essere una sorpresa. Ma i cristiani che riflettono sui loro doveri sociali debbono ringraziare quel papa che disse una così coraggiosa parola ad un mondo che si trova sotto l’incubo di una politica a-morale, che nel fatto diviene spesso politica immorale: la politica è un atto di carità del prossimo.

Ma non basta; il moralista trova che ci sono certe attività politiche che appartengono alla virtù della giustizia; il che costituisce un rapporto etico più stretto. Basta accennare ai doveri del servizio pubblico per il quale i cittadini eletti o nominati hanno un compenso sull’erario. Ma anche coloro che ricevono un mandato volontario, con salario a titolo di indennità – il Presidente, i senatori, i deputati, i consiglieri e così via – debbono rispondere secondo giustizia degli atti della loro amministrazione verso il popolo che li ha eletti e verso l’ente ch’essi rappresentano. Anche coloro che non ricevono alcuna indennità dalle amministrazioni ed hanno assunto gratuitamente il dovere di un servizio pubblico, non solo hanno l’obbligo di mantenere la promessa, ma debbono rispondere della gestione loro affidata.
Ancora un passo: possiamo dire che l’elettore va a votare solo per adempiere ad un dovere di carità verso la società di cui egli fa parte? Forse che egli non riceve dalla società la garanzia della sua libertà, il mantenimento dell’ordine sociale per cui egli possa vivere da uomo libero? Non c’è forse un rapporto etico fra il cittadino e la società nel suo complesso? E se l’elettore, invece di dare il voto a una persona onesta e capace, lo dà, coscientemente, al disonesto o all’incapace – che perciò recherà danno alla pubblica amministrazione e perfino profitterà del posto a scopi privati – non ha mancato ad un suo dovere?

Lasciamo ai moralisti di rivedere la terminologia corrente, fissare dove nella vita pubblica finisce la carità e comincia la giustizia, definire le varie classificazioni o qualificazioni della giustizia, precisare quegli atti che hanno per effetto l’obbligo del risarcimento dei danni o della compensazione sia pure semplicemente civica o politica, e perfino della riparazione dello scandalo da parte dei pubblici ufficiali e dei capi di amministrazione.
Il problema della moralità nella vita pubblica tende ad abbracciare la maggior parte dell’attività umana, interferendo sempre più intensamente nella vita delle relazioni individuali e dei nuclei locali; e in quanto dall’altro lato, in regime democratico, tutti i cittadini maggiorenni, uomini e donne, sono interessati nella funzionalità amministrativa e politica del Paese.
Il rapporto fra diritti e doveri deve tenersi come fondamentale per la morale individuale e pubblica, riflettendo che quanto più essenziali, inalienabili e numerosi sono i diritti, tanto più obbligatori e pieni di responsabilità sono i corrispettivi doveri. Quando i regimi politici erano basati sull’assolutismo dei monarchi e la cooperazione delle aristocrazie, le classi medie o borghesi reclamarono i diritti politici e li ebbero. L’accento era posto sul termine “diritti” perché una gran parte di cittadini ne erano privi. Ma quando costoro cominciarono a usare dei diritti che loro spettavano, sentirono che i loro doveri erano correlativamente aumentati e le loro responsabilità aggravate. Lo stesso a dirsi oggi di tutti i cittadini uomini e donne, divenuti elettori ed elettrici.
Se ora sono molti quelli che non curano l’esercizio dei diritti politici che loro competono e non si danno pensiero dei correlativi doveri, è che i vecchi ideali di libertà del secolo scorso vanno svanendo di fronte a nuove schiavitù create nel mondo; ma anche perché il sentimento del dovere di partecipare alla vita pubblica, per il bene comune, è poco radicato nelle convinzioni e nelle abitudini anche dei buoni, anche dei fedeli cristiani. Se l’azione politica appartiene alla virtù dell’amore del prossimo, e in molti suoi atti implica il rapporto di giustizia, l’opposto che nega tale amore (e spesso causa la negazione della giustizia) è proprio l’egoismo.

Egoismo e vita pubblica

Se un vero cristiano ha il dovere di partecipare alla vita pubblica del suo Paese, egli non può portare spirito di egoismo, ma spirito di amore. È il punto di differenziazione fra coloro che fanno la politica a loro vantaggio e coloro che la fanno a vantaggio della comunità.

MONS. GIAMPAOLO CREPALDI: C’È UN DIRITTO AD EMIGRARE, NON C’È UN DIRITTO ASSOLUTO AD IMMIGRARE


Accogliere e integrare può essere l’obiettivo della politica, ma la Chiesa ha un obiettivo che va oltre: annunciare Cristo
Si moltiplicano gli appelli all’accoglienza, spesso anche da parte di uomini di Chiesa. Quali sono i criteri che la Dottrina sociale della Chiesa offre per affrontare il problema delle immigrazioni senza cadere nel vuoto buonismo?
Mons. G. CREPALDI, Arcivescovo di Trieste
Una delle vie privilegiate di esercizio della carità è la politica, la quale richiede anche l’uso della ragione perché non si limita ad azioni personali di solidarietà ma vuole costruire una società solidale, che funzioni in tale modo. Non potendo andare tutti a Lampedusa ad accogliere immigrati bisogna impegnarsi con una buona politica la quale deve sempre perseguire il bene comune, che non è solo quello degli immigrati, ma anche quello della nazione accogliente e quello del bene della comunità universale. Quindi le politiche dell’immigrazione devono considerare i bisogni di chi chiede accoglienza e nello stesso tempo interrogarsi sulle reali possibilità di integrazione oltre l’assistenza immediata e di altri problemi, come per esempio combattere la criminalità organizzata che organizza gli sbarchi, disincentivare la collusione di alcune ONG, non scaricare tutta la responsabilità sull’Italia ma favorire la collaborazione europea e mediterranea e così via. La carità personale getta spesso il cuore oltre l’ostacolo, ma la politica deve regolare l’accoglienza in modo strutturale nella tutela del bene di tutti.
Secondo il recente Decimo Rapporto del vostro Osservatorio, la questione del rapporto con l’islam assume chiaramente una rilevanza politica e deve perciò essere giudicata anche con i principi della Dottrina sociale. Cosa significa per l’integrazione dei migranti di fede islamica?
La politica che si occupa di religioni deve prima di tutto conoscere le religioni di cui si occupa, evitando di considerarle tutte uguali o tutte diverse. In altre parole, deve misurarsi con la verità delle religioni, altrimenti non esercita la propria razionalità politica. Questo è un dovere della politica che va attuato anche nei confronti dell’islam. È un compito, in un certo senso, anche della Chiesa, che non dovrebbe limitarsi al solo dialogo interreligioso o predicare una accoglienza generica e indifferentista. Anche la Chiesa dovrebbe valutare l’islam – come del resto le altre religioni – alla luce dei principi della sua Dottrina sociale.
L’integrazione autentica richiede questa valutazione, nel rispetto di tutti, compreso l’islam che certamente non ha interesse ad essere considerato diversamente da quello che è. Per conoscere una religione però, bisogno rifarsi alla sua teologia, alla sua visione di Dio, la quale richiede sempre al fedele una coerenza rispetto ai suoi principi. Questa coerenza teologica si impone sempre, prima o dopo. Le discussioni sull’islam “moderato” o “europeo” qui cadono.
Ecco perché non bisogna far finta che nella teologia islamica non ci siano elementi che rendono difficile l’integrazione. Ne elenco alcuni: l’idea di Dio come Volontà, le sue leggi come decreti a cui obbedire alla lettera, l’impossibilità di un diritto naturale, la coincidenza tra legge islamica e legge civile, la distinzione antropologica tra categorie di persone, la priorità della Umma sull’umanità allargata, l’espansione come conquista… Illudersi che queste ed altre caratteristiche possano mutare è ingenuo, come pensare che un cattolico possa rinunciare alla Trinità di Dio e alla incarnazione di Gesù.
Per qualcuno sembra che il fenomeno dell’immigrazione sia ineluttabile e l’unica soluzione sia la società multietnica fatta di diverse culture e religioni. Lei che ne pensa?
Bisogna distinguere tra le situazione di fatto e quelle di diritto. Può darsi che il fenomeno delle migrazioni e delle immigrazioni di fatto continui, ma nessuno può dire che sia in sé un bene. I vescovi dell’Africa invitano i loro giovani a non emigrare e la Dottrina sociale della Chiesa dice che esiste prima di tutto un diritto a “non emigrare” e a rimanere nella propria nazione e presso il proprio popolo. Del resto, si sa che dietro la marea migratoria ci celano molti interessi anche geopolitici. Le migrazioni non sono quindi un bene in sé, la cosa dipende se servono il bene dell’uomo o no, e se non sono un bene in sé non sono nemmeno ineluttabili, anche se il giudizio di fatto oggi sembra dirci così.
Lo stesso dicasi per la società multireligiosa: non è un bene in sé, essa è a servizio del bene comune, che rimane il fine ultimo della comunità politica. Ci sono religioni che propongono e impongono prassi contrarie al bene dell’uomo, come la superiorità del maschio sulla femmina o le mutilazioni genitali. Dire che è un bene in sé significa rinunciare a valutare le religioni con un criterio di verità.
In un celebre discorso pronunciato 9 giorni dopo l’attacco alle torri gemelle di New York, il cardinale Giacomo Biffi disse che a proposito dell’immigrazione «dovere statutario del popolo di Dio e compito di ogni battezzato è di far conoscere Gesù di Nazaret, il Figlio di Dio morto per noi e risorto, e il suo necessario messaggio di salvezza». Questo compito della comunità cristiana non viene messo un po’ in secondo piano oggi?
L’evangelizzazione e la promozione umana vanno insieme. Questo vuol dire anche che la promozione umana non può sostituire l’evangelizzazione. Accogliere e integrare può essere l’obiettivo della politica, ma la Chiesa ha un obiettivo che va oltre: annunciare Cristo. Ritengo che oggi ci sia la tentazione di fermarsi prima dell’annuncio.
Sempre secondo Biffi «poiché non è pensabile che si possano accogliere tutti, è ovvio che si imponga una selezione» e indicava chiaramente che «la responsabilità di scegliere non può essere che dello Stato italiano, non di altri». Sembra buon senso, eppure oggi sembra sostituito da un “ecumenismo” dal sapore “politico”. Sbagliava forse il cardinale Biffi?
Come dicevo sopra, l’ecumenismo politico che accoglie tutte le religioni indiscriminatamente, significa l’abdicazione della politica al proprio dovere di perseguire il bene comune, che non è una semplice convivenza ma una convivenza ordinata. Ci sono aspetti delle religioni che mettono in pericolo questa convivenza ordinata. Bisogna però anche rovesciare il ragionamento: la ragione politica occidentale si è indebolita e tollera ormai tutto. Essa nasconde questa sua debolezza trasformando in valore la sua indifferenza religiosa. Il debole, come diceva Nietzsche, si difende trasformando in virtù la propria miseria. Così fa anche l’Europa che chiama tolleranza religiosa l’indifferentismo religioso. La politica deve essere tollerante ma non può tollerare il male da qualsiasi parte esso venga, comprese le religioni. Le politiche religiose, fatta salva la dignità delle persone, devono tenere conto di queste differenze sia nell’accogliere che nell’integrare e non può mai fare di ogni erba un fascio.
Lorenzo Bertocchi
La Verità 14 gennaio

martedì 15 gennaio 2019

CASO BATTISTI ATTO SECONDO

Il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede pubblica un video su Facebook sull'arrivo di Cesare Battisti in Italia. Un filmato che è uno scempio del diritto. Siamo al tragico scatto del turista con la preda dopo il Safari. Bonafede non può essere il Guardasigilli della Repubblica Italiana 

Cesare Battisti, atto secondoL'uomo viene filmato da una telecamera mentre gli vengono prese le impronte digitali, il video è montato con una musichetta melò, un sottofondo di pianola con i tasti rotti, la sequenza parte con un paio di scatti in bianco e nero di Battisti, le sagome dei poliziotti, Battisti in un'inquadratura lunga scende dal jet, ciak si gira. La mano di Battisti (c'è un poliziotto che si copre il viso con una sciarpa), Battisti in una stanza con le grate alla finestra, dipinta di uno spettrale giallo, con due poliziotti, uno alla destra e uno alla sinistra, lui al centro, il trofeoflash, Battisti scortato in un corridoio, con tanto di primissimo piano e scarrellata della telecamera, profilo Battisti che sale sull'automobile, con due agenti al fianco, Battisti che torna a salire i gradini della scaletta dell'aereo, Battisti all'interno dell'aereo, le eliche, il decollo, finale, nero.
ravvicinato e inquadratura di spalle, mentre esce dai locali dove è stato identificato e fotografato
Non è un documentario della Bbc, non è il video "rubato" dalla telecamera nascosta di un giornalista senza scrupoli e nessuna etica professionale, non è fiction. È il video reale che il ministro della Giustizia Alfondo Bonafede ha pubblicato sul suo profilo Facebook e noi, che ne abbiamo visto tante, siamo rimasti senza fiato. Colonna sonora. Montaggio. Mancavano gli effetti speciali, ma per quelli è bastata l'apparizione in scena di Bonafede.
L'articolo 27 della Costituzione della Repubblica italiana dice che "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato". Il senso di umanità calpestato dal ministro della Giustizia con l'esibizione della preda, il suo trofeo di caccia. È il tragico scatto del turista dopo il safari, una narcisistica esposizione di se stesso, la caduta e la cattura che stridono con il sorriso trionfante del signor ministro che a sua volta si specchia sul volto severo dei poliziotti. Non ride nessuno. Solo lui, il ministro. In posa. Flash. Ancora un'altra. Flash. Il kolossal di Bonafede che cattura il terrorista, questo super uomo che esibisce i muscoli mostrando il detenuto, la primula rossa delle Americhe fermata dal conducatordi Via Arenula. La condivisione social della sua impresa che in un lampo diventa manipolazione mediatica, propaganda, una mediocre nuda e vouyeristica sequenza senza più alcuna Bonafede. 
Pensavamo di aver toccato il fondo ieri con lo spettacolo messo in piedi sulla pista dell'aeroporto di Ciampino, invece no, il ministro Bonafede ha preso la vanga e ha cominciato a scavare la tomba del diritto. Concentrato sulla buca che stava scavando, con uno specchio davanti per non perdersi di vista mentre è intento alla Grande Opera, non si è reso conto di quale torto la sua vanità stava facendo alle istituzioni, al paese che fu la culla del diritto. Lo squallido spettacolo che ha pubblicato si intitola "Il racconto di una giornata che difficilmente dimenticheremo!". Ha ragione, questo scempio è indimenticabile. L'avvocato Alfonso Bonafede non può essere il Guardasigilli della Repubblica Italiana. 
TRATTO DA LIST

lunedì 14 gennaio 2019

L’OSTIA, IL VANGELO E LA LASAGNA. (RIFLESSIONI SUGLI ATTI DEGLI APOSTOLI, 3)


LEONARDO LUGARESI
Dunque eravamo al punto in cui, nella chiesa primitiva, scoppia il caso delle “vedove trascurate” e si scopre che non è proprio vero che «tra loro nessuno è indigente». Del resto, non è una sorpresa: Gesù una volta, a Betania, l'aveva pur detto a quei discepoli, ardenti di passione per i poveri, e infuriati per lo spreco di trecento denari in «nardo autentico» (non un'imitazione!), “buttati via” per ungere il suo capo: state tranquilli che «i poveri li avete sempre tra di voi (μεθ' ἑαυτῶν)» (Mc 11,7) e se volete far loro del bene avete tempo per farlo fino alla fine della storia.
Cosa fanno allora gli apostoli? «I Dodici, avendo convocato in assemblea la moltitudine dei discepoli, dissero: “Non è accettabile (ἀρεστόν) che noi lasciamo la parola di Dio(ἡμᾶς καταλείψαντασς τὸν λόγον τοῦ θεοῦ) per servire alle mense (διακονεῖν τραπέζαις)”» (6,2).  Punto primo.
Pietro Apostolo, Masaccio Cappella Brancacci (part)

Che meraviglia questo esordio! Gli apostoli non corrono a mettersi una parannanza e a servire a tavola le vedove degli ellenisti, per "dare loro per primi il buon esempio", "riparare allo scandalo di una chiesa troppo spesso distratta”, “rendere concreto nella solidarietà il messaggio di Cristo" e "far sentire più vicina alla gente la parola di Dio con la condivisione del pane" eccetera eccetera, come probabilmente farebbero oggi molti loro successori ... Si preoccupano invece, per prima cosa, di ribadire qual è il compito loro affidato da Dio e di riaffermarne l'assoluta priorità rispetto a tutte le altre incombenze, pur gravi e pressanti: «noi, da parte nostra, continueremo a perseverare nella preghiera e nel servizio della parola (τῇ προσευχῇ καὶ τῇ διακονίᾳ τοῦ λόγου προσκαρτερήσομεν)» (6,4).
Ritorna il concetto di diakonia, evocato sin dall'inizio del passo (6,1: le vedove degli ellenisti «venivano trascurate nella diaconia quotidiana), se ne assume la centralità per la vita cristiana, ma al tempo stesso si mette in chiaro che esiste un “servizio alla parola di Dio” che viene prima (e per gli apostoli è il compito specifico a cui devono dedicarsi totalmente) del “servizio alla mensa”. Viene prima, come vedremo meglio, perché lo fonda e gli dà senso. «Così è chiaramente indicata la posta in gioco della crisi; l'assistenza alle vedove non viene messa in discussione, ma viene subordinata a una necessità che la sovrasta: la diffusione della Parola, garante della crescita della Chiesa» (Marguerat).
Ci vuole un certo coraggio, oggi, ad assumere la stessa posizione, perché un po' tutti, chi più chi meno, siamo stati contagiati dal bacillo del dubbio che, di per sé, il servizio alla parola di Dio non basti, non sia concreto, non sia credibile, non sia autentico. La parola di Dio – che non è un flatus vocis, ma è la persona del Figlio fatto uomo, morto e risorto per la nostra salvezza e sacramentalmente unito a noi nella chiesa – temiamo che non basti, temiamo che resti astratta se non è corroborata dalla “tavola”.
Cosa intendo qui con questo emblema? Intendo l'idea – pericolosissima perché assume in sé, falsificandolo, uno spunto di verità cristiana – che per sfamare l'indigenza umana la parola divina fatta carne non basti, che ci voglia lo sforzo umano della condivisione e del soccorso materiale. Se no quella parola non diventa carne. Perché, infatti, si organizzano i pranzi di solidarietà nelle chiese, quando si potrebbero benissimo fare in altri posti? Esattamente per significare questo: che la chiesa è un luogo di vita concreta, che lì gli uomini trovano il cibo che li sfama. Ma in questo modo non si implica che ciò che normalmente si dovrebbe fare in chiesa, cioè celebrare la liturgia, non basta, non è ultimamente vero, dal punto di vista cristiano, e non è adeguato al bisogno dell'uomo se non in quanto sostenuto dall'impegno caritativo a favore dei poveri? Non si sostituisce alla fede nella potenza di Dio, quella nel nostro impegno morale? Banalizzo, chiedendo venia per la volgarità: non si finisce per pensare che il vangelo e l'ostia non bastano, senza la lasagna?
Il vero e il falso che si mischiano a generare questo orrendo equivoco sono ben chiariti dal seguito del racconto di Atti. Domani lo vediamo.

mercoledì 9 gennaio 2019

LA RIVOLUZIONE DEI 5 STELLE E’ GIACOBINA.



 SOLO IL CENTRO DESTRA PUO’ FERMARLA, 
E LA GUIDA TOCCHERA’ ALLA LEGA
 PARLA MARCELLO PERA


Dice Marcello Pera, filosofo, già presidente del Senato, che il partito unico di centrodestra c’è già nell’elettorato prima ancora che in parlamento e nelle sedi politiche. Va solo
formalizzato. Resta però da capire quale sia l’effettiva identità del centrodestra oggi.

“Un tempo l’identità del centrodestra era vagamente liberale. Adesso invece è assai più nazionalista. C’è solo da sperare che, assorbendo zone estese di Forza Italia, la Lega assorba anche una linfa liberale, ma al momento non è il caso. La Lega insiste sul nazionalismo, che è una fonte di ricchezza elettorale, si alimenta con questo. C’è l’avversario europeo”. (...) 

Prima o poi questo partito unico nascerà, dice Pera, “perché è già nato nell’elettorato da anni, elezione dopo elezione. Forza Italia si è ridotta, sul territorio è scomparsa. La guida toccherà alla Lega. D’altronde, un partito non può sopravvivere senza sedi, senza discussioni, senza rappresentanti che non siano parlamentari eletti mediante la bilancia o il gradimento del capo. Se uno viene in periferia lo vede. Il partito, Forza Italia, non esiste più. La Lega è dunque diventata un rifugio necessario”.
Fico e i giacobini organizzati
Tanto più, osserva Pera, che dall’altra parte l’avversario sono i Cinque stelle, più che il Pd. “Il Pd non fa paura a nessuno, è inesistente come Forza Italia. I Cinque stelle invece sono l’avversario per quell’elettorato moderato, democristiano, produttivo, borghese. Per questo i voti di Forza Italia vanno alla Lega e non a Beppe Grillo. Avrebbero potuto essere del Pd di Renzi ma non c’è più nemmeno quello”.
Nel centrosinistra invece il caos regna sovrano, dice il filosofo-senatore. Da quelle parti si cercano improbabili alleanze con i Cinque stelle. “Mentre nel centrodestra vedo un travaso di voti, una storia che continua seppur con altri protagonisti e con nuove idee, quelle della Lega, dall’altra parte vedo una rivoluzione, quella dei Cinque stelle, che è a tutti gli effetti giacobina.
Non è populista, non è sovranista, non è nazionalista. E’ giacobina.
Tanti indizi o prove lo dimostrano. Intanto la composizione sociale. Sono borghesi piccoli piccoli, sono i disoccupati organizzati del sud. E’ ‘jacquerie’, rivolta popolare. Oppure basta guardare i personaggi del M5s: canaille, come li chiamavano Voltaire o Marx. Questa è la loro rivoluzione. E il giacobismo sta nel loro modo di operare: se c’è un problema politico che non è stato risolto, dicono, allora c’è un responsabile che ha lucrato, che ha complottato, e chi è considerato responsabile di quel problema deve essere eliminato o abbattuto. ‘Via Renzi’, ‘via Benetton’, ‘via Fornero’. La personalizzazione, nella figura di un colpevole, di un problema politico che va oltre l’individuo è un metodo giacobino. Ho trovato l’avversario, gli taglio la testa e ho risolto il problema”. Altra forma di giacobinismo, dice Pera, è “ignorare le procedure dello stato di diritto. Oppure considerarle decadute. Così allora si nazionalizza Autostrade o si revocano le licenze, senza guardare alle procedure concrete. Ancora meglio, si supera il parlamento. Tutte queste proposte le facevano i giacobini. Se poi guarda ai singoli personaggi dei Cinque stelle stelle, io trovo il giacobinismo nel loro atteggiamento, nei loro volti. L’acredine, la bava alla bocca, il risentimento, vedo il desiderio della vendetta. Questo è un altro fenomeno che per ragioni del tutto contingenti si è unito alla destra di Salvini.
Al fondo però Lega e Cinque stelle non sono compatibili per ragioni di carattere sociale. La ‘jacquerie’ non va d’accordo con il piccolo-medio produttore”. Pera è “stupito per il fatto che nel Pd ci sia qualcuno che voglia l’accordo con i Cinque stelle. Sono evidentemente in stato confusionale, non hanno chiaro chi sono, oppure pensano che chiunque si oppone al governo sia un loro alleato. Quando nel Pd dicono che quello del M5s è un pezzo del loro elettorato, di protesta, vuol dire che il Pd già aveva un elettorato di tale natura e che non sono riusciti a educarlo. L’elettore deluso berlusconiano va con Salvini, ma questi che stanno nel M5s non sono elettori delusi del Pd. Semplicemente, stavano dentro il Pd ma hanno altre intenzioni e caratteristiche, come quella di tagliare le teste. Sono cresciuti con i comizi di Grillo e hanno pensato che una volta arrivati al governo si potesse far davvero. Sono per il superamento della democrazia. Sono giacobini, oppure sono bolscevichi, che peraltro erano figli dei giacobini”.

La confusione sui “fondamentali” del PD
Dunque, si chiede Pera, che c’azzecca Roberto Fico con il Pd? “Fico è il tipico rappresentante dei disoccupati organizzati del sud. Che c’entrano i borghesi piccoli piccoli con la sinistra riformista? Che c’entra il giacobinismo di Fico con la democrazia? Il Pci ci ha messo un po’ di tempo ad abbracciare la democrazia, adesso perché nasce Fico si dimenticano della loro storia?
E’ il segno di una enorme confusione sui fondamentali, come lo stato di diritto e la democrazia rappresentativa. In politica queste sono le precondizioni per discutere. Se vuoi il giacobinismo invece puoi andare in piazza con Fico o con Alessandro Di Battista, che non hanno il problema di governare, non devono acquistare competenze per risolvere problemi. Hanno casomai il problema di abbattere, anche ora che sono al governo. Guardi il caso Autostrade, che è tipico. La prima reazione è stata: ‘Benetton è il nostro nemico’. Va messo in piazza, sputato e messo alla ghigliottina”. Ma questo è un altro fenomeno rispetto alla contaminazione nel centrodestra fra Forza Italia e Lega, sottolinea Pera. “L’elettorato di Forza Italia che si sposta nella Lega ha una avversione spontanea per i Cinque stelle e quindi rafforza la Lega per eliminarli, per spaccare la coalizione. Nel caso del centrosinistra invece mi stupisco che ci sia chi si candida alla guida del Pd con la base politica del dialogo con i Cinque stelle. Si torna abbastanza indietro, prima della svolta di Salerno. E siccome l’antirenzismo non basta più, stanno dicendo che Renzi ha sbagliato anche perché non ha accolto l’invito di Fico, che era: ‘Mettetevi d’accordo e andate anche voi sotto la ghigliottina’”. Tanti auguri.
Tratto dal foglio del 7 settembre 2018