IL DISCORSO DI MARIO
DRAGHI SULL'EMERGENZA DEL CORONAVIRUS, I SUSSIDI CHE FINISCONO E IL DEBITO
SCARICATO SULLE SPALLE DEI GIOVANI.
Questa situazione di crisi, la pandemia, tra le tante
conseguenze genera incertezza. Forse la prima cosa che viene in mente. Una
incertezza che è paralizzante nelle nostre attività, nelle nostre decisioni.
C’è però un aspetto della nostra personalità dove quest’incertezza non ha
effetto: ed è il nostro impegno etico. Ed è proprio per questo che voglio
ringraziare di aver ricevuto questo invito, perché mi rende in un certo senso
partecipe della vostra testimonianza di impegno etico. Un impegno etico che non
si ferma per l’incertezza ma anzi trova vigore nelle difficoltà, trova vigore
dalla difficoltà della situazione presente. Il mio esser qui oggi è motivo di
grande gratitudine nei vostri confronti che mi avete invitato.
Dodici anni fa la crisi finanziaria provocò la più grande distruzione economica
mai vista in periodo di pace. Abbiamo poi avuto in Europa una seconda
recessione e un’ulteriore perdita di posti di lavoro. Si sono succedute la
crisi dell’euro e la pesante minaccia della depressione e della deflazione.
Superammo tutto ciò.
Quando la fiducia tornava a
consolidarsi e con essa la ripresa economica, siamo stati colpiti ancor più
duramente dall’esplosione della pandemia: essa minaccia non solo l’economia, ma
anche il tessuto della nostra società, così come l’abbiamo finora conosciuta;
diffonde incertezza, penalizza l’occupazione, paralizza i consumi e gli
investimenti.
In questo susseguirsi di crisi i sussidi che vengono ovunque distribuiti sono
una prima forma di vicinanza della società a coloro che sono più colpiti,
specialmente a coloro che hanno tante volte provato a reagire. I sussidi
servono a sopravvivere, a ripartire. Ai giovani bisogna però dare di più: i
sussidi finiranno e se non si è fatto niente resterà la mancanza di una
qualificazione professionale, che potrà sacrificare la loro libertà di scelta e
il loro reddito futuri.
La società nel suo complesso
non può accettare un mondo senza speranza; ma deve, raccolte tutte le proprie
energie, e ritrovato un comune sentire, cercare la strada della ricostruzione.
Nelle attuali circostanze il pragmatismo è necessario. Non sappiamo quando sarà scoperto un vaccino, né tantomeno come sarà la realtà allora.
Nelle attuali circostanze il pragmatismo è necessario. Non sappiamo quando sarà scoperto un vaccino, né tantomeno come sarà la realtà allora.
(In fondo il link del video)
Le opinioni sono divise:
alcuni ritengono che tutto tornerà come prima, altri vedono l’inizio di un
profondo cambiamento. Probabilmente la realtà starà nel mezzo: in alcuni
settori i cambiamenti non saranno sostanziali; in altri le tecnologie esistenti
potranno essere rapidamente adattate. Altri ancora si espanderanno e
cresceranno cambiando insieme alla nuova domanda e ai nuovi comportamenti
imposti dalla pandemia. Ma per altri, un ritorno agli stessi livelli operativi
che avevano nel periodo prima della pandemia, è quantomeno improbabile.
Dobbiamo accettare l’inevitabilità
del cambiamento con realismo e, almeno finché non sarà trovato un rimedio,
dobbiamo adattare i nostri comportamenti e le nostre politiche. Ma non dobbiamo
rinnegare i nostri principi. Dalla politica economica ci si aspetta che non
aggiunga incertezza a quella provocata dalla pandemia e dal cambiamento.
Altrimenti finiremo per essere controllati dall’incertezza invece di esser noi
a controllarla. Perderemola strada. Vengono in mente le parole della ’preghiera
per la serenità’ di Karl Paul Reinhold Niebuhr che chiede al Signore: «Dammi la
serenità per accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare
le cose che posso cambiare, e la saggezza di capire la differenza».
Non voglio fare oggi una
lezione di politica economica ma darvi un messaggio più di natura etica per
affrontare insieme le sfide che ci pone la ricostruzione e insieme affermare i
valori e gli obiettivi su cui vogliamo ricostruire le nostre società, le nostre
economie in Italia e in Europa.
Nel secondo trimestre del
2020 l’economia si è contratta a un tasso paragonabile a quello registrato dai
maggiori Paesi durante la seconda guerra mondiale. La nostra libertà di
circolazione, la nostra stessa interazione umana fisica e psicologica sono
state sacrificate, interi settori delle nostre economie sono stati chiusi o
messi in condizione di non operare. L’aumento drammatico nel numero delle
persone private del lavoro che, secondo le prime stime, sarà difficile
riassorbire velocemente, la chiusura delle scuole e di altri luoghi di apprendimento
hanno interrotto percorsi professionali ed educativi, hanno approfondito le
diseguaglianze.
Alla distruzione del capitale
fisico che caratterizzò l’evento bellico molti accostano oggi il timore di una
distruzione del capitale umano di proporzioni senza precedenti dagli anni del
conflitto mondiale. I governi sono intervenuti con misure straordinarie a
sostegno dell’occupazione e del reddito. Il pagamento delle imposte è stato
sospeso o differito. Il settore bancario è stato mobilizzato affinché continuasse
a fornire il credito a imprese e famiglie. Il deficit e il debito pubblico sono
cresciuti a livelli mai visti prima in tempo di pace.
Al di là delle singole agende
nazionali, la direzione della risposta è stata corretta. Molte delle regole che
avevano disciplinato le nostre economie fino all’inizio della pandemia sono
state sospese per far spazio a un pragmatismo che meglio rispondesse alle
mutate condizioni. D’altronde una citazione attribuita a John Maynard Keynes,
l’economista più influente del XX secolo ci ricorda “When facts change, I change my mind. What do you do sir?’
Tutte le risorse disponibili
sono state mobilizzate per proteggere i lavoratori e le imprese che
costituiscono il tessuto delle nostre economie. Si è evitato che la recessione
si trasformasse in una prolungata depressione. Ma l’emergenza e i provvedimenti
da essa giustificati non dureranno per sempre. Ora è il momento della saggezza
nella scelta del futuro che vogliamo costruire. Il fatto che occorra
flessibilità e pragmatismo nel governare oggi non può farci dimenticare
l’importanza dei principi che ci hanno sin qui accompagnato.
Il subitaneo abbandono di
ogni schema di riferimento sia nazionale, sia internazionale è fonte di
disorientamento. L’erosione di alcuni principii considerati fino ad allora
fondamentali, era già iniziata con la grande crisi finanziaria; la
giurisdizione internazionale del WTO, e con essa l’impianto del
multilateralismo che aveva disciplinato le relazioni internazionali fin dalla
fine della seconda guerra mondiale venivano messi in discussione dagli stessi
Paesi che li avevano disegnati, primo tra tutti gli Stati Uniti, o che ne
avevano maggiormente beneficiato, la Cina; mai dall’Europa, e non è un caso
perché l’Europa attraverso il proprio ordinamento di protezione sociale aveva
attenuato alcune delle conseguenze più severe e più ingiuste della
globalizzazione; l’impossibilità di giungere a un accordo mondiale sul clima,
con le conseguenze che ciò ha sul riscaldamento globale.
E in Europa, abbiamo avuto
critiche alla stessa costruzione europea, alle quali si accompagnava un
crescente scetticismo, soprattutto dopo la crisi del debito sovrano e
dell’euro, nei confronti di alcune regole, ritenute fino ad allora essenziali
per il funzionamento dell’Europa e dell’euro. Questa regole erano
sostanzialmente, ricordate: il patto di stabilità, la disciplina del mercato
unico, della concorrenza e degli aiuti di stato. Queste regole sono state
successivamente sospese o attenuate, a seguito dell’emergenza causata
dall’esplosione della pandemia.
L’inadeguatezza di alcuni di
questi assetti era diventua da tempo evidente. Ma, piuttosto che procedere
celermente a una loro correzione, cosa che fu fatta, parzialmente, solo per il
settore finanziario, si lasciò, per inerzia, per timidezza e per interesse, che
questa critica precisa e giustificata divenisse, nel messaggio populista, una
critica contro tutto l’ordine esistente. Questa incertezza non è insolita, ma è
caratteristica dei percorsi verso nuovi ordinamenti. Questa incertezza è stata
poi amplificata dalla pandemia. Il distanziamento sociale è una necessità e una
responsabilità collettiva. Ma è fondamentalmente innaturale per le nostre
società che vivono sullo scambio, sulla comunicazione interpersonale e sulla
condivisione. È ancora incerto, come dicevo, quando un vaccino sarà
disponibile, quando potremo recuperare la normalità delle nostre relazioni.
Tutto ciò è profondamente
destabilizzante. Dobbiamo ora pensare a riformare l’esistente senza abbandonare
i principi generali che ci hanno guidato in questi anni: l’adesione all’Europa
con le sue regole di responsabilità, ma anche di interdipendenza comune e di
solidarietà; il multilateralismo con l’adesione a un ordine giuridico mondiale.
Il futuro non è in una realtà
senza più punti di riferimento, che potrebbe, come è successo in passato, si
pensi agli anni 70 del secolo scorso, che effettivamente sono stati l’ultimo
periodo di grande instabilità, si pensi che in quel periodo per quello che
rigurardi l’Italia, l’inflazione passò dal 5% del ’70 al 21% alla fine di
quegli anni e la disoccupazione dal 4 al 7%. La Lira in quegli anni perse metà
del suo valore. Un’esperienza anche di altri Paesi. Effetto di periodi che per
vari motivi non hanno avuto punti di riferimento. In quegli anni ci fu il primo
vero aumento del prezzo del petrolio, l’abbandono del sistema dei pagamenti
internazionali che aveva accompagnato il mondo dalla seconda guerra mondiale
all’inizio degli anni ’70, la guerra dello Yom Kippur, avvenimenti di grande
significato e che avevano sostanzialmente reso obsoleti e superati quei
principi.
Ma questo a cosa ha portato?
Ha portato a politiche erratiche e certamente meno efficaci, a minor sicurezza
interna ed esterna, a maggiore disoccupazione. Ma questo non è il futuro. Il
futuro è nelle riforme anche profonde dell’esistente. E occorre pensarci subito.
Ci deve essere di ispirazione l’esempio di coloro che ricostruirono il mondo,
l’Europa, l’Italia dopo la seconda guerra mondiale.
Si pensi ai leader che,
ispirati da J.M. Keynes, si riunirono a Bretton Woods nel 1944 per la creazione
del Fondo Monetario Internazionale, si pensi a De Gasperi, che nel 1943
scriveva la sua visione della futura democrazia italiana e a tanti altri che in
Italia, in Europa, nel mondo immaginavano e preparavano il dopoguerra. La loro
riflessione sul futuro iniziò ben prima che la guerra finisse, e produsse nei
suoi principi fondamentali l’ordinamento mondiale e europeo che abbiamo
conosciuto.
È probabile che le nostre
regole europee non vengano riattivate per molto tempo e quando lo saranno
certamente non lo saranno nella loro forma attuale. La ricerca di un senso di
direzione richiede che una riflessione e che questa riflessione inizi
subito.Proprio perché oggi la politica economica è più pragmatica e i leader
che la dirigono possono usare maggiore discrezionalità, occorre essere molto
chiari sugli obiettivi che ci poniamo.
La ricostruzione di questo
quadro in cui gli obiettivi di lungo periodo sono intimamente connessi con
quelli di breve è essenziale per ridare certezza a famiglie e imprese, ma sarà
inevitabilmente accompagnata da stock di debito destinati a rimanere elevati a
lungo. Questo debito, sottoscritto, comprato, da Paesi, istituzioni, mercati e
risparmiatori. E questo debito sarà sostenibile, continuerà cioè a essere
sottoscritto in futuro, se utilizzato a fini produttivi. Ad esempio
investimenti nel capitale umano, nelle infrastrutture cruciali per la
produzione, nella ricerca e altri impieghi. Se cioè sarà considerato
“debito buono”. La sua sostenibilità verrà meno se invece verrà utilizzato per
fini improduttivi, se sarà considerato “debito cattivo”. I bassi tassi di
interesse non sono di per sé una garanzia di sostenibilità: la percezione della
qualità del debito contratto è altrettanto importante. Quanto più questa
percezione si deteriora tanto più incerto diviene il quadro di riferimento con
effetti sull’occupazione, l’investimento e i consumi.
Il ritorno alla crescita, una
crescita che rispetti l’ambiente e che non umili la persona, è divenuto un
imperativo assoluto: perché le politiche economiche oggi perseguite siano
sostenibili, per dare sicurezza di reddito specialmente ai più poveri, per
rafforzare una coesione sociale resa fragile dalla pandemia e dalle difficoltà
che l’uscita dalla recessione comporterà nei mesi a venire, per costruire un
futuro di cui le nostre società oggi intravedono i contorni.
L’obiettivo è impegnativo ma
non irraggiungibile se riusciremo a disperdere l’incertezza che oggi aleggia
sui nostri Paesi. Stiamo sì ora assistendo a un rimbalzo nell’attività
economica con la riapertura delle nostre economie.
Vi sarà un recupero dal
crollo del commercio internazionale e dei consumi interni, si pensi che il
risparmio delle famiglie nell’area dell’euro è arrivato al 17% dal 13% dello
scorso anno. Potrà esservi una ripresa degli investimenti privati e del
prodotto interno lordo che nel secondo trimestre del 2020 in qualche Paese era
tornato a livelli di metà anni 90. Ma una vera ripresa dei consumi e degli
investimenti si avrà soltanto col dissolversi dell’incertezza che oggi
osserviamo e con politiche economiche che siano allo stesso tempo efficaci
nell’assicurare il sostegno delle famiglie e delle imprese e credibili, perché
sostenibili nel lungo periodo.
Il ritorno alla crescita e la
sostenibilità delle politiche economiche sono essenziali per rispondere al
cambiamento dei desideri delle nostre società, a cominciare da un sistema
sanitario dove l’efficienza si misuri anche nella preparazione alle catastrofi
di massa.
La protezione dell’ambiente,
con la riconversione delle nostre industrie e dei nostri stili di vita, è
considerata dal 75% delle persone nei 16 maggiori Paesi al primo posto nella
risposta dei governi a quello che è il più grande disastro sanitario dei nostri
tempi. La digitalizzazione, imposta dal cambiamento delle nostre abitudini di
lavoro, accelerata dalla pandemia, è destinata a rimanere una caratteristica
permanente delle nostre società. È divenuta necessità: si pensi che negli Stati
Uniti la stima di uno spostamento permanente del lavoro dagli uffici alle
abitazioni è oggi del 20% del totale dei giorni lavorati. Vi è però un settore,
essenziale per la crescita e quindi per tutte le trasformazioni che ho appena
elencato, dove la visione di lungo periodo deve sposarsi con l’azione
immediata: l’istruzione e, più in generale, l’investimento nei giovani.
Questo è stato sempre vero ma
la situazione presente rende imperativo e urgente un massiccio investimento di
intelligenza e di risorse finanziarie in questo settore. La partecipazione alla
società del futuro richiederà ai giovani di oggi ancor più grandi capacità di
discernimento e di adattamento. Se guardiamo alle culture e alle nazioni che
meglio hanno gestito l’incertezza e la necessità del cambiamento, hanno tutte
assegnato all’educazione il ruolo fondamentale nel preparare i giovani a
gestire il cambiamento e l’incertezza nei loro percorsi di vita, con saggezza e
indipendenza di giudizio.
Ma c’è anche una ragione
morale che deve spingerci a questa scelta e a farlo bene: il debito creato con
la pandemia è senza precedenti e dovrà essere ripagato principalmente da coloro
che sono oggi i giovani. È nostro dovere far sì che abbiano tutti gli strumenti
per farlo pur vivendo in società migliori delle nostre. Per anni una forma di
egoismo collettivo ha indotto i governi a distrarre capacità umane e altre
risorse in favore di obiettivi con più certo e immediato ritorno politico: ciò
non è più accettabile oggi. Privare un giovane del futuro è una delle forme più
gravi di diseguaglianza.
Alcuni giorni prima di
lasciare la presidenza della Banca centrale europea lo scorso anno, ho avuto il
privilegio di rivolgermi agli studenti e ai professori dell’Università
Cattolica di Milano. Lo scopo della mia esposizione in quell’occasione era
cercar di descrivere quelle che considero le tre qualità indispensabili a
coloro che sono in posizioni di potere: la conoscenza per cui le decisioni
devono essere basate sui fatti, non soltanto sulle convinzioni; il coraggio che
richiedono le decisioni specialmente quando non si conoscono con certezza tutte
le loro conseguenze, poiché l’inazione ha essa stessa conseguenze e non esonera
dalla responsabilità; e infine l’umiltà di capire che il potere che hanno i
nostri policy makers è
stato affidato loro non per un uso arbitrario, ma per raggiungere gli obiettivi
che il legislatore ha loro assegnato nell’ambito di un preciso mandato.
Riflettevo allora sulle
lezioni apprese nel corso della mia carriera: non avrei certo potuto immaginare
quanto velocemente e quanto tragicamente i nostri leader sarebbero stati
chiamati a mostrare di possedere queste qualità. La situazione di oggi richiede
però un altro impegno speciale: come già osservato, l’emergenza ha richiesto
maggiore discrezionalità nella risposta dei governi, che non nei tempi
ordinari: maggiore del solito dovrà allora essere la trasparenza delle loro
azioni, la spiegazione della loro coerenza con il mandato che hanno ricevuto e
con i principi che lo hanno ispirato. La costruzione del futuro, perché le sue
fondazioni non poggino sulla sabbia, non può che vedere coinvolta tutta la
società che deve riconoscersi nelle scelte fatte perché non siano in futuro
facilmente reversibili.
Trasparenza e condivisione
sono sempre state essenziali per la credibilità dell’azione di governo; lo sono
specialmente oggi quando la discrezionalità che spesso caratterizza l’emergenza
si accompagna a scelte destinate a proiettare i loro effetti negli anni a
venire. Questa affermazione collettiva dei valori che ci tengono insieme,
questa visione comune del futuro che vogliamo costruire si deve ritrovare sia a
livello nazionale, ma anche a livello europeo. La pandemia ha severamente
provato la coesione sociale ma anche a livello globale e resuscitato tensioni
anche tra i Paesi europei.
Da questa crisi l’Europa può
uscire rafforzata. L’azione dei governi poggia su un terreno reso solido dalla
politica monetaria. Il fondo per la generazione futura, il NextGenerationEu arricchisce gli strumenti della
politica europea. Il riconoscimento del ruolo che un bilancio europeo può avere
nello stabilizzare le nostre economie, l’inizio di emissioni di debito comune,
sono importanti e possono diventare il principio di un disegno che porterà a un
ministero del Tesoro comunitario la cui funzione nel conferire stabilità
all’area dell’euro è stata affermata da tempo.
Dopo decenni che hanno visto
nelle decisioni europee il prevalere della volontà dei governi, il cosiddetto
metodo intergovernativo, la Commissione è ritornata al centro dell’azione. In
futuro speriamo che il processo decisionale torni così a essere meno difficile,
che rifletta la convinzione, sentita dai più, della necessità di un’Europa
forte e stabile, in un mondo che sembra dubitare del sistema di relazioni internazionali
che ci ha dato il più lungo periodo di pace della nostra storia.
Ma non dobbiamo dimenticare
le circostanze che sono state all’origine di questo passo avanti per l’Europa:
la solidarietà sarebbe dovuta essere stata spontanea, è stata il frutto di negoziati.
Né dobbiamo dimenticare che nell’Europa forte e stabile che tutti vogliamo, la
responsabilità si accompagna e dà legittimità alla solidarietà.
Perciò questo passo avanti ci
sarà e dovrà essere cementato dalla credibilità delle politiche economiche a
livello europeo e direi soprattutto nazionale. Allora non si potrà più, come
sostenuto da taluni, dire che i mutamenti avvenuti a causa della pandemia
nell’ordinamento europeo sono temporanei. Potremo bensì considerare la
ricostruzione delle economie europee veramente come un’impresa condivisa da
tutti gli europei, un’occasione per disegnare un futuro comune, come abbiamo
fatto tante volte in passato.
È nella natura del progetto
europeo evolversi gradualmente e prevedibilmente, con la creazione di nuove
regole e di nuove istituzioni: l’introduzione dell’euro seguì logicamente la
creazione del mercato unico; la condivisione europea di una disciplina dei
bilanci nazionali, prima, l’unione bancaria, dopo, furono conseguenze
necessarie della moneta unica. La creazione di un bilancio europeo, anch’essa
prevedibile nell’evoluzione della nostra architettura istituzionale, un giorno
correggerà questo difetto che ancora permane. Questo è tempo di incertezza, di
ansia, ma anche di riflessione, di azione comune.
La strada si ritrova
certamente e non siamo soli nella sua ricerca. Dobbiamo, lo dico ancora
un’ultima volta, essere vicini ai giovani investendo nella loro preparazione.
Solo allora, con la buona coscienza di chi assolve al proprio compito, potremo
ricordare ai più giovani che il miglior modo per ritrovare la direzione del
presente è disegnare il tuo futuro.
video
https://youtu.be/afHpN7Un02o
Nessun commento:
Posta un commento