Ascoltare le parole
del papa: non c’è un “diritto a morire”, si potenzino le cure palliative
Non c’è dubbio sul fatto che la cultura della morte
stia dilatando la sua area di influenza e lo stia facendo a partire da due
istituzioni, la cui risonanza è enorme: il Parlamento e la Corte costituzionale.
Com’è noto alla Camera dei Deputati sarebbe dovuto iniziare il dibattito su
quella che viene comunemente chiamata come legge sul suicidio
assistito e martedì prossimo, 15 febbraio, la Corte
costituzionale dovrebbe esprimere il suo parere sulla ammissibilità del
referendum sull’omicidio del consenziente.In marcia per la vita
Sono evidentemente due modi diversi, convergenti, di
aprire all’eutanasia nell’ordinamento giuridico italiano. Questo avviene in
coincidenza di due eventi che hanno avuto e continuano ad avere un’ampia
ricaduta nell’opinione pubblica: la morte di Eluana Englaro, per cui il 9
febbraio è anche la giornata nazionale dedicata ai cosiddetti stati vegetativi,
e la prossima Giornata del malato, come sempre celebrata l’11 febbraio, in
occasione della festa della Madonna di Lourdes. Tante sfide che sollecitano le nostre
coscienze a riflettere e ad interrogarsi sul senso della vita e della morte, ma
anche un potente stimolo a chiedersi fino a dove si può spingere una legge:
cosa può consentire e cosa può proibire.
In altri termini, può la legge in discussione alla
Camera porre il diritto alla vita e il diritto a ricevere le cure necessarie a
tutelare la sua salute, sullo stesso piano di un eventuale diritto a morire?
Può una legge capovolgere uno dei diritti fondamentali fissati dalla nostra
Costituzione all’art. 32, e può stravolgere le finalità previste dalla legge
833, che istituisce il nostro Sistema sanitario nazionale? Il Ssn è tutelato in
modo specifico dal ministero della Salute e può un ministero che ha come
obiettivo la salute dei cittadini trasformarsi in un
organismo di morte?
Provvidenzialmente oggi è intervenuto in Udienza generale Papa Francesco affermando: “Non c’è un diritto alla morte. Dobbiamo accompagnare alla morte, ma non provocare la morte o aiutare chi ha deciso di suicidarsi. Ricordo che va sempre privilegiato il diritto alla cura e alla cura per tutti, affinché i più deboli, in particolare gli anziani e i malati, non siano mai scartati”. Ed è tornato più volte sul tema durante l’Udienza scandendo con forza le sue parole: “La vita è un diritto, non la morte, la quale va accolta, non somministrata. E questo principio etico riguarda tutti, non solo i cristiani o i credenti”.
“Non possiamo
evitare la morte”, ha detto Francesco, che ha
definito “immorale” l’accanimento terapeutico, ma nello stesso tempo ha
sottolineato il valore fondamentale delle cure palliative: “Dobbiamo
essere grati per tutto l’aiuto che la medicina si sta sforzando di dare,
affinché ogni persona che si appresta a vivere l’ultimo tratto di strada
della propria vita, possa farlo nella maniera più umana possibile”. Non ci
sono dubbi nel senso delle sue parole, per cui il monito che ha lanciato a
tutta l’Assemblea è apparso chiaro e inequivocabile: “Dobbiamo stare attenti a non confondere
questo aiuto con derive inaccettabili che portano a uccidere”.
Sappiamo tutti che la legge sull’eutanasia introdotta in Olanda e in Belgio circa 15 anni fa inizialmente prevedeva tutta una serie di vincoli e di garanzie che rendevano molto limitato il numero di persone che poteva accedervi. Oggi, in modo progressivamente sempre più veloce, le garanzie sono venute meno e il numero di pazienti che ricorrono all’eutanasia è cresciuto vertiginosamente. Chiedono di morire persone depresse, persone che si sentono sole, persone affette da vari tipi di demenza senile, ma anche anziani fragili e smarriti. E a loro si è rivolto Papa Bergoglio, dicendo: “Non accelerate la loro morte. Accarezzare un anziano ha la stessa speranza che accarezzare un bambino perché l’inizio della vita e la fine sono un mistero sempre, un mistero che va accompagnato, curato, amato”. Il Pontefice ha voluto sottolineare “un problema sociale ma reale: quello di pianificare, tra virgolette, non so se è la parola giusta – ha detto –, accelerare la morte degli anziani”. Ed è tornato su uno dei concetti cardine della sua catechesi: la cultura dello scarto, come segno del degrado umano e sociale che si genera nell’indifferenza e nell’egoismo. Tante volte – ha sottolineato – si vedono in un certo ceto sociale, anziani che non hanno mezzi economici e non possono procurarsi le medicine di cui hanno bisogno. “Questo è disumano. Questo non è aiutarli. Questo è spingerli più presto verso la morte. E questo non è umano né cristiano”.
In altri termini ha voluto segnalare quanto possa essere fuorviante il riferimento sistematico che pone l’accento sull’autodeterminazione del paziente, sulla sua libertà; mentre in realtà i vincoli in cui si imbatte sono pesantissimi e ne condizionano anche le decisioni più importanti, come quella di volere o non volere continuare a vivere. “Gli anziani – ha continuato sempre a braccio – vanno curati come un tesoro dell’umanità. Sono la nostra saggezza. E se non parlano, se sono senza senso, ma sono il simbolo della saggezza umana. Sono coloro che hanno fatto strada prima di noi e ci hanno lasciato tante cose belle, tanti ricordi, tanta saggezza”.
E così, per mille ragioni diverse, la legge in discussione alla Camera è slittata a marzo: un tempo per riflettere, cambiare, accantonare tutto ciò che in evidente conflitto con il principio fondamentale alla base delle relazioni familiari e dell’attività del medico. Il titolo stesso della norma appare da un lato inequivocabile: “Rifiuto di trattamenti sanitari e liceità dell’eutanasia”, e dall’altro in flagrante contraddizione con i principi e valori dell’agire medico. Se il rifiuto compete al soggetto, in prima persona, non si comprende perché questo renda lecita l’eutanasia. Dalla mia libertà non deriva la legittimazione di un comportamento finora considerato illegale, a norma dell’art. 580 del Codice penale. E la stessa sentenza della Corte costituzionale più volte invocata non fa alcun riferimento all’eutanasia. Nella legge, il cui dibattito è attualmente sospeso, si dice che la possibilità di ricorrere all’eutanasia è subordinata al fatto che la richiesta provenga da un soggetto maggiore d’età, capace di prendere decisioni libere e consapevoli e che risulti affetto da sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili.
In particolare, la legge (art. 3) richiede che la persona si trovi nelle seguenti condizioni: a) sia affetta da una patologia irreversibile o da prognosi infausta oppure portatrice di una condizione clinica irreversibile; b) sia tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale; c) sia assistita dalla rete di cure palliative o abbia espressamente rifiutato tale percorso assistenziale. Ora la legge considera queste tre condizioni come alternative, nel senso che non c’è bisogno che si diano tutte e tre contemporaneamente.Ma le condizioni cliniche irreversibili sono davvero tantissime, se si pensa, ad esempio, alle malattie rare. Oppure, il riferimento alle cure palliative può essere velleitario in tanti luoghi in cui non ci sono hospice, o non è stata attivata la rete domiciliare delle cure palliative. Basta pensare alle Regioni del Sud, in cui questo ambito è davvero drammaticamente assente.
Sono tante le ragioni per dubitare quindi dell’evoluzione applicativa di una norma così confusa e pasticciata. Speriamo che la Camera faccia la sua parte nel miglior modo possibile. In ogni caso in Senato faremo di tutto per fermare o cambiare radicalmente una legge di questo tenore, per non dare ulteriore adito a quella cultura dello scarto tante volte denunciata da papa Francesco.
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