LA SCOMPARSA DEI CATTOLICI NON
DIPENDE SOLO DAL PAPA
Papa Francesco domenica delle Palme 2024
Noi risolviamo tutto risalendo a Papa Francesco, a lui attribuiamo ogni merito, ogni
colpa, ogni responsabilità della presenza o dell’assenza cristiana nel
mondo; ma non possiamo caricare sulle sue spalle, piuttosto malandate
e forse inadeguate, tutto il peso della cristianità. Ma nemmeno sulla
Conferenza Episcopale o su qualche suo portavoce o esponente di spicco. Certo,
l’ordine e la gerarchia delle responsabilità è a partire da loro che sono ai
vertici della cristianità; ma non possiamo esaurire un mondo vasto che un tempo
coincideva quasi col mondo occidentale, con la società, ad alcune figure
apicali o rappresentative.
Sull’Avvenire di qualche giorno fa, il teologo Pierangelo Sequeri ha
denunciato l’irrilevanza dei cattolici sul terreno culturale e sul piano
comunitario. Tema ripreso da Roberto Righetto. Persiste solo un flebile
moralismo, solitamente sconfinante nella filantropia sociale, soprattutto in
tema di accoglienza e migranti.
Anche il cardinale Zuppi riconosceva una certa timidezza dei cattolici rispetto ad atteggiamenti aggressivi “di una certa cultura dominante”; magari si dovrebbe avere il coraggio di chiamare con i suoi nomi propri, per non restare nella stessa timidezza subalterna che viene denunciata: l’egemonia radical-progressista, d’impronta atea, irreligiosa e laicista. Giusto il suo appello alla fantasia creativa, ma probabilmente non basta, occorre una visione del mondo calata nella vita dei giorni, l’ardire di un confronto, il coraggio civile, la capacità di dialogo e pure di dissenso, il non aver paura di essere troppo innovatori o troppo conservatori; l’amore per la realtà, per la natura, per la storia e per la tradizione in una società che preferisce il loro contrario.
E poi, se permettete, avete ormai la prova che il mimetismo fino
all’assimilazione al gergo e alle attitudini del presente non funziona e non fa
proseliti, anzi allontana sempre più i popoli e i singoli credenti dalla vita e
da ogni concezione religiosa: se credete di contare di più mettendovi
semplicemente al passo dei tempi, sposando il linguaggio e le preoccupazioni
correnti, perdete il senso radicale e originale della vostra missione e del
vostro messaggio e il motivo per cui potete trovare attenzione nel mondo.
Se non parlate di morte e resurrezione, di senso della vita e amor di Dio;
di mistero e scommessa sul rischio della fede, non c’è bisogno di voi nel
mondo. E se dimenticate i simboli, i riti, le liturgie, le rappresentazioni del
sacro, per mimetizzarvi di più nel paesaggio corrente, vi confondete col mondo,
passate inosservati, perdete la grazia del vostro linguaggio divino e
differente, che solo può destare attenzione e ammirazione. Poi è inutile
prendervela col supermercato delle religioni, la paccottiglia spirituale, la
sottocultura new age, l’analfabetismo religioso, se rinunciate a coltivare la
forza e il mistero della vostra testimonianza, del vostro linguaggio, della
vostra capacità di parlare oltre la vita e oltre la morte, di esprimere il
desiderio d’eternità. Quelle pseudoreligioni coprono un vuoto che voi lasciate
incustodito…
Però, come dicevo agli inizi, non si può risolvere il problema additando i
vertici della Chiesa per i loro errori, la loro compiacente neutralità sui temi
cruciali della vita, la loro riluttanza a portare lo scandalo della religione
in una società radicalmente e superficialmente irreligiosa. C’è un problema più
vasto che riguarda proprio il mondo cattolico, anche quello che va oltre le
chiese e le sacrestie. E’ un ritirarsi, uno spegnersi, un essiccarsi della
fiamma, un’accettazione di disfatta e di abbandono che ormai è in ciascuno. Non
c’è mai un organismo d’ispirazione cristiana, a qualunque livello, che prenda
posizione su temi, dibattiti, personaggi, aggressività e supponenza della
cultura dominante. Prevale
un senso di inadeguatezza e la percezione di essere comunque soccombenti, fuori
luogo: dunque inutile cimentarsi, meglio mettere da parte le proprie
convinzioni, o tenersele per sé, fino a privatizzare la propria fede cristiana a
ridurla a un intimismo privo di porte e di finestre. Non c’è questione
culturale, storica o ideale in cui si avverta la presenza di un punto di vista
schiettamente cristiano e cattolico, mai un segno né di fedeltà né di
originalità; come se già la definizione di cultura, di storia o di pensiero
ponesse confini laici e razionali da non oltrepassare, fino a circoscrivere al
proprio tempo o alla competenza tecnico-scientifica di quei saperi specifici,
l’ambito adeguato di quelle controversie. Ogni “intrusione” religiosa è
considerata come impropria, fuori luogo, anche se in realtà il sottinteso è che
sia “fuori tempo”. Quello è già il segno di una capitolazione, il cedimento
alla pigrizia e al decorso degli eventi, perché è faticoso oltre che creativo,
saper rispondere alle controversie della contemporaneità, al narcisismo, ai
coming out, ai desideri di mutare natura, sesso, corpo, età, famiglia, città
che prevalgono nel frasario più diffuso del momento.
Si tratta in una parola – ma che diviene fatto, scommessa e ammissione di
identità – mettere in gioco il senso
religioso della vita e farlo valere nelle scelte quotidiane. Anche in
quelle scelte di ogni giorno, che sembrano attenere ad ambiti neutrali, asettici,
o semplicemente profani, vitali, tecnici, è in gioco il senso religioso o
irreligioso della vita. Finché non si riparte da lì, i cattolici proseguiranno
nel loro progressivo passaggio alla clandestinità, in una parabola che va
dall’irrilevanza alla scomparsa.
La Verità – 10 marzo 2024
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