Un lumicino. Di quelli che basta un refolo di vento a spegnerli. Ma anche
di quelli che – ognuno su un davanzale – sono capaci di illuminare una città.
C’è una tristezza di naufraghi, in quello che fu il potere temporale di
ispirazione ciellina incarnato nel formigonismo imperante per un ventennio, la
Seconda Repubblica, in Regione Lombardia. La barca, però, non è del tutto
affondata.
Così l’altra sera, in un luogo iconico per una parte del movimento che ebbe
il faro in don Giussani e il rottamatore obbligato delle vocazioni politiche in
don Carrón, il centro culturale Rosetum, teatro gremitissimo, è andata in scena
l’apologia di Roberto Formigoni
presenziata da lui medesimo e il
“discorso del perseguitato” del medesimo
interprete, probabilmente non destinato a commuovere o far cambiare idea a
molti, fuori dal Rosetum, ma comprensivo di alcune sottolineature politiche non banali e non trascurabili. Delle
vicende giudiziarie dell’ex Celeste ormai si è tanto detto e tanto scritto. E
anche della sua condanna abnorme e scandalosa, pazzesca e roboante, roba da
omicidio preterintenzionale.
La narrazione della serata offre però qualche spunto di riflessione
ulteriore e più interessante in ottica futura, sebbene l’intero appuntamento
fosse ripiegato sui fasti di una sussidiarietà
che pare al momento uscita dall’agenda politica – non soltanto del governo
ma anche dell’opposizione.
Al solito, molto lucido è stato Giancarlo
Cesana, medico e per anni ideologo del movimento (from behind, come avrebbe
detto Obama: non ha mai fatto politica in prima persona) ma oggi anche gestore
dell’immenso patrimonio del Policlinico. L’unico che in tutta la serata, due
ore e mezzo mentre fuori pioviggina, torna alle origini del pensiero: siamo convinti che la libertà sia il valore
fondamentale, siamo convinti che la concorrenza e non l’opposizione tra Stato e
privati sia la strada giusta, siamo convinti che il valore è nell’uomo. E tutto
questo, spiega, “lo abbiamo imparato in Cl”.
E’ l’unica volta in tutta la serata in cui la sigla cara e oggi vietata
alla politica (non conviene, non serve più, o forse “non expedit”), viene
citata. “Noi sappiamo che il potere esiste, noi rispettiamo il potere, e lo
frequentiamo”, spiega Cesana, eretico. Batte sul punto fortissimo anche Raffaele Cattaneo, assessore ai
Trasporti con Formigoni, poi presidente del Consiglio regionale, ora assessore
all’Ambiente: “Questa non è una riunione di reduci. Io mi sento combattente in
servizio permanente effettivo. Di fronte
al governo dell’incompetenza, che ha la sua unica risposta nello statalismo, la
risposta politica che possiamo dare è il modello Lombardia. Qui non c’è
solo l’apologia di Formigoni ma una proposta politica che abbiamo il dovere di
incarnare”. Piccoli messaggi dal futuro, anche se lui stesso, in apertura
dell’intervento, aveva spiegato: “Ci sono stato con il primo Formigoni, ci sono
stato dopo Formigoni, ci sono adesso: posso dire di essere l’ultimo dei
mohicani”. Risate: allegria di sopravvissuti, ma non troppo.
Eppure fuori dal Rosetum e dalle mille conventicole, fuori dalle guerre di
parrocchia tra Maurizio Lupi e Roberto Formigoni, fuori dalle assenze di
Lucchina e Sanese, qualcosa sopravvive,
respira, di quella lunga esperienza politica e di gestione del potere (parola
mai stata eretica, per il pensiero politico cattolico). E’ l’immenso sistema –
non proprio malandato, anzi – della Regione Lombardia. Dove Roberto Maroni, nei
suoi anni, ha cambiato molto per quanto riguarda la Sanità. Ma che resiste
nella macchina regionale, nel metodo di lavoro di base, nelle strutture e
logiche amministrative collaudate. Non è un caso che Attilio Fontana stia
valorizzando quel che è il meglio di una lunga stagione amministrativa (che del
resto ha le sue fondamenta antiche in tutta la tradizione della gestione
amministrativa lombarda). E a volte, anche se non sempre, questo coincide con
l’esperienza di allora. Non c’è un cupio dissolvi, una volontà di “smontare
tutto”, come dichiarava, senza poi farlo, Roberto Maroni i primi mesi del suo
mandato.
Ora il tema è squisitamente politico.
Chi si metterà a parlare di nuovo di sussidiarietà? O questa parola passerà, insieme a
socialismo, in quella tristezza di lutti per movimenti e partiti uccisi dal
tempo e dai tribunali? Difficile dirlo. Eppure qualcuno spera e magari qualcosa
si muove.
Come ha raccontato il Foglio , gerarchie
cattoliche e politici cattolici senza più casa né autore (poco Pd, niente
Centro, addio Forza Italia Berlusconi) vanno ragionando sulla necessità di un nuovo contenitore politico cattolico.
Se ne sente la necessità? Forse sì o forse no, anche se è presto per
archiviare le idee che hanno fatto grande la Lombardia.
di Fabio Massa
9 Dicembre 2018
ILFOGLIO
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