Confessioni-capolavoro di un giornalista: "I colleghi mi chiesero il mio panino preferito. Risposi uno al pollo fritto. Ma era di proprietà di cristiani contrari alle nozze gay. E mi distrussero"
Questa era la Cecoslovacchia comunista degli anni
Sessanta e Settanta, che Louis
Aragon definì “il Biafra
della mente” e Heinrich Böll un “cimitero culturale”, per
descrivere la sterilità, la persecuzione e il silenzio che le autorità
filosovietiche avevano imposto alla vita culturale di Praga
Ecco cosa succede invece nel 2024 nel più blasonato giornale mainstream
e liberal (ma non per questo meno ideologicamente servile) se non esponi la
frase :
“Woke di tutto il mondo unitevi”.
Adam Rubenstein sull’Atlantic di questa settimana ha pubblicato un clamoroso
articolo-confessione sotto il titolo di “Ero un eretico al New York Times”:
“Ero felice che qualcuno come me, con un background di scrittura per
pubblicazioni di centrodestra, fosse il benvenuto sul giornale dei record. In
uno dei miei primi giorni al New York Times, sono andato a un orientamento con
più di una dozzina di altri nuovi assunti. Ho dovuto rispondere a una domanda che
mi chiedeva quale fosse il mio panino preferito. Mi è venuto in mente Super
Heebster di Russ & Daughters, ma ho pensato che citare un panino da 19
dollari non fosse un ottimo modo per conquistare nuovi amici. Così ho detto: ‘Il sandwich al pollo piccante di
Chick-fil-A’ e ho pensato di aver rotto il ghiaccio. Il rappresentante
delle risorse umane che guidava l’orientamento mi ha rimproverato: ‘Non lo
facciamo qui. Odiano i gay’. La gente cominciò a schioccare le dita in segno di
acclamazione. Non avevo pensato che Chick-fil-A fosse trasgressivo negli
ambienti liberal per l’opposizione del suo presidente al matrimonio gay. ‘Non la politica, il pollo’, ho
detto subito, ma era troppo tardi. Mi sono seduto, vergognandomi”.Adam Rubenstein
Non è un problema di differenza di idee. Non è neanche appartenenza
politica settaria, è piuttosto uno “state of mind”. Al New York Times credono
davvero di essere superiori antropologicamente. E questo li ha portati a
diventare la bandiera di un politicamente corretto perbenista e censorio, fino
al ridicolo. Fino a non voler mangiare il pollo fritto “omofobo”. Un
conformismo che accende fuochi fatui e palustri.
Al New York Times puoi decidere che le donne non sono più
donne ma “mestruatrici”,
puoi stabilire che
la parola “black” vuole la maiuscola e “white” il minuscolo, puoi domandarti se
l’estinzione del genere umano non sia cosa buona e giusta per il clima o se non
sia il caso di “cancellare
Aristotele” visto che era a favore della schiavitù. Ma se un
giornalista mangia il pollo fritto di un’azienda conservatrice, questo si
merita la gogna.
A spicy sandwich and ideological battles |
Rubenstein, giornalista ebreo conservatore, continua sull’Atlantic ricordando
gli editoriali del Times firmati da Moammar Gheddafi,
Recep Tayyip Erdogan e Vladimir Putin che non hanno prodotto alcuna polemica
interna alla redazione. "L'anno scorso abbiamo pubblicato un articolo del
sindaco di Gaza City nominato da Hamas e pochi sembravano preoccuparsene",
scrive Rubenstein sull’Atlantic. "Hanno pubblicato la
difesa del portavoce del Partito comunista cinese, Regina Ip, della repressione
omicida della Cina sulle proteste a favore della democrazia a Hong Kong e un
articolo di un leader dei Talebani, Sirajuddin Haqqani (nella cui
casa è stato ucciso il leader di al Qaeda Ayman al-Zawahiri).
Nessuno di questi ha suscitato scalpore.
Ma se il giornale sia disposto a pubblicare opinioni conservatrici su
questioni politiche controverse, come il diritto all'aborto e il Secondo
Emendamento, rimane una questione aperta. ‘Lo Stato di Israele mi mette molto a
disagio’, mi ha detto una volta un collega. Questo era qualcosa che ero
abituato a sentire dai giovani progressisti nei campus universitari, ma non al
lavoro. C’era la sensazione che pubblicare occasionalmente voci conservatrici
facesse sembrare il giornale centrista. Ma presto mi sono reso conto che le
voci conservatrici che pubblicavamo tendevano ad essere d’accordo con la linea
liberal".The New York Times for Kids section often
pushes LGBTQ ideology to children.
Una
vota la stampa in Occidente si permetteva il lusso della libertà, si
avventurava dove non si aspettava di trovare la verità, metteva in discussione
l’ufficialità socialmente accettata, ora questo compito sembra essere stato
delegato a pochi superstiti di quello spirito d’avventura oltre la coltre del
conformismo che, invariabilmente, pagano un prezzo molto alto. D’altronde, la
libertà non è un pasto gratis…
(…)
Dal Guardian anche Hadley
Freeman se ne è dovuta andare in quanto “bigotta”. Freeman
aveva criticato, da donna, il transgender. L’uomo del meteo di France 2
(l’equivalente di Rai 1), Philippe
Verdier, è stato cacciato dalla televisione di Stato per aver
scritto un libro sui cambiamenti climatici, denunciando molte tesi
assurde di “allarmisti” e “catastrofisti”.
Wolfgang
Wagner, direttore della rivista Remote Sensing, si è
dimesso dopo un articolo che metteva in dubbio il cambiamento climatico
provocato dall'uomo e secondo cui i modelli computerizzati del clima hanno
gonfiato le proiezioni dell'aumento della temperatura.
Jonathan
Bradley è stato cacciato da un giornale studentesco per aver
difeso idee cattoliche sull’omosessualità e il gender.
Ian Buruma |
Si è dimesso dal New York Magazine Andrew Sullivan,
dopo che non gli hanno pubblicato un articolo contro Black Lives Matter. David Mastio era
vice redattore della pagina degli editoriali di USA Today (il più
venduto giornale d’America), fino a quando ha “peccato” per aver definito
l'idea che gli uomini possano rimanere incinti un’“opinione”.
Il quotidiano scozzese di
sinistra West Highland
Free Press ha cacciato un giornalista e un
editorialista per aver osato scrivere di Islam. E Tara Henley, una delle più note
giornaliste canadesi, si è dimessa dalla
dalla tv pubblica dopo averla accusata di costringere i dipendenti ad “aderire
con entusiasmo a un'agenda radical”.
“Non la politica, il pollo”. Che
slogan fantastico, degno di Havel e del rinoceronte di Ionesco, e che andrebbe
stampato in fronte a tutti i fanatici woke e sotto alla testata di tutti
i quotidiani italiani.
Anche se è una di quelle famose speranze che sono le ultime a morire ma
che, infallibilmente, muoiono, in questo “Biafra woke” che sembra essere
diventato l’Occidente.
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