venerdì 25 febbraio 2022

UN CONFLITTO IMPARI

 UN ATTACCO DI STAMPO SOVIETICO A UNA DEMOCRAZIA OCCIDENTALE IN CRISI DI MOTIVAZIONI

A tutta prima quella messa in atto da Putin sembra una mera prova di forza, tanto arrogante quanto spregiudicata. Sarebbe però un errore fermarsi a questa prima impressione: il presidente russo non è affatto uno sprovveduto, o uno che non usa la ragione prima di agire. Perché allora si è mosso con tale determinazione e proprio ora?

KIEV, Piazza dell'Indipendenza

 Io penso che molto c'entri l'idea che lui si è fatto in questi ultimi anni delle democrazie occidentali, che giudica profondamente in crisi: di obiettivi e motivazioni, non certo economica o tecnologica. Una crisi di valori che ha portato a uno scollamento sempre più forte fra le classi dirigenti e la gran massa della popolazione.

Chi, in Occidente, sarebbe disposto a seguire dei leader che decidessero di muovere guerra alla Russia? L'indecorosa fuga dall'Afghanistan dell'America di Biden non ha significato forse proprio questo, cioè un prendere atto da parte del presidente statunitense dell’impopolarità che presso i suoi concittadini avrebbe avuto la continuazione di un impegno in una terra così lontana, con il rischio per i militari di ritornare a casa in una bara avvolti in una bandiera a stelle e strisce? Un abisso separa le nuove generazioni da quelle che si impegnarono con tanta generosità nella seconda guerra mondiale per difendere la Patria e la Libertà.

Due elementi soprattutto marcano la differenza: lo scollamento fra élite e popolo, appunto, e l'incedere della secolarizzazione che ci porta sempre più ad esorcizzare e a cancellare la morte dall'orizzonte delle possibilità. Che ciò si sia poi riversato sulle istituzioni della democrazia liberale, che per sopravvivere hanno bisogno di una certa coesione civile, è stato naturale.

Ad andare in crisi, per Putin, non è stata però l'idea di democrazia ma l’ideologia liberale, che, come il leader russo affermò in una celebre intervista -rilasciata al Financial Times il 27 giugno 2019, cioè (e non è  caso), alla vigilia di un G7 -, «è entrata in conflitto con gli interessi della stragrande maggioranza della popolazione». E soprattutto con «i valori tradizionali», permettendo che si mettesse «in secondo piano la cultura, le tradizioni, e i valori  di nilioni di persone».

Proprio a conclusione dell'intervista, Putin si incamminò in uno spericolato parallelo fra la Gran Bretagna ove un nuovo leader può insediarsi senza passare per il voto diretto del popolo e la Russia dove «è diverso, perché siamo un Paese democratico››. E ne concluse che gli occidentali «non possono dettare niente a nessuno come hanno cercato di fare nel corso degli ultimi decenni».

Putin gioca quindi molto sul consenso, che per lui coincide con la democrazia. Sa di averne ancora tanto, soprattutto nelle masse rurali della “Russia profonda", anche se in calo dopo ventun anni di governo e una crisi strutturale sempre più profonda. E sa che presumibilmente il suo consenso aumenterà con l'attuale prova di forza in Ucraina.

Se così stanno le cose, a mio avviso dobbiamo porci almeno due domande: i Paesi occidentali fanno bene a giocare la loro partita solo con le armi delle sanzioni invece di rispondere sullo stesso terreno "culturale" su cui Putin ha impostato il proprio discorso? E dal loro punto di vista, gli occidentali hanno tutte le carte in regola oppure nella critica rivolta da Putin nei loro confronti c'è almeno una parte di verità?

Purtroppo, qui dobbiamo segnalare che l' Occidente oggi non ha una cultura, che anzi è portata a cancellare quella su cui storicamente ha costruito la propria forza. E dobbiamo anche ammettere che, accanto alle democrazie illiberali alla Putin, c'è sempre più strisciante nei nostri Paesi un certo “liberalismo autoritario" (formula non felice ma ormai affermatasi nel campo degli studi), che è appunto quello che ha neutralizzato la politica in favore delle dinamiche economiche e di quelle etico-giuridiche del "politicamente corretto" e del “dirittismo".

Solo se vinceremo la battaglia interna contro queste forze corrosive, ridando spazio e spessore alla politica, forse riusciremo a vincere anche la battaglia di lungo periodo con le autocrazie. Cerchiamo di uscire bene, ora, dalla crisi ucraina, ma cominciamo anche a guardare un po' oltre il nostro ombelico.

CORRADO OCONE


Corrado Ocone, si occupa di filosofia e teoria politica, con particolare attenzione alle tematiche del neoidealismo italiano e del pensiero liberale. Collabora a vari organi di stampa nazionali e a riviste scientifiche italiane e straniere. È direttore dell’area scientifica di “Nazione futura” e membro del comitati scientifici della Fondazione Cortese di Napoli, della Fondazione Craxi, della Fondazione Fare Futuro, della Fondazione Tatarella e dell’Istituto Internazionale Jacques Maritain

 

 

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