lunedì 4 marzo 2024

ERO UN ERETICO AL NEW YORK TIMES

 Confessioni-capolavoro di un giornalista: "I colleghi mi chiesero il mio panino preferito. Risposi uno al pollo fritto. Ma era di proprietà di cristiani contrari alle nozze gay. E mi distrussero"

 

“Ripetiamo a pappagallo slogan in cui non crediamo per proteggere i mezzi di sussistenza, come il fruttivendolo di Václav Havel”. Così la giornalista che se ne è andata dal New York Times, Bari Weiss, in un saggio sul giornale tedesco Die Welt. Il riferimento è alla famosa storia di Havel, drammaturgo, dissidente e presidente ceco dopo il comunismo. "Un fruttivendolo espone tra le mele e le carote una frase: ‘Lavoratori di tutto il mondo unitevi’. Perché lo fa? Perché così facendo dichiara la propria fedeltà, nel solo modo che il regime è in grado di recepire, accettando il rituale prescritto e le regole fissate del gioco”. 

Questa era la Cecoslovacchia comunista degli anni Sessanta e Settanta, che Louis Aragon definì “il Biafra della mente” e Heinrich Böll un “cimitero culturale”, per descrivere la sterilità, la persecuzione e il silenzio che le autorità filosovietiche avevano imposto alla vita culturale di Praga

Ecco cosa succede invece nel 2024 nel più blasonato giornale mainstream e liberal (ma non per questo meno ideologicamente servile) se non esponi la frase :

“Woke di tutto il mondo unitevi”.

 

Adam Rubenstein sull’Atlantic di questa settimana ha pubblicato un clamoroso articolo-confessione sotto il titolo di “Ero un eretico al New York Times”:

Adam Rubenstein
“Ero felice che qualcuno come me, con un background di scrittura per pubblicazioni di centrodestra, fosse il benvenuto sul giornale dei record. In uno dei miei primi giorni al New York Times, sono andato a un orientamento con più di una dozzina di altri nuovi assunti. Ho dovuto rispondere a una domanda che mi chiedeva quale fosse il mio panino preferito. Mi è venuto in mente Super Heebster di Russ & Daughters, ma ho pensato che citare un panino da 19 dollari non fosse un ottimo modo per conquistare nuovi amici. Così ho detto: ‘Il sandwich al pollo piccante di Chick-fil-Ae ho pensato di aver rotto il ghiaccio. Il rappresentante delle risorse umane che guidava l’orientamento mi ha rimproverato: ‘Non lo facciamo qui. Odiano i gay’. La gente cominciò a schioccare le dita in segno di acclamazione. Non avevo pensato che Chick-fil-A fosse trasgressivo negli ambienti liberal per l’opposizione del suo presidente al matrimonio gay. ‘Non la politica, il pollo’, ho detto subito, ma era troppo tardi. Mi sono seduto, vergognandomi”.

 

Non è un problema di differenza di idee. Non è neanche appartenenza politica settaria, è piuttosto uno “state of mind”. Al New York Times credono davvero di essere superiori antropologicamente. E questo li ha portati a diventare la bandiera di un politicamente corretto perbenista e censorio, fino al ridicolo. Fino a non voler mangiare il pollo fritto “omofobo”. Un conformismo che accende fuochi fatui e palustri.

Al New York Times puoi decidere che le donne non sono più donne ma “mestruatrici”, puoi stabilire che la parola “black” vuole la maiuscola e “white” il minuscolo, puoi domandarti se l’estinzione del genere umano non sia cosa buona e giusta per il clima o se non sia il caso di “cancellare Aristotele” visto che era a favore della schiavitù. Ma se un giornalista mangia il pollo fritto di un’azienda conservatrice, questo si merita la gogna.

 

A spicy sandwich and ideological battles
Dan Cathy, imprenditore cristiano presidente della catena di fast food Chick-Fil-A, 1614 ristoranti sparsi per gli Stati Uniti con quartier generale in Georgia, a una conferenza aveva dichiarato: “Siamo per la famiglia, secondo la definizione biblica di nucleo familiare. Siamo un’azienda a conduzione familiare e siamo sposati con le nostre prime mogli. Ringraziamo Dio per questo. Siamo disposti a tutto per rafforzare le famiglie”. Non è favorevole al matrimonio gay, insomma. E questo ha scatenato la reazione woke, fino ai sindaci di Chicago e Boston, Thomas Menino e Rahm Emmanuel, che si sono opposti all’apertura di punti vendita nella propria città.

 

Rubenstein, giornalista ebreo conservatore, continua sull’Atlantic ricordando gli editoriali del Times firmati da Moammar Gheddafi, Recep Tayyip Erdogan e Vladimir Putin che non hanno prodotto alcuna polemica interna alla redazione. "L'anno scorso abbiamo pubblicato un articolo del sindaco di Gaza City nominato da Hamas e pochi sembravano preoccuparsene", scrive Rubenstein sull’Atlantic. "Hanno pubblicato la difesa del portavoce del Partito comunista cinese, Regina Ip, della repressione omicida della Cina sulle proteste a favore della democrazia a Hong Kong e un articolo di un leader dei Talebani, Sirajuddin Haqqani (nella cui casa è stato ucciso il leader di al Qaeda Ayman al-Zawahiri). Nessuno di questi ha suscitato scalpore.

Ma se il giornale sia disposto a pubblicare opinioni conservatrici su questioni politiche controverse, come il diritto all'aborto e il Secondo Emendamento, rimane una questione aperta. ‘Lo Stato di Israele mi mette molto a disagio’, mi ha detto una volta un collega. Questo era qualcosa che ero abituato a sentire dai giovani progressisti nei campus universitari, ma non al lavoro. C’era la sensazione che pubblicare occasionalmente voci conservatrici facesse sembrare il giornale centrista. Ma presto mi sono reso conto che le voci conservatrici che pubblicavamo tendevano ad essere d’accordo con la linea liberal".

The New York Times for Kids section often
pushes LGBTQ ideology to children.

Una vota la stampa in Occidente si permetteva il lusso della libertà, si avventurava dove non si aspettava di trovare la verità, metteva in discussione l’ufficialità socialmente accettata, ora questo compito sembra essere stato delegato a pochi superstiti di quello spirito d’avventura oltre la coltre del conformismo che, invariabilmente, pagano un prezzo molto alto. D’altronde, la libertà non è un pasto gratis…

(…)

Dal Guardian anche Hadley Freeman se ne è dovuta andare in quanto “bigotta”. Freeman aveva criticato, da donna, il transgender. L’uomo del meteo di France 2 (l’equivalente di Rai 1), Philippe Verdier, è stato cacciato dalla televisione di Stato per aver scritto un libro sui cambiamenti climatici, denunciando molte tesi assurde di “allarmisti” e “catastrofisti”. 

Wolfgang Wagner, direttore della rivista Remote Sensing, si è dimesso dopo un articolo che metteva in dubbio il cambiamento climatico provocato dall'uomo e secondo cui i modelli computerizzati del clima hanno gonfiato le proiezioni dell'aumento della temperatura. 

Jonathan Bradley è stato cacciato da un giornale studentesco per aver difeso idee cattoliche sull’omosessualità e il gender.

Ian Buruma
Il direttore della New York Review of Books, il liberal Ian Buruma, che ha pubblicato libri in Utalia anche con Einaudi e Mondadori, è caduto per aver pubblicato un articolo critico del Me Too.

Si è dimesso dal New York Magazine Andrew Sullivan, dopo che non gli hanno pubblicato un articolo contro Black Lives Matter. David Mastio era vice redattore della pagina degli editoriali di USA Today (il più venduto giornale d’America), fino a quando ha “peccato” per aver definito l'idea che gli uomini possano rimanere incinti un’“opinione”.

 Il quotidiano scozzese di sinistra West Highland Free Press ha cacciato un giornalista e un editorialista per aver osato scrivere di Islam. E Tara Henley, una delle più note giornaliste canadesi, si è dimessa dalla dalla tv pubblica dopo averla accusata di costringere i dipendenti ad “aderire con entusiasmo a un'agenda radical”.

 

“Non la politica, il pollo”. Che slogan fantastico, degno di Havel e del rinoceronte di Ionesco, e che andrebbe stampato in fronte a tutti i fanatici woke e sotto alla testata di tutti i quotidiani italiani.

Anche se è una di quelle famose speranze che sono le ultime a morire ma che, infallibilmente, muoiono, in questo “Biafra woke” che sembra essere diventato l’Occidente.

 tratto da  Newsletter di Giulio Meotti.  Invitiamo a leggerla e a valutare un abbonamento 

 

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