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Come conciliare la salute dell'economia e il pessimismo degli elettori Una delle
ragioni per cui Joe Biden potrebbe perdere le elezioni il 5 novembre è l’umore
pessimo dell’America. La sua età pesa, ma solo come un’aggravante: il
fatto è che una maggioranza di americani sono profondamente insoddisfatti. Lo
stato d’animo del paese sembra in contraddizione con la situazione economica:
buona o addirittura eccellente. Come si spiega questa divaricazione? E’ un tema
che ho trattato nelle due puntate del mio programma televisivo già andato
in onda, oggi voglio aggiungervi un elemento in più. Biden fatica
a compattare gli elettori più progressisti che sono i giovani. Una ragione è
questa: riconoscere che l’economia americana va bene è incompatibile
con le certezze ideologiche di questa generazione, convinta che il
capitalismo è oppressivo, e la crescita provocherà un disastro
climatico. In altre
parole, l’ideologia dominante oggi nella sinistra radicale fa velo ai
giovani, quindi impedisce che riconoscano i risultati positivi anche se sono
accaduti sotto un governo di sinistra. Per molti di loro una buona notizia è
incompatibile con la rappresentazione che si fanno del mondo, quindi deve
essere impossibile. E così si dissolve, proprio in campo progressista, uno
dei principali argomenti a favore di Biden e della sua rielezione. La fiducia dei consumatori è ai minimi storici Faccio un
passo indietro e ricordo che siamo davvero in una situazione anomala. Come sottolinea Rogé Karma sul magazine The Atlantic,
uno degli indicatori più affidabili sulla percezione che gli americani hanno
della situazione economica, è la periodica indagine sui consumatori
condotta da decenni dalla University of Michigan. Karma si chiede: se uno
tirasse a indovinare quale fu il momento di più grave pessimismo degli
americani, quale periodo sceglierebbe? Forse gli anni Settanta con
due shock petroliferi, recessione e iperinflazione a due cifre? Forse
la grande crisi globale del 2008 scatenata dal crac dei
mutui subprime a Wall Street? Forse l’inizio della pandemia quando
il Covid fece perdere il lavoro a milioni di americani? Tutte ipotesi
ragionevoli, tutte sbagliate. Secondo la University of Michigan Surveys of
Consumers, l’abisso di pessimismo è stato toccato nel giugno 2022.
Una possibile spiegazione è che in quel mese l’inflazione salì al 9% e
inoltre tutti parlavano di una recessione imminente (mai avvenuta). In seguito la situazione è migliorata a gran velocità e ben oltre le speranze dei più ottimisti; inoltre anche la perdita economica e il disagio sociale provocato dall’inizio della pandemia è stato rapidamente curato con gli aiuti pubblici più generosi del mondo (5.000 miliardi di dollari, tre quarti delle famiglie americane ne sono state beneficiate). Eppure l’indice di fiducia dei consumatori non è risalito come ci si aspettava. Il mistero per cui Biden viene considerato un pessimo presidente dalla maggioranza degli americani, mentre l’economia va a gonfie vele, ha provocato reazioni tra lo sgomento e l’indignazione alla Casa Bianca e nei circoli delle élite di sinistra. Tra i più stonati c’è l’economista Paul Krugman, che sulle colonne del New York Times da mesi si esercita in infinite variazioni sul tema che riassumo così, con parole mie: viviamo nel migliore dei mondi, quegli americani che non ne danno il merito a Biden sono degli imbecilli, o dei fascisti, o tutt’e due. La verità sull'inflazione Per fortuna
abbondano le reazioni un po’ più equilibrate. Sull’inflazione, sappiamo bene
qual è il problema. Durante la pandemia ci fu un gran botto dei prezzi al
rialzo, con impennate del 9% mensili come quella già ricordata. Adesso, quando
si dice che “l’inflazione rallenta” perché “è scesa al 3% circa”, questo non
significa che i prezzi siano tornati ai livelli precedenti. Continuano ad
aumentare, per fortuna molto più lentamente. Il danno però è stato fatto. Ai
consumatori interessa pochissimo quel “tasso d’inflazione” che appassiona gli
economisti, loro giustamente guardano il livello assoluto dei prezzi che
rimane molto alto. E genera malcontento, con sommo disappunto di Krugman. Bisogna poi
aggiungere la dinamica prezzi-salari. L’America vive una stagione
ottima per i lavoratori, le cui buste paga negli ultimi anni sono
aumentate in molti casi quanto i prezzi e in certi casi di più. Categorie come
i metalmeccanici dell’automobile, i camionisti o i portuali, hanno
siglato rinnovi contrattuali con aumenti dal 25% al 30%, quindi
portano a casa dei guadagni che li compensano degli aumenti del costo della
vita. Attenzione, però, prezzi e salari non sono percepiti allo stesso modo.
Cito ancora Rogé Karma, e l’economista Betsey Stevenson della
University of Michigan: “La maggior parte di noi pensa che l’aumento
salariale se lo è meritato; mentre quando va al supermercato e trova il
rincaro dei beni alimentari, pensa che il suo aumento salariale gli viene
tolto ingiustamente”. Fin qui abbiamo una spiegazione razionale del perché il costo della vita continua a indebolire Biden, e cancella o mette in secondo piano altri indicatori positivi (come l’aumento dell’occupazione). I giovani condannano il capitalismo, quindi rifiutano le buone notizie... Poi viene
l’altro fenomeno che chiama in causa più tipicamente i giovani. La loro
percezione dell’economia è molto diversa da quella degli adulti, soprattutto a
sinistra. Secondo un sondaggio della Cnn, il 63% dei democratici
oltre i 45 anni di età pensa che l’economia è in buona salute; invece solo il
35% dei giovani ha la stessa visione positiva. Qui la spiegazione è
culturale e ideologica. Si collega a quest’altro dato: tra i giovani
democratici compresi nella fascia di età da 18 a 35 anni, elettori che
tendono ad essere più progressisti e più radicali dei democratici meno
giovani, il giudizio positivo sull’economia di mercato e sul capitalismo è
franato dal 56% al 40% in un decennio. I giovani pensano che il socialismo
sia molto migliore del capitalismo, a quest’ultimo addebitano tutti i mali
dell’umanità. “Riconoscere
che l’economia va bene – osserva l’opinionista su The Atlantic, magazine decisamente progressista –
richiederebbe di sacrificare la propria ideologia e quindi la percezione di
sé, l’identità tipica del giovane progressista”. Non importa se alla
Casa Bianca c’è un democratico. Se un giovane si è nutrito (o è stato
indottrinato) con la certezza che il capitalismo è un sistema oppressivo, che
l’America è una società ingiusta, che la crescita economica distruggerà il
pianeta, allora questo giovane è “vaccinato” contro le buone notizie, si
rifiuta di prenderle per tali. Sul fronte
repubblicano, il meccanismo che conta è più prevedibile. E’ un’antica regola
statistica: l’elettorato ha un’opinione più negativa sulla situazione
economica, quando alla guida del paese c’è un leader che appartiene alla
parte avversa. Inoltre il popolo di destra “bilancia” le buone
notizie economiche con quelle cattive che giungono da altri fronti:
immigrazione illegale incontrollata, aumento della criminalità, senso di
insicurezza, declino dei valori tradizionali. Su questo fronte non
ci sono vere sorprese. La sorpresa negativa per Biden è l’impermeabilità dei
giovani di sinistra alle buone notizie sotto la sua presidenza. Temo che non
basti a cambiare il quadro l’enorme generosità di Biden verso questa
generazione, vedi la cancellazione (molto discutibile) dei debiti
universitari: qui siamo in pieno “voto di scambio”, regalìe
di denaro pubblico per catturare consensi; ma l’ideologia spesso è più forte
degli interessi materiali.
Nota bene:
quanto scritto qui sopra indica una vulnerabilità di Biden, non equivale a
una previsione sulla sua sconfitta. Sull’esito finale pesano molte altre
incertezze, non mancano certo le vulnerabilità di Trump (e avrò occasione di
scriverne). Nei prossimi sei mesi chissà cos’altro potrebbe succedere per
influenzare l’esito finale. Tratto dalla newsletter GLOBAL di Federico Rampini |
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