Pare proprio di
sì. Ecco perché
Daniele Forti 10 agosto 2020 TEMPI
Dopo quattro giorni di
accese discussioni, il Consiglio europeo dei 27 paesi che aderiscono all’Unione
Europea ha approvato il 21 luglio scorso un documento, le cui conclusioni sono
contenute in ben 67 pagine, che costituisce tuttavia uno strumento di lavoro
per futuri approfondimenti e decisioni dello stesso Consiglio.
Esse sono suddivise in
due parti, che si vogliono collegate: il budget per gli anni 2021-2027 di 1.074
miliardi di euro complessivi e un pacchetto da 750 miliardi di euro (Next Generation Eu), allo scopo di far
fronte alle conseguenze della crisi Covid-19.
Conte, Rutte, Merkel, Von Der Leyen |
PRESTITI E SOVVENZIONI A FONDO PERDUTO
Le dimensioni del
pacchetto sono variate nei mesi da febbraio ad oggi: dai 500 miliardi secondo
la iniziale proposta franco-tedesca fino ad un massimo di 1.500 miliardi
(secondo la proposta di Ursula von der Leyen) per ridursi poi secondo la
proposta della Commissione europea a 750 miliardi, ma la componente delle
sovvenzioni (contributi a fondo perduto) è ridotta da 500 a 390 miliardi di
euro, mentre i prestiti aumentano da 250 a 360 miliardi.
Alla Commissione è
conferito il potere di contrarre, per conto dell’Unione Europea, prestiti sul
mercato dei capitali di 750 miliardi di euro fino alla fine del 2026 al più
tardi, da rimborsare entro il 2058. Essi costituiscono una emissione una tantum
di debito comune. La Commissione potrebbe chiedere maggiori risorse agli Stati
membri rispetto alle rispettive quote relative.
IL PIANO «PER LA RIPRESA E LA RESILIENZA»
Per sostenere celermente
la ripresa, si sottolinea l’importanza di creare le condizioni adeguate per la
rapida attuazione di progetti di investimento, in particolare nelle
infrastrutture.
Gli Stati membri sono
chiamati a preparare piani nazionali «per la ripresa e la resilienza» in cui è
definito il programma di riforme e investimenti di ciascuno Stato membro per il
periodo 2021-2023, in cui devono essere presi gli impegni di spesa sia a fronte
di prestiti, sia a fronte di sovvenzioni. In particolare, il 70 per cento delle
sovvenzioni deve essere impegnato negli anni 2021 e 2022; il restante 30 per
cento nel 2023. È previsto un prefinanziamento forse del 10 per cento, che
verrà versato nel 2021. I piani verranno valutati in base alla coerenza con le
raccomandazioni specifiche per paese, tenuto conto del contributo alla
transizione verde e digitale.
LA VALUTAZIONE DEI PROGETTI
La valutazione positiva
delle richieste di pagamento sarà subordinata al soddisfacente conseguimento
dei pertinenti target intermedi e finali. È previsto che uno o più Stati membri
possano esporre al presidente del Consiglio europeo la sussistenza di gravi
scostamenti dal «soddisfacente conseguimento dei pertinenti target intermedi e
finali». La questione viene rimandata al successivo Consiglio europeo con
conseguente slittamento dei pagamenti!
Il 30 per cento della
spesa prevista dal budget settennale e da Next Generation Eu dovrà essere
indirizzato al raggiungimento di «un obiettivo climatico generale» in coerenza
con gli obiettivi dell’accordo di Parigi.
QUANTO COSTA AGLI STATI
Oltre a circa 120
miliardi di prestiti, il nostro paese dovrebbe essere intitolato a ricevere
circa 80 miliardi di sovvenzioni (come la Spagna), ma dovrà contribuire alla
sua quota di bilancio Ue con circa 50 miliardi, ottenendo quindi un contributo
netto di circa 30 miliardi: è come se ci venissero restituiti circa 7 anni di
contributi netti versati nel bilancio dell’Unione Europea. L’Italia è sempre
stata un paese contribuente netto del bilancio europeo. Ora diventa un
beneficiario netto.
È prevista
l’introduzione di imposte dell’Unione Europea: plastic tax, carbon tax e web
tax e forse altro.
Austria, Danimarca,
Olanda e Svezia hanno ottenuto un aumento degli sconti di bilancio (rebates),
che ammonteranno in totale a 53 miliardi nel prossimo bilancio Ue, di cui
l’Italia dovrebbe farsi carico per 11 miliardi sulla base della prassi seguita
fino ad oggi, riducendosi così l’effettivo trasferimento netto a una ventina di
miliardi (si veda in proposito Silvia Merler su Algebris Policy
and Research Forum).
QUANDO SI VEDRANNO GLI EFFETTI
Next Generation Eu è
destinato ad avere un effetto relativamente piccolo sul 2021; durante il
successivo biennio 2022-23 l’effetto potrebbe ampliarsi. L’Italia dovrà contare
su se stessa e il supporto della Bce; il mercato dei capitali ci è favorevole:
oggi l’emissione di Btp a 10 anni è stata collocata ad un tasso lordo vicino
all’1 per cento!
Dovrebbe risultare
evidente che la pubblica amministrazione del nostro paese, più di ogni altro,
sarà chiamata nei prossimi mesi a compiere uno sforzo durissimo di
programmazione della spesa e di sua rapida attuazione, per raggiungere la quale
la semplificazione delle procedure sarà fondamentale (codice degli appalti in
primis): tutti gli impegni di spesa dovranno essere deliberati giuridicamente
entro 3 anni! Nel passato i fondi stanziati dall’Unione Europea sono stati
sempre spesi in genere solo parzialmente e con grave ritardo. È destinata
quindi a ripetersi la storia dell’Italia che contribuisce al bilancio Ue e vede
ritornare gli stessi fondi con vincolo di destinazioni specifiche e
rendicontazione/controllo della spesa?
QUALI RIFORME SARANNO RICHIESTE ALL’ITALIA
Senza alcun dubbio si
può sostenere che le riforme che saranno chieste al governo italiano, per
valutare il piano di spesa nazionale, avranno come riferimento “le
raccomandazioni” già contenute nella “Relazione per paese relativa all’Italia
2020”, pubblicate il 26 febbraio 2020.
Nella “raccomandazione
1” spiccano:
§
assicurare una riduzione in termini nominali della spesa pubblica primaria
netta dello 0,1 per cento nel 2020;
§
utilizzare entrate straordinarie per accelerare la riduzione del rapporto
debito pubblico/Pil;
§
spostare la pressione fiscale dal lavoro;
§
ridurre le agevolazioni fiscali e aggiornare i valori catastali;
§
contrastare l’evasione fiscale, in particolare nella forma dell’omessa
fatturazione, potenziando i pagamenti elettronici obbligatori anche mediante un
abbassamento dei limiti legali per i pagamenti in contanti;
§
attuare pienamente le passate riforme pensionistiche al fine di ridurre il
peso delle pensioni di vecchiaia nella spesa pubblica e creare margini per
altra spesa sociale e spesa pubblica favorevole alla crescita.
LIMITI AI PAGAMENTI IN CONTANTI
Questo programma
“lacrime e sangue” è oggi parzialmente sospeso a causa della crisi da epidemia,
ma è destinato a tornare pienamente di attualità: l’abbassamento dei limiti
legali per i pagamenti in contanti da 3.000 a 2.000 euro è uno dei pochi
provvedimenti attuati, a parer mio di dubbia efficacia e legalità (vista anche
la posizione contraria in materia della Bce). Esso va di pari passo con la
richiesta di potenziamento dei pagamenti elettronici obbligatori.
Non si tiene conto che
l’Italia ha costantemente goduto di un ampio disavanzo primario, annullato
costantemente dalla spesa per interessi. Questa dipende, oltre che dai mercati,
dalla politica della Bce di riduzione degli spread fra i diversi paesi. Solo
recentemente la Bce ha iniziato una politica più attiva in proposito, superando
la regola che si era data di intervenire sul mercato secondario dei titoli di
Stato dei paesi membri, facendo acquisti in misura proporzionale alle quote di
partecipazione al capitale della stessa.
IPOTESI PATRIMONIALE
L’utilizzo di entrate
straordinarie fa balenare l’ipotesi dell’introduzione di una imposta
patrimoniale, che finirebbe con l’azzerare la residua fiducia dei risparmiatori
nelle istituzioni; al contrario sarebbe di primaria importanza dare fiducia ai
cittadini e alle imprese (senza trascurare il terzo settore), per consentire
loro di tornare ad investire gli ingenti risparmi accumulati e spesso giacenti
sotto forma di depositi presso le banche! Il patrimonio netto dei cittadini
italiani è valutato da Banca d’Italia in quasi 10.000 miliardi, dei quali circa
4.000 sotto forma di liquidità.
L’aggiornamento dei
valori catastali va coniugato insieme con la reintroduzione di maggiori imposte
immobiliari in particolare sulla prima casa. Quindi la raccomandazione è sempre
quella di colpire il patrimonio immobiliare (le famiglie) per diminuire la
tassazione sul reddito di lavoro dipendente.
QUOTA 100 NO, REDDITO DI CITTADINANZA SÌ
Si richiede fra le righe
(ma in modo piuttosto evidente) l’abolizione del provvedimento di “quota 100”,
per tornare ad un inasprimento dei criteri di pensionamento. Nel contempo viene
valutata positivamente in più parti del documento l’introduzione del “reddito
di cittadinanza”, per avere il supposto merito di aver sostenuto la spesa delle
famiglie. Non una parola viene spesa per criticare quelle politiche
assistenziali di questo e dei passati governi, che non hanno fatto nulla per
incrementare i posti di lavoro effettivi. È qui chiaramente evidente l’uso di
criteri di parte (intesi a favorire alcuni partiti italiani a danno di altri)
nella formulazione delle raccomandazioni.
INVESTIMENTI PUBBLICI
Condivido quando si
scrive che:
«Uno stimolo agli
investimenti pubblici potrebbe avere ricadute positive sul resto della zona
euro. Secondo le stime, un aumento degli investimenti pubblici finanziato
senza incidere sul bilancio aumenterà considerevolmente il Pil dell’Italia,
anche nell’ipotesi di una stima prudente dell’impatto di stimolo alla crescita
della spesa in conto capitale. Le ricadute sugli altri Stati membri della zona
euro sono non trascurabili, almeno nei primi anni successivi all’iniziale
stimolo agli investimenti».
Ciò richiede il
superamento dell’attuale codice degli appalti, almeno per quanto riguardo le
grandi opere strategiche.
ALTRE RACCOMANDAZIONI, ALTRA DUREZZA
Lo stesso tono
prescrittivo si ravvisa nelle altre quattro raccomandazioni, dove si sostiene
di:
§
contrastare il lavoro sommerso;
§
integrare le politiche del lavoro a quelle sociali;
§
sostenere la partecipazione delle donne al mercato del lavoro;
§
migliorare i risultati scolastici, rafforzando le competenze digitali;
§
sostegno agli investimenti in materia di ricerca e innovazione e sulla
qualità delle infrastrutture;
§
efficienza della pubblica amministrazione, accelerando la digitalizzazione;
§
ridurre la durata dei processi civili;
§
favorire la ristrutturazione dei bilanci delle banche, migliorando la
qualità degli attivi (sottintendendo un invito, a mio parere pericoloso, al
disinvestimento in titoli di Stato italiani).
Questa durezza da
precettore non tiene in alcun conto che l’economia italiana era la quarta al
mondo fino a due decenni fa e il Pil italiano era pari o superiore a quello del
Regno Unito (oggi è del 30 per cento inferiore), il sistema bancario italiano
era fra i più sani in Europa e il tasso di risparmio dei privati era fra i più
alti al mondo. L’economia italiana cresceva fino agli anni Novanta al ritmo di
quella tedesca.
E L’EUROPA? E LO STATALISMO?
Non si spendono parole
per ammettere i deficit, incertezze e lentezze delle politiche finanziarie
delle istituzioni europee, particolarmente in caso di panico finanziario o
crisi economica.
Non si condanna mai il
crescente statalismo di ritorno nell’economia e nella società: i crescenti
deficit di spesa pubblica di scarsa qualità sono stati e sono il frutto di un
malinteso “keynesismo” della sinistra, che ha preteso di puntare ad un “aumento
dell’accumulazione del capitale”, con una spesa spesso dedita alla sola
assistenza e improduttiva (da qui la politica odierna dei bonus).
Il cammino è ancora
lungo. Non ci sarà alcun “pasto gratis”!
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