mercoledì 23 febbraio 2022

L’ETERNO RITORNO DELLA RUSSIA

 La storia è maestra di vita. L'allargamento della Nato a Est non poteva essere infinito, era chiaro a molti  fin dall'inizio negli anni Novanta, ma l'allarme sulle conseguenze a lungo termine rimase inascoltato. Quella scadenza con la storia è arrivata ieri sera: Vladimir Putin ha parlato alla nazione per oltre un'ora e poi ha messo la firma sul riconoscimento delle repubbliche separatiste del Donbass.

di Marco Patricelli

I russi sentono sempre forte il richiamo del sangue. Anche Putin. Anche Stalin. In tutti i sensi. È un fattore congenito, senza mutazioni dall’epoca zarista a quella sovietica e a quella contemporanea. Cambiano i nomi, cambiano i territori, ma la storia è la stessa. Dove ci sono i russi c’è la Russia e prima o poi un modo si trova per ribadirlo, una scusa, un trucchetto, tanto il mondo solitamente si attiene al primo comma del primo articolo del codice militare internazionale non scritto: mai contro Mosca.

Che il 1° settembre 1939 Hitler abbia attaccato la Polonia senza dichiarazione di guerra lo sanno pure le pietre della strada, ma trovare qualcuno pronto a ricordare che il 17 settembre Stalin fece la stessa identica cosa (attenendosi peraltro al protocollo segreto del Patto Ribbentrop-Molotov) lo ricordano sulla loro pelle solo i polacchi e gli storici. Ma dovrebbe essere ben tenuto a mente nei giorni della crisi ucraina e dello strappo del riconoscimento formale delle repubblichette separatiste da parte dello Zar del Cremlino, l’autocrate mascherato da presidente.

Torniamo indietro nel tempo. Alle 3 del mattino del 17 settembre l'ambasciatore polacco a Mosca, Wacław Grzybowski,  veniva buttato giù dal letto per ricevere dalle mani di Molotov una nota  con la quale il Governo sovietico sancisce il suo punto di vista sulla guerra scatenata da Hitler: «Il governo polacco ha collassato e non dà segni di vita. Ciò indica che lo Stato e il Governo polacco hanno cessato di esistere a tutti gli effetti». La premessa serve a giustificare il passo successivo: «I trattati conclusi tra la Polonia e l’Unione sovietica non hanno più validità». Già, perché tra i due Paesi era in vigore dal 1932 un Patto di non aggressione che diventava unilateralmente carta straccia. Il motivo? «Il governo di Mosca non può tollerare che i propri fratelli di sangue ucraini e bielorussi viventi in territorio polacco siano abbandonati al loro destino senza alcuna protezione. Per queste ragioni il governo sovietico ha dato istruzioni al comando supremo dell'Armata Rossa di ordinare all’esercito di oltrepassare il confine allo scopo di proteggere le popolazioni e i loro averi nell'Ucraina e nella Russia Bianca occidentale». Non è una dichiarazione di guerra, quella comunicata a Grzybowski, ma una dichiarazioni d’intenti. E per tranquillizzare le cancellerie europee, Molotov fa sapere che l’URSS rispetterà  la neutralità della Finlandia (che invece attaccherà il 30 novembre) e riconosce la Slovacchia (gesto che non interessa nessuno, e forse neppure gli slovacchi).

Ma cosa succede nelle terre “liberate” dall’Armata Rossa, che attacca la Polonia alle sei (tre ore dopo la comunicazione all’ambasciatore) con 30 divisioni di fanteria e 82 tra meccanizzate e blindate, ovvero circa 1.500.000 di uomini, 6.000 carri armati, 1.800 aerei e 9.000 cannoni? L’URSS, con l'invasione e le rettifiche al Patto Ribbentrop-Molotov, si appropria del 52% del territorio polacco (200.000 chilometri quadrati) e del 38% della popolazione (13 milioni e mezzo). Ma poiché una qualche forma di legalità nell’ambito del diritto internazionale ci vuole, Stalin dispone che nella Bielorussia occidentale e nell’Ucraina occidentale (così sono state prontamente ribattezzate le conquiste militari) il 22 ottobre 1939 si tengano elezioni a lista unica sotto la sorveglianza dei commissari del popolo e dell’Armata Rossa. Tutto si svolge tranquillamente e la popolazione si reca «volontariamente» alle urne dopo essere stata catechizzata dai propagandisti sovietici: vincono gli oltre 2.400 candidati unici, in buona parte espressione dell’esercito invasore che per stare tranquillo ha partecipato al voto per mancanza di candidati locali comunisti.

Putin firma il riconoscimento delle repubbliche
separatiste del Donbass

 I delegati si riuniscono il 27 ottobre a Leopoli e il 29 a Białystok per chiedere l’annessione all’URSS e il Soviet supremo, con decreti del 1° e del 2 novembre, generosamente raccogliere l’«espressione spontanea della volontà della popolazione» e accoglie la Bielorussia occidentale e l’Ucraina occidentale rispettivamente nella Repubblica socialista sovietica bielorussa e in quella ucraina. Dopo di che i sovietici scatenano ucraini e contadini contro i proprietari terrieri polacchi, i kulaki e i poliziotti, e quindi avviano persecuzioni e deportazioni in grande scala per decapitare la classe dirigente polacca. Il massacro di Katyn, con l’eliminazione di oltre 20.000 ufficiali polacchi, era dietro l’angolo.

Il caso è ancora coperto in Russia dal segreto di Stato. L’ha apposto Vladimir Putin, lo stratega della Crimea e del Donbass, per il richiamo del sangue.  Ma tanto la storia non si ripete.

TRATTO DA LIST di Mario Sechi

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