Il Festival di Sanremo, Achille Lauro e il confutatis maledictis
Che si sia credenti o non credenti, osservanti o trasgressori, il mancato rispetto per la tradizione biblica, ebraica e cristiana, esibito da Lauro non è altro che una forma soft di cancel culture, la migliore alleata di chi abbatte i Buddha o incendia chiese. L’intervento di Vittorio Robiati Bendaud, saggista e coordinatore del tribunale rabbinico del Centro-Nord Italia (ne riportiamo alcuni brani)
Devo premettere che sono ben strano animale: non ho mai seguito nessuna edizione del Festival di Sanremo e il mio distaccato interesse è sempre stato per lo più di natura antropologica. Quanto alla musica, amo gli irlandesi – The Dubliners, The Chieftains o The High Kings -, Edith Piaf, Amalia Rodrigues, l’opera, la polifonia, la musica sacra barocca e, da sempre, il gregoriano.
E, circa il Festival, il problema, poi, differentemente da certe miserrime polemiche che l’hanno preceduto, non è che vi possano essere persone gay o trans a condurlo o a intervenirvi. (…)
I problemi sono altri. E si dovrebbe partire
da lontano, ossia da quando artisti pop, più o meno bravi, in un contesto
modaiolo e di divertimento, eminentemente commerciale (fatto determinante),
sono via via assurti a esperti di morale e di politica, a testimonial (e
rattrista assai pensare che “martire”, nella sua origine greca, voglia dire
“testimone”!), passando indebitamente e rovinosamente dall’ipse psallit (così
cantò) all’ipse dixit (così si pronunciò, di aristotelica memoria), forgiando
il cosiddetto, penoso, mainstream.
Vi è poi ora Achille Lauro,
il cui nome d’arte è in sé volutamente angoscioso e inquietante, con rimandi a
vicende più che tragiche per la storia italiana ed ebraica contemporanea.
E, infine, vi è il fattaccio del
battesimo da costui mimato al Festival.
Per decifrare di che si tratti occorre tornare a Charlie Hebdo. Io non sono mai stato Charlie e ho sempre trovato ripugnante la satira estrema perseguita ossessivamente dalla rivista francese. Ciononostante, ritengo che Charlie abbia tutto il diritto di esistere e di fare quanto fa, in libertà e sicurezza, e assolutamente nulla può giustificare o ridimensionare l’orrenda gravità dell’attentato islamico (motivo per cui ancora ritengo poco felici le parole che al riguardo ebbe anni fa papa Francesco:” Chi insulta la fede si aspetti un pugno”). (*)
Si potrebbe considerare, e con
indubbie e rilevanti ragioni, che Charlie è una rivista privata, mentre il canale del Festival è televisione
di Stato, per cui tutti, volenti o nolenti, paghiamo il canone. (…)
Ma vi è di più, che è poi il vero discrimine. Charlie è interprete di una satira politica-religiosa estrema (per me non recepibile), tesa a un’aspra polemica politico-culturale; il Festival, con il battesimo mimato, irride il cristianesimo per fare notizia e attrarre reazioni contrarie, che aumentino il chiasso e dunque la visibilità e l’audience. Non è cioè un’operazione satirica, per quanto detestabile, ma un mero prodotto commerciale, “liquido”, cosa ben più squallida e insidiosa. Ciò premesso, restano alcuni dati macroscopici circa il “battesimo del Lauro” che non possiamo tacere o far finta di non vedere:
la vigliaccheria di certa, presunta, “cultura” e, ancor più, la distruzione di un simbolico.
Come molti dileggiatori
contemporanei del cristianesimo (tanto sofisticati che gretti e grossolani), questi presunti trasgressori
(omaggianti il più trito, confortevole e redditizio mainstream) si guardano bene dal toccare l’islam,
sia perché ne ignorano i minimi riferimenti simbolici e culturali (e, infatti,
nel caso, in proposito si assiste solo a rappresentazioni volgari e ignoranti,
di solito avanzate da destre xenofobe o da libertari poco sul pezzo) sia
perché, ancor più e anzitutto, ne hanno paura.…
Vi è, infine, l’ultimo punto, il più dolente, quello afferente alla distruzione del simbolico. Lauro impiega vestigia del simbolico biblico o specificatamente cristiano; ferisce quel simbolico perché non vi usa rispetto; lo banalizza, erodendolo, allo scopo di far sensazione – ossia, infine, per lucro -; spera nella pubblicità gratuita della critica; si trincera dietro la libertà d’espressione o di ricerca artistica. La strategia è chiara. (...)
Come scriveva nel 2017 uno dei
più interessanti e lucidi intellettuali contemporanei, Douglas Murray,
un pensatore omosessuale agnostico, autore recentemente del fondamentale” La pazzia delle folle: Gender, razza e
identità”, viviamo in mezzo alle rovine della civiltà ebraica e cristiana e
non ne comprendiamo più il senso: la cattedrale di Chartres esiste ancora oggi,
ma non sappiamo più che cosa significhi.
Che si sia credenti – indipendentemente dalla confessione – o non credenti, osservanti o trasgressori, il mancato rispetto per la tradizione biblica, ebraica e cristiana, esibito da Lauro non è altro che una forma soft di cancel culture, la migliore alleata di chi abbatte i Buddha nell’Asia centrale o di chi incendia decine di chiese nel cuore della Francia. E, se abbatte questa radice , cosa mai potrà restare dell’Occidente? (…..)
Quanto mi piacerebbe che i
milioni di persone coinvolte dell’esperimento antropologico del Festival di
Sanremo potessero ascoltare e apprezzare, almeno una volta nella vita, l’Adoro
Te devote, inno straordinario, attribuito con ogni probabilità a Tommaso
d’Aquino, in cui la teologia si fa poesia; in cui le verità teologiche,
come nell’inno alla Vergine di Dante, portano la lingua al massimo della
tensione sostenibile; dove la musica, nel suo nitore essenziale, deve non
essere troppo inadeguata rispetto al sublime indicibile che deve accompagnare e
trasporre.
Per apprezzarlo non è affatto
necessario credere oppure aderire al culto cattolico (e così vale per molti
testi liturgici ebraici o per certe architetture religiose islamiche), ma
“basta” essere persone che cercano e apprezzano il bello, l’eleganza, il senso
e che da questi sono sorpresi.
Ridicolizza il battesimo e,
presto o tardi, ridicolizzerai e devasterai Giotto, Duccio da Boninsegna,
Caravaggio, Bernini, Dante, Mozart e Vivaldi, un infinito numero di chiese e
sinagoghe, di biblioteche e, non da ultimo, perché no, di persone.
Dietrich Bonhoeffer, il
grande teologo protestante che, pagando con la vita, si oppose a Hitler e
che cercò doverosamente e santamente di sopprimerlo, disse che soltanto chi
gridava a favore degli ebrei poteva permettersi di intonare il gregoriano. Se
questo è assolutamente vero, è altrettanto vero che oggi, per salvare
l’Occidente, e con esso la civiltà, occorre salvare il gregoriano (e salvarci
da Sanremo).
(*) nota su libertà religiosa e libertà di espressione
INCONTRO DEL
SANTO PADRE CON I GIORNALISTI
DURANTE IL VOLO VERSO MANILA
Volo Papale
Giovedì, 15 gennaio 2015
(…)
Sébastien Maillard Giornalista Francese.
Santo Padre, ieri mattina durante la Messa ha parlato della libertà
religiosa come diritto umano fondamentale. Ma nel rispetto delle diverse
religioni fino a che punto si può arrivare nella libertà di espressione, che
anche quella è un diritto umano fondamentale? Grazie.
(Papa Francesco)
Grazie della domanda, è intelligente. Credo che tutte e due siano
diritti umani fondamentali: la libertà religiosa e la libertà di espressione.
Non si può… pensiamo… Lei è francese, andiamo a Parigi! Parliamo chiaro. Non si
può nascondere una verità, che ognuno ha il diritto di praticare la propria
religione, senza offendere, liberamente. Così facciamo, vogliamo fare tutti.
Secondo, non si può offendere, fare la guerra, uccidere in nome della propria
religione, cioè in nome di Dio. A noi quello che succede adesso ci fa un po’…
ci stupisce. Ma sempre pensiamo alla nostra storia: quante guerre di religione
abbiamo avuto! Lei pensi alla “notte di San Bartolomeo”… come si capisce
questo? Anche noi siamo stati peccatori su questo. Ma non si può uccidere in
nome di Dio. Questa è una aberrazione. Uccidere in nome di Dio è
un’aberrazione. Credo che questo sia la cosa principale sulla libertà di
religione: si deve fare con libertà, senza offendere, ma senza imporre ed
uccidere.
La libertà di espressione. Ognuno non solo ha la libertà, il
diritto, ha anche l’obbligo di dire quello che pensa per aiutare il bene
comune. L’obbligo. Pensiamo ad un deputato, ad un senatore: se non dice quello
che pensa che sia la vera strada, non collabora al bene comune. E non solo
questi, tanti altri. Abbiamo l’obbligo di dire apertamente, avere questa
libertà, ma senza offendere. Perché è vero che non si può reagire
violentemente, ma se il dott. Gasbarri, grande amico, mi dice una parolaccia
contro la mia mamma, gli arriva un pugno! E’ normale! E’ normale. Non si può provocare,
non si può insultare la fede degli altri, non si può prendere in giro la fede.
Papa Benedetto in un discorso – non ricordo bene dove – aveva parlato di questa
mentalità post-positivista, della metafisica post-positivista, che portava alla
fine a credere che le religioni o le espressioni religiose sono una sorta di
sottocultura, che sono tollerate, ma sono poca cosa, non fanno parte della
cultura illuminata. E questa è un’eredità dell’illuminismo. Tanta gente che
sparla delle religioni, le prende in giro, diciamo “giocattolizza” la religione
degli altri, questi provocano, e può accadere quello che accade se il dott.
Gasbarri dice qualcosa contro la mia mamma. C’è un limite. Ogni religione ha
dignità, ogni religione che rispetti la vita umana, la persona umana. E io non
posso prenderla in giro. E questo è un limite. Ho preso questo esempio del
limite, per dire che nella libertà di espressione ci sono limiti come quello
della mia mamma. Non so se sono riuscito a rispondere alla domanda. Grazie.
https://formiche.net/2022/02/festival-sanremo-achille-lauro-bendaud/
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