PD e M5S, un’alleanza senza respiro
La riduzione del numero di parlamentari
costituisce un grave vulnus della Costituzione e della democrazia? Diminuisce
la rappresentatività delle Camere? Aumenta l’efficienza delle Camere? E’ il
primo passo di un possibile itinerario di riforme costituzionali? Il SI è
riformista e il NO è conservatore?
Meno parlamentari. Le
ragioni del SI’
I sostenitori del SI argomentano la
propria posizione a partire dalla prospettiva di una maggiore efficienza e
quindi di una maggiore rappresentatività effettiva assicurate dalla diminuzione
del numero dei parlamentari. Sull’esempio del Senato americano, a ciascun
deputato/senatore verrebbe assicurata una funzione specifica da svolgere – che
oggi manca a molti peones del nostro Parlamento – e sarebbe dotato di un suo
apparato, che lo supporterebbe sia nel lavoro parlamentare sia nella migliore
manutenzione dei rapporti con il territorio elettorale. D’altronde, il SI-PD
ricorda che la sinistra fin agli anni ’70 ha chiesto la riduzione del numero
dei parlamentari.
E all’obiezione che, in realtà, le cause
della delegittimazione e dell’inefficienza delle istituzioni rappresentative
sono l’enorme vuoto decisionale, cioè la debolezza dell’istituzione governo, e
il bicameralismo, il SI-PD risponde che
la riduzione è solo il primo passo di un itinerario di riformismo
costituzionale, già interrotto con la sconfitta
referendaria del 2016, ma da riprendere, appunto, con questo piccolo passo.
Come disse Neil Armstrong sulla Luna: “…
un piccolo passo per un uomo, ma un grande balzo per l’umanità”. Meglio un
passo in avanti che stare fermi chissà ancora per quanto. Nella lingua del
pragmatico riformismo bergamasco: “pötost che negòta, l’è mei pötost –
piuttosto che niente, è meglio piuttosto”. Che poi si possa ottenere anche un
risparmio di spese, come sostengono i Cinquestelle, per il SI-PD è solo una
felice, ma piccola conseguenza.
Ma le ragioni del SI’
non convincono
Le argomentazioni del SI non mi
convincono. Le ragioni fondative di una battaglia politico-istituzionale sono
date dal contesto in cui è stata incominciata, dalle motivazioni degli eserciti
in campo e dai loro rapporti di forza, dalle prospettive che essi assegnano
alla battaglia e, infine, al suo esito.
Il tentativo in corso del SI-PD è,
a quanto pare, quello di:
a) rovesciare sul campo di battaglia, le
motivazioni con le quali il M5S vi è entrato, dopo aver vinto le elezioni del
2018 nel nome della democrazia diretta – “apriremo il Parlamento come una
scatoletta di tonno!”, disse Grillo – della guerra ai partiti, alla “casta” e
alla democraziarappresentativa;
b) predisporsi a usare l’eventuale
vittoria del SI‘ per rafforzare le istituzioni democratiche contro le
intenzioni originarie del M5S e della Lega.
Questa machiavellica eterogenesi dei
fini è un pezzo della strategia generale, elaborata da Franceschini e Bettini,
assecondata alla fine da Zingaretti e di fatto sostenuta da tutto il PD,
compresa la sua area riformista, che prevede la costruzione di un nuovo
bipolarismo centro-sinistra/centro-destra, dove il polo di
centro-sinistra sarebbe appunto costituito dall’alleanza organica tra M5S e PD.
Quando è nato il governo giallo-rosso,
per malaugurata iniziativa di Renzi, che ha agitato lo spauracchio emergenziale
di sempre – quello del tiranno Salvini in arrivo – questo orizzonte strategico
era ancora piuttosto indefinito e, comunque, non unanimemente condiviso nel PD.
In ogni caso, e già da allora, la riduzione del numero dei parlamentari è
entrata a far parte essenziale del patto di governo quale base fondante.
Difficile dire, oggi, se un rifiuto del
PD disottoscrivere la riduzione dei parlamentari avrebbe impedito la nascita
del governo giallo-rosso. Il PD, a suo tempo, dopo l’avvio del dibattito al
Senato il 10 ottobre 2018, votò tre volte NO alla riduzione, ma, a detta di
Stefano Ceccanti, per pure ragioni tecniche. Come a dire: eravamo d’accordo fin
da allora, ma la mancata accettazione dei nostri emendamenti ci impedì di dirlo
esplicitamente. Notevole esempio di gesuitica arrampicata sui vetri e di
retrodatazione politica del SI, che al momento sarebbe stato costretto a
indossare la maschera del NO.
Dunque, vince il SI, si compie un primo
passo attraverso una riforma costituzionale complessiva, e poi si aprono
“magnifiche sorti e progressive”… sempre sulla base dell’alleanza M5S-PD? Chi
non le vede tale futuro luminoso è un miope conservatore?
Ma PD e M5S non hanno
un’idea comune
La strategia del riformismo puntiforme e
della riforma chirurgica – adottata dopo il fallimento del referendum “globale”
2016, in forza della quale si preferisce modificare singoli pezzi della
macchina istituzionale -potrebbe funzionare, solo se il M5S e il PD avessero
un’idea comune delle necessarie riforme del sistema e dei suoi equilibri
interni, salvo poi scaglionarne nel tempo il cambio effettivo dei singoli
pezzi. Le tessere del mosaico si possono collocare in tempi diversi, ma la
sinopia sottostante dell’intero mosaico deve essere leggibile subito e per
intero.
Non la si vede,
perché non c’é.
Si fa una riforma, senza che questa
possa trascinare logicamente quella dell’abolizione del bicameralismo e quella
del rafforzamento dell’esecutivo. E’ un passo in avanti, ma nel buio.
Non sono così catastrofico da parlare di
“salto nel buio della democrazia italiana”, ma, certo, è poco più che uno
sgranchimento ginnico di gambe verso il “negòta” (dal latino nec gutta!), verso
il nulla di riforme, fatto solo per necessità di tenere in piedi un partito
decisivo per i numeri di sostegno al governo. C’entra molto con la politica
contingente, assai meno con il riformismo istituzionale. Inevitabile, a questo
punto, che il criterio per votare SI/NO dipenda dal giudizio sulla politica
del governo giallo-rosso più che dai giudizi “tecnici”. I cittadini hanno già
seguito, ahinoi, questo metodo nel 2016.
La sostanza della posizione del SI-PD è
la difesa dell’alleanza, a questo punto strategica, con il M5S, fondata sulla
previsione di un cambiamento a 180 gradi della cultura politica del M5S. Ora, è
vero che il M5S, sotto la pressione dei parlamentari, che non hanno nessun
intenzione di tornare a casa, e dei ministri, che hanno scoperto le gioie del
potere, pare si stia convertendo alla democrazia parlamentare – addio
scatoletta di tonno! – all’accettazione delle alleanze con altri partiti e al
superamento del dogma dei due mandati.
Ma la cultura
politica del M5S e i programmi di governo che ne conseguono sono all’opposto di
quelli di una sinistra che si preoccupi dello sviluppo del
Paese e della riforma delle istituzioni rappresentative e di governo nonché di
quelle della Pubblica Amministrazione. Che la sinistra al governo non se ne
preoccupi più è solo la controprova della strabordante egemonia grillina. I
barbari neo-statalisti e spendaccioni hanno barbarizzato i romani.
Di riformismo vero,
neppure l’ombra e i furbi trionfano
Per quanto uno abbia buona volontà, fa
fatica ad intravedere delle tracce di riformismo nelle fumose intenzioni
istituzionali dell’alleanza e, soprattutto, nelle politiche assistenziali
massicce, che sono conseguenze delle peggiori leggi precedenti – Reddito di
cittadinanza e Quota 100 – e degli attuali Decreti, che hanno fatto volare
sulle teste degli Italiani l’elicottero della distribuzione a pioggia.
Distribuzioni che hanno favorito i più capaci di accedere ai meccanismi e ai
tesoretti previsti dai Decreti, una forma di enorme finanziamento del ceto
medio e degli elusori/evasori fiscali, mentre i più poveri sono rimasti senza i
600 euro. La legge è stata scritta male da incompetenti, come sostiene Cassese?
No, è stata scritta da molto competenti cervelli elettorali!
Perciò, sono difficilmente separabili,
nella testa di chi andrà a votare, i giudizi sulle politiche in corso e quello
sulla diminuzione del numero dei parlamentari.
Difficile superare
l’impressione che il SI-PD sia solo l’ennesimo obolo pagato sulla strada
dell’alleanza strategica di governo, che tenta di gestire con l’anestesia il
declino del Paese.
Il SI-PD ha deciso di sacrificare il
“philosophari” al “primum vivere”, dentro un’alleanza che si configura sempre
più come un magma neo-doroteo, fatto di statalismo e distribuzione di
denaro senza criteri di giustizia, senza nessuna politica di sviluppo. E’ la DC
degli anni ’80.Purtroppo non c’è nessun Craxi a tentare di arginarla.
Il SI un passo in avanti? Sì, in una
terra di nessuno, peggio, in una “waste land”, una terra desolata. E allora il
NO non significa forse stare fermi nella terra desolata, dove già ci si trova?
E’ probabile che molti elettori, posti di fronte alla scelta che fece morire di
fame l’asino di Buridano, finiranno per votare scheda bianca o più
semplicemente per restare a casa.
GIOVANNI COMINELLI
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