venerdì 21 giugno 2024

IL CRISTIANESIMO NON SIA RIDOTTO A MORALISMO

Esce il volume "È bello lasciarsi andare tra le braccia del figlio di Dio", edito dalla LEV a cura di Massimo Borghesi che raccoglie le omelie di don GIACOMO TANTARDINI, figlio spirituale di don Giussani, a San Lorenzo fuori le Mura (2007-2012).

La prefazione firmata da Francesco: "Per troppo tempo abbiamo ridotto il cristianesimo a codice di regole o sforzo volontaristico, ma ogni moralismo alla fine ci lascia addosso un senso di fallimento e tristezza. Nelle omelie di don Giacomo protagonista la Grazia"

Papa Francesco

Card. Bergoglio e don Giacomo 2009 Roma

Questo libro raccoglie le omelie di don Giacomo Tantardini, sacerdote di origini lombarde che con grande passione svolse il suo apostolato quasi per intero nella Città Eterna. Nel corso degli anni le sue omelie hanno nutrito spiritualmente migliaia di giovani e non più giovani che affollavano il sabato sera la basilica di San Lorenzo fuori le Mura. Nessuno si distraeva, quando predicava: ogni parola restava nel cuore e illuminava la vita.


 E' in questa chiesa paleocristiana, dove sono venerate le reliquie del santo diacono Lorenzo, che anche io conobbi don Giacomo. Come ho già avuto modo di ricordare sul mensile 30 Giorni in occasione della sua morte, nel 2012, l’ultima immagine che conservo di lui è «durante la cerimonia delle cresime a San Lorenzo fuori le Mura, con le mani giunte, gli occhi aperti e stupiti, sorridente e serio allo stesso tempo» (Il mio amico don Giacomo, 30 Giorni, n. 5, 2012). Era già gravemente malato, pregammo per la sua salute... e lui ringraziò con un gesto che era di speranza di guarire e, allo stesso tempo, di affidamento.


La decisione di pubblicare i testi delle sue omelie (dal 2007 al 2012) non è solo un omaggio alla memoria di questo sacerdote, che fu un vivace figlio spirituale di don Luigi Giussani. Leggere e meditare le sue prediche farà bene alla nostra anima anche oggi, perché esse ci comunicano l’essenza originale della vita cristiana.

C’è sempre bisogno nella Chiesa di recuperare l’essenziale. Per troppo tempo abbiamo ridotto il cristianesimo a un codice di regole o a uno sforzo volontaristico, ma ogni moralismo alla fine ci lascia addosso un senso di fallimento e di tristezza. 

Don Giacomo, Padova 2008
Nelle meditazioni di don Giacomo grande protagonista è sempre la Grazia, perché lui era consapevole, avendolo sperimentato, che l’iniziativa di Dio sempre previene e anticipa ogni nostra intenzione, accendendo un desiderio di bene per noi e per il nostro prossimo, specialmente quello più in difficoltà. Alla parola “Grazia” don Giacomo accompagna sempre un’altra parola, che la rende concreta: “attrattiva”, perché il Signore ci attira sempre con il fascino della sua umanità.



Uno degli episodi evangelici più ricorrenti nelle omelie di don Giacomo è la conversione di Zaccheo: un “traditore del popolo”, il cui imprevisto cambiamento nasce quando, arrampicatosi per curiosità su quell’albero, incrocia lo sguardo di Gesù: «Zaccheo scende di corsa pieno di gioia... questo sguardo è puro riflesso di essere guardati; questo è l’unico sguardo che non è impotente, questo è l’unico sguardo che è pieno di gioia, questo è l’unico sguardo che l’uomo non possiede, perché è solo essere guardati» (Omelia del 3 novembre 2007).


Ecco perché la preghiera diventa la dimensione più importante della vita. «Chi prega si salva» è un motto di sant’Alfonso Maria de’ Liguori che non a caso don Giacomo amava molto. Non è una fuga devozionale da un mondo “cattivo”, la preghiera. È domandare, dal profondo di sé, ciò che dà senso e possibilità di gioia alla vita. È domandare che Lui stesso venga ad abitare la nostra vita: «Si spera dicendo: “Vieni”. Il bambino non spera astrattamente nella mamma, il bambino spera che la mamma sia vicina a lui, così la speranza cristiana, la speranza cristiana si esprime nella domanda, si esprime dicendo: “Vieni, vieni”» (Omelia del 1° dicembre 2007).

È un linguaggio semplice, quello di don Giacomo, ma si sente in queste pagine la densità delle sue letture, dal pensiero teologico del prediletto sant’Agostino alla prosa poetica di Charles Péguy, fino alla “piccola via” di santa Teresa del Bambino Gesù: «Quando sono caritatevole è solo Gesù che agisce in me» è la sua la citazione preferita.

Sono molte le omelie che toccano il cuore. La più commovente è sicuramente l’ultima, datata sabato 31 marzo 2012 a pochi giorni dalla sua scomparsa, la quale si conclude con una semplice frase, pronunciata a fatica - si legge nel libro - con un filo di voce: «Com’è bello lasciarsi andare tra le braccia del Figlio di Dio». C’era tutta la sua vita e la sua predicazione in quelle dieci parole consegnate ai suoi amici e a tutti noi.


tratto da https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2024-06/papa-francesco-prefazione-libro-lev-omelie-don-tantardini.html


mercoledì 19 giugno 2024

ENRICO BERLINGUER: NOI NON SIAMO ABORTISTI, L'ABORTO RESTA PER NOI UN MALE

Enrico Berlinguer 1981 a Firenze, Piazza santa Croce. “Noi non lottiamo per la libertà di abortire, non riteniamo l’aborto una conquista civile, né tantomeno un fatto positivo. Noi non siamo abortisti, l’aborto resta per noi un male. La legge per la prima volta mette in essere un’opera di prevenzione rivolta al superamento dell’aborto”

Berlinguer 1981 Firenze, Santa Croce


Il presidente francese Macron ha sollevato la questione dell’aborto al G7(uscendone sconfitto) per propaganda personale. Ma ne è scaturito un assalto politico del Pd e dei giornaloni a Giorgia Meloni. Perché? La legge sull’aborto c’è già, dunque su cosa nasce lo scontro?

La polemica iniziò alla nascita dello stesso governo Meloni, quando la premier affermò di non voler toccare la legge 194, ma di volerla applicare integralmente, anche nelle parti che possono aiutare la donna a decidere di non abortire. Da allora, incredibilmente, i partiti di sinistra attaccano la premier che – a loro avviso – attenterebbe al “diritto di abortire”.

In realtà lei fa riferimento proprio alla filosofia della legge 194, votata dal Pci, filosofia che dal partito guidato da Enrico Berlinguer fu particolarmente enfatizzata. Ma che oggi il Pd e la sinistra hanno rinnegato. Così, paradossalmente – oggi è la Meloni – non la Schlein – che può citare le parole di Berlinguer, molto imbarazzanti per il Pd.

Se la Meloni indicesse una manifestazione con il titolo “Perché nel futuro dei giovani non ci sia più l’aborto”, cosa accadrebbe? La sinistra si solleverebbe immediatamente. Eppure era proprio questo il titolo della manifestazione del Pci, a Firenze, il 26 aprile 1981, con Berlinguer, che definì tale parola d’ordine “bella e giusta”.

Si era nella campagna referendaria sull’abrogazione di alcune parti della legge 194 e il Pci difendeva energicamente quella legge. Berlinguer, in quel comizio, disse parole che – se fossero pronunciate oggi dalla Meloni – scatenerebbero il finimondo: “anzitutto deve essere chiaro a noi stessi e agli altri” disse il Segretario del Pci “che noi, in quanto fautori della legge 194 e anche in quanto comunisti, non difendiamo l’aborto, non lottiamo per la libertà di abortire, non riteniamo l’aborto una conquista civile, né tantomeno un fatto positivo. Così come la legge non approva, né favorisce in alcun modo l’aborto, così come le donne che hanno lottato per la fondazione di questa legge, e la società, lo Stato che tale legge hanno promulgato, non promuovono, né accettano, né approvano l’aborto”.

Da: "berlinguervitavivente.it"(*)

Dopo tale premessa – che oggi sarebbe esplosiva – Berlinguer spiegò che la legge riconosce l’esistenza della piaga dell’aborto e, pur rendendolo legale e assistito, cerca “con opportuni strumenti legislativi di contenerne i guasti e di avviare mutamenti culturali e mutamenti sociali che tendano gradualmente a farlo scomparire come atteggiamento culturale e come fatto sociale. Noi non siamo dunque abortisti, l’aborto resta per noi un male”.

Poi il leader del Pci rivendicò la parte positiva della 194: “con la legge si dà inizio per la prima volta all’opera fondamentale della prevenzione. La legge ha avviato così l’unico modo possibile per ridurre l’aborto e giungere, gradualmente certo, alla sua scomparsa”. Perciò abolire la legge – disse – “vorrebbe dire rendere assolutamente inutile ogni opera di prevenzione o di dissuasione dall’aborto”.

Berlinguer tornò a riprendere, enfatizzandolo, questo tema – che è esattamente ciò che oggi la sinistra contesta alla Meloni – e disse: “la legge per la prima volta mette in essere un’opera di prevenzione rivolta al superamento dell’aborto. Naturalmente è un’opera di lunga lena e richiede che si lavori in molte direzioni. Anzitutto bisogna creare strutture adeguate in tutto il Paese”.

Infine aggiunse: “la legge è solo un primo passo sulla via della prevenzione e quindi del superamento dell’aborto. (…) La vita sia della donna che del nascituro sarà tutelata solo quando verrà posto in atto tutto un complesso di leggi e di strutture nuove in tutti i settori della vita sociale. Solo una radicale e nuova scelta politica e culturale potrà liberare progressivamente la donna dal bisogno di abortire e quindi tutelare sufficientemente la vita sia della madre che del concepito”.

Naturalmente anche in campo laico si levarono diverse voci contro questa impostazione, cioè contro la legge 194. Per esempio Norberto Bobbio fu critico con la legge, contestandola da filosofo del diritto, e si espresse in difesa della vita del nascituro in base alla morale laica e umanista.

Ma quello che tutti condividevano con i cattolici – sia Berlinguer, che Bobbio, che Pasolini – era il giudizio sull’aborto in sé ritenuto un male, una tragedia sia per la donna che per il concepito. La legge 194 fu confermata dal referendum con la convinzione – illustrata da Berlinguer – che fosse un mezzo per limitare un male, per renderlo meno traumatico e per avviarsi alla sua prevenzione fino alla sua scomparsa.

Ma di recente è accaduto qualcosa di segno opposto. Decidere – come ha fatto Macron in Francia – di inserire addirittura l’aborto nella Costituzione francese significa trasformarlo in un valore positivo da promuovere.

Macron, con la velleità napoleonica di guidare il mondo, ha poi ottenuto che pure il Parlamento europeo si esprimesse in tal senso e hanno votato con lui i partiti italiani del centrosinistraCon questa ideologia l’aborto non è più un male da contenere e prevenire, ma diventa un valore positivo. Ciò contraddice Berlinguer, la storia della sinistra e le leggi che negli anni Settanta legalizzarono l’aborto.

Anche in Francia. Giuseppe Anzani ha ricordato che “la legge ottenuta nel 1975 da Simone Veil”, quella ancora in vigore, “fu accompagnata da queste sue parole: ‘Nessuno può provare soddisfazione profonda nel difendere un testo simile su questo tema: nessuno ha mai contestato che l’aborto sia un fallimento e un dramma’”.

Contro l’aborto si sono espressi i Papi, da Giovanni Paolo II a papa Francesco, e autorevoli laici come Norberto Bobbio (padre del pensiero progressista).

Ma, quanto alla legge, la Meloni, per la sua battaglia di oggi, può rifarsi a Simone Veil e, nel concreto dell’applicazione della 194, addirittura a quel Berlinguer che la Schlein ha rappresentato sulla tessera 2024 del Pd, ma che, di fatto, ha rinnegato preferendogli Macron, portando così il Pd e la sinistra nel baratro nichilista.

Antonio Socci

Da “Libero”, 17 giugno 2024

(*) https://berlinguervitavivente.it/2017/09/28/oggi-giornata-mondiale-per-laborto-libero-e-sicuro-1981-il-discorso-di-berlinguer-a-firenze-sulla-194/


 


martedì 18 giugno 2024

FINKIELKRAUT: ESSERE DI DESTRA NON È SOLO CONSERVARE MA SALVARCI DAL PROGRESSO SFRENATO



Il video integrale dell’intervista concessa a Tempi dal filosofo francese in occasione della consegna del Premio Luigi Amicone - Premio Cultura Città di Caorle 2024 

II tipo di conservatorismo di cui abbiamo bisogno oggi.

Nel suo libro “Noi Moderni” FinkielKraut descrive con esattezza, al di là della divisione politica destra-sinistra, il tipo di conservatorismo di cui avremmo bisogno oggi:” Paul Valery ha questa magnifica frase: “ A rovinare i conservatori è stata la cattiva scelta delle cose da conservare”.

Il conservatorismo si è per lungo tempo identificato con la riproduzi0ne dell’ordine sociale, col mantenimento dei privilegi, col rigido rifiuto dell’equalizzazione  delle condizioni. Questo tipo di conservatorismo non ha più seguaci, anche la destra a cessato di considerarlo proprio. Con ciò non abbiamo ancora finito con l’idea di conservazione. Il progresso è effettivamente in crisi. Sorge un nuovo paradigma, definito molto bene dal filosofo Hans Jonas: al principio di speranza, fondatore della modernità a partire da Cartesio e Bacone, succede, a poco a poco, il principio di responsabilità.. e all’idea di cambiare il mondo quella di salvare ciò che può essere salvato. Certamente la terra, che soffre più che mai, m anche la lingua, la cultura, la bellezza del modo. Abbiamo bisogno di una ecologia generale: “salvare” è diventato il verbo politico per eccellenza; salvare e non più cambiare”.

 L’ecologia deve rendere la terra abitabile, non trasformarla in una galera.

«L’ecologia di cui abbiamo bisogno non è quella di Greta Thunberg e del suo “Come osate?” furibondo». Parlando il 16 giugno alla cerimonia di consegna del Premio Luigi Amicone – Premio Cultura di Caorle 2024, l’intellettuale francese Alain Finkielkraut critica le politiche ambientali dell’Unione Europea, soprattutto quelle che favoriscono la diffusione delle pale eoliche. «Gli impianti eolici riescono a rallentare il riscaldamento globale», afferma il filosofo, «ma i numeri non sono tutto. Gli impianti eolici trasformano le campagne in paesaggio industriale. Bisognerebbe che l’ecologia ridiscendesse sulla terra, che non si preoccupasse più del pianeta, ma di rendere abitabile la terra. Una terra imbruttita, atrocemente imbruttita, non è più abitabile».

L’immigrazione e il ritorno dell’antisemitismo

Nella giornata conclusiva della manifestazione “Chiamare le cose con il loro nome”, organizzata da Tempi e dal Comune di Caorle, Finkielkraut attacca anche le forze politiche che in Francia e nel resto d’Europa si schierano a favore dell’accoglienza indiscriminata dei migranti: «Oggi la sinistra e il padronato sono d’accordo; condividono la stessa filosofia, la stessa ontologia: gli uomini sono intercambiabili. Ecco cosa vorrebbero farci credere. La sinistra ragiona in questo modo in nome del bel principio dell’universalità del simile». Ma questo principio «ha condotto oggi a negare tutte le distinzioni fondatrici delle comunità politiche. La differenza fra l’autoctono e lo straniero è rimessa in discussione, l’idea di preferenza nazionale è criminalizzata. Quando i paesi europei cercano di riprendere il controllo delle loro frontiere, sono censurati dalle varie Corti costituzionali».

In un momento storico in cui «i nuovi antisemiti, gli antisemiti attivi, vengono reclutati fra i migranti», continua l’intellettuale francese, «l’Europa dell’ospitalità rischia di trasformarsi in un’Europa dell’antisemitismo. Perciò dobbiamo uscire dalle nostre illusioni, svegliarci, e soprattutto ricordarci che non è perché gli uomini sono simili che sono intercambiabili. Gli uomini hanno una genealogia, un’appartenenza, e di tutto questo occorre saper tenere conto perché la convivenza non sia una menzogna ridicola e pericolosa».

Contro Hamas e contro Netanyahu

Il filosofo di origini ebraiche sostiene il diritto di Israele a difendersi da Hamas, ma attacca anche le politiche del premier Benjamin Netanyahu: «Hamas è il nemico, il nemico che vuole non solo la sconfitta di Israele, ma la scomparsa di Israele e la morte degli israeliani. È questo il messaggio genocida del 7 ottobre. Al nemico bisogna rispondere con la guerra, ma Netanyahu è il problema perché chiude tutte le vie di uscita, fa sabotaggio a tutte le soluzioni e per restare al potere si è alleato con degli infrequentabili: con Itamar Ben-Gvir del partito Potere Ebraico e con Bezalel Smotrich del Partito sionista religioso. Questa gente ha un programma esplicito e terrificante: vogliono l’annessione della Cisgiordania e non semplicemente la perpetuazione dello status quo, come malauguratamente vuole Netanyahu». La profondità della lacerazione che Israele vive èdata dai due “giudaismi” che si affrontano, e non sono soltanto due visioni politiche del mondo. Due giudaismi: un giudausmo della giustizia, quello deldono della Torah e delSinai, e un giudaismo sulla promessa: questa terra è nostra e Dio ce l’h’ha promessa. Dunque è una questione davvero metafisica.

L’odio “woke”

Finkielkraut si scaglia anche contro il “wokismo” e contro gli studenti che nelle università di tutto il mondo accusano Israele di essere uno stato genocida. ” Che cos’è il wokismo? È la nuova divisione del mondo fra oppressori e oppressi, dominatori e dominati. E che cosa sono gli ebrei per il wokismo? Sono dei dominatori, sono degli imperialisti, sono dei colonialisti, sono la quintessenza del bianco. E da quel momento passano dallo statuto di vittime a quello di torturatori, a quello di carnefici. E anziché riflettere sulla situazione nella sua complessità, di reclamare contemporaneamente il cessate-il-fuoco e la liberazione immediata degli ostaggi, e di solidarizzare con quella parte della società israeliana che vuole girare la pagina Netanyahu, i manifestanti europei non trovano niente di meglio che denunciare Israele come stato genocida; stato genocida, niente meno! Un nuovo slogan infuria: non più “ogni anticomunista è un cane”, ma “ogni israeliano è un cane, ogni sionista è un cane, ogni ebreo è un cane”. Mi trovo dunque nella situazione di combattere palmo a palmo questo antisemitismo per non dovergli abbandonare la critica necessaria della politica israeliana». Verso gli studenti europei, prosegue Finkielkraut, «provo stupore e disgusto». Ci viene detto che gli studenti esprimono le loro emozioni, ma l’emozione non giustifica la semplificazione, non giustifica la stupidità.”

L’impegno come decisione per una causa imperfetta

Infine, prendendo nettamente le distanze da Jean-Paul Sartre e dalla sua idea di intellettuale impegnato «per il vero e per il bene», Finkielkraut nell’intervista a Tempi dichiara di preferire la modestia di Paul-Louis Landsberg, che aveva definito l’impegno come «decisione per una causa imperfetta». Proprio «come Landsberg», spiega Finkielkraut «sono impegnato perché sono coinvolto, sono colpito dagli avvenimenti. Ed è questo stupore, questa collera, questo dolore che mi sottraggono al torpore e mi costringono a riflettere. Dunque ho bisogno di questa emozione per pensare e per scoprire quella che credo essere la verità». “La cultura è l’idea di una umanità corale , e fortunatamente la morte non ha alcun potere sulla cultura”.

 Intervista diRodolfo Casadei

 


lunedì 17 giugno 2024

AL PRIDE IL NEMICO È IL CATTOLICO: IL PD SALE SUL CARRO DELLA VIOLENZA LGBT

L'immagine di Elly Schlein protagonista al blasfemo e anticattolico pride di Roma mostra che il Partito democratico è il braccio politico della violenza ideologica Lgbt. Una violenza che vuole colpire la Chiesa e alla quale i cattolici Dem non osano opporsi. Finirà che saliranno sul carro anche loro...

C’è un meme che sta girando in queste ore su X e ritrae Enrico Berlinguer che arringa gli operai di Mirafiori a Torino, di fianco invece compare l’immagine di Elly Schlein che balla scatenata sul carro del Gay pride di Roma che si è svolto sabato. L’immagine della leader Pd non è soltanto folclore, ma la prova che il Partito democratico ha deciso di lasciare al loro destino operai e povera gente per schierarsi con le false vittime coccolate dalle elites plutocratiche mondiali perché funzionali al cambio di una mentalità e dei suoi costumi: quella lobby gay che continua a parlare di discriminazioni per potersi giustificare agli occhi della società, ma che in realtà è l’unica vera discriminatrice.

Anzitutto della Chiesa e dei cattolici. Al pride di Roma di sabato, gli attacchi alla Chiesa non sono stati certo risparmiati. A offrire il destro, per la verità, è stata la nota frase di Papa Francesco sulla «frociaggine in giro» che è diventato il leitmotiv degli striscioni che hanno sfilato lungo via dei fori imperiali culminando con lo striscione di +Europa libera frociaggine in libero stato.

La frociaggine è stata richiamata con orgoglio – e non poteva essere diversamente - così come non sono mancate le bestemmie, come quella alla Madonna di Pompei -, perché l’obiettivo principale alla fine sono sempre loro: i cattolici, con la loro visione “oscurantista” del mondo. Prova ne è il fatto che, arrivati davanti alla sede di Pro Vita & Famiglia il corteo è esploso in un sonoro vaff****lo indirizzato a Jacopo Coghe e compagni definiti «fascisti e omofobi tornate nelle fogne».

Lo squallore di corpi nudi e provocanti, di ammiccamenti e rapporti orali e anali, la presenza dei soliti bambini utilizzati come scudi umani per un’ideologia satanica e satanista, e poi le battutacce da caserma a sfondo sessuale per colpire il sentimento di fede di un popolo sono l’ingrediente che fa del gay pride non solo una carnevalata di pessimo gusto, ma un’arma politica in mano al Partito Democratico per segnare la sua agenda e il suo orizzonte culturale d’azione.

Un orizzonte che ha perso di vista i veri problemi per concentrarsi sulla falsa discriminazione delle false vittime Lgbt, mai così ascoltate e coccolate dai vertici del partito. Con Elly Schlein sabato sul carro c’era anche mezzo stato maggiore Dem, da Marta Bonafoni al sindaco di Roma Gualtieri, da Alessandro Zan – il quale è noto nel suo ruolo di promotore di eventi gai è il primo a guadagnare anche economicamente da certi raduni - all’immancabile Laura Boldrini.

Anzi, si può dire ormai che la cosiddetta lobby gay è ormai incistata dentro il Partito democratico, ne definisce le linee guida, ne ispira i valori e ne condiziona alla fine l’esito. Non c’è dubbio, infatti, che se da un lato per un certo tipo di “pubblico”, vedere Elly Schlein ballare scatenata assieme ad Annalisa – madrina dell’evento, ennesimo caso di talento artistico asservito alla realizzazione di un’agenda ideologica – può strappare qualche sorriso, alla prova dei fatti, emerge anche per un elettore medio Dem tutta la pochezza culturale e il livore ideologico di una proposta che per il partito democratico si fa dominante.

La cosa potrebbe anche creare qualche pensiero a quella anima cattolica del Pd se solo ancora ci fosse un’anima cattolica nel Pd, eternamente in corto circuito nell’impossibile conciliazione delle istanze cristiane riformatrici con la deriva radicale di massa a trazione marxista. Anche ieri nessuno di quell’anima cattolica dentro il partito ha fatto notare alla Schlein la contraddizione di definirsi per le libertà e poi sostenere da protagonista un evento che si fonda sullo sberleffo alla Chiesa e ai cattolici, che esalta la causa palestinese discriminando gli ebrei e che sposa le istanze violente della causa gay, sempre più violente, sempre più prepotenti, come vecchie zitelle inacidite dal tempo che passa.

Vero è che se i cattolici dentro il Pd sono come il neoeletto eurodeputato Marco Tarquinio che dopo 14 anni di direzione del quotidiano dei vescovi svela il vero volto del pensiero cattolico di sinistra, come ad esempio nel caso dell’aborto al G7, il punto semmai è constatare che di cattolico nel Pd non c’è rimasto più nulla, fagocitato dal pensiero radicale marxista che rivive cantando Bella ciao sul carro del Pride di Roma. Finirà che anche i fu cattolici Dem, magari già il prossimo anno, andranno a fare compagnia alla Schlein sul carro della frociaggine, anche perché sarà l’ultima battaglia che sarà rimasta loro.

ANDREA ZAMBRANO

Lanuovabussola

IL POTERE NON SOPPORTA CHI È CONTRARIO ALL’ABORTO

 Lorenzo Malagola

Aborto e potere. Cosa ho imparato dagli attacchi al mio emendamento per la vita. Il testo non modifica in nulla la 194, ma hanno provato ad annichilirmi con una campagna mediatica piena di bugie. E i primi attacchi sono arrivati purtroppo da cattolici di sinistra

 

Lorenzo Malagola, Deputato FDI

La notorietà fa parte della dimensione pubblica di un politico. C’è chi la cerca, chi la vive con distacco e chi addirittura la subisce, scoprendosene travolto. La notorietà è tendenzialmente divisiva, crea fazioni e separa i sostenitori dai detrattori. Recentemente anche io ho toccato con mano cosa significhi essere al centro di un piccolo caso mediatico a livello nazionale.

Partiamo dai fatti. Sono stato promotore di un emendamento a un decreto legge sul Pnrr in discussione alla Camera. Un provvedimento complesso che, tra le altre cose, andava a finanziare le Case della comunità, nuova articolazione dei servizi socio-sanitari a livello territoriale. Essendo prevista in esse la presenza dei consultori, ho ritenuto importante ribadire quanto contenuto nella legge 194/78 laddove recita la possibilità di avvalersi per i consultori «della collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita».

Anche considerando le poche convenzioni esistenti tra le Regioni (che hanno competenza sulla materia) e il terzo settore. Come se questa parte della legge 194 fosse nei fatti ignorata. L’emendamento è stato approvato con il parere positivo del governo e nella totale indifferenza dell’opposizione, che lo ha avuto sotto il naso per diversi giorni ma si è accorta di esso ormai fuori tempo massimo, quando era stata già posta la fiducia sull’intero decreto.

Il metodo dell’ideologia

La grancassa della sinistra ha quindi iniziato a suonare il consueto ritornello dell’attentato al diritto all’aborto, del sovvertimento della 194 e da ultimo – come poteva mancare? – del pericolo fascista. Dieci giorni di titoli di giornale, editoriali, trasmissioni tv, interviste a intellettuali e chiaramente manifestazioni di piazza. In un corteo, qualche attivista ha pure tenuto a ricordarmi con un cartello che il “vento fischia” anche per me, monito non propriamente pacifico.

Da questa prima esperienza di involontaria notorietà (non ho rilasciato dichiarazioni pubbliche sul tema per evitare di rilanciare la polemica) ho certamente messo a fuoco alcune questioni.

Il potere non sopporta chi è contrario all’aborto

Primo: il potere non sopporta, anzi è assolutamente contrario a chi difende la vita, soprattutto se fragile e indifesa. Aveva ragione Madre Teresa di Calcutta quando, ritirando il premio Nobel, scandalizzò il mondo connettendo l’aborto addirittura alla guerra, affermando che il germe della guerra è lo stesso contenuto nell’aborto. Infatti, se la vita è sacra e intangibile, esiste allora qualcosa che viene prima del potere ed esso stesso è chiamato a inchinarsi a una morale che lo precede. La difesa della vita nascente smaschera l’arroganza del potere, il quale – come scriveva don Luigi Giussani – «nella vicenda moderna del pensiero, si è volto contro la Trascendenza».

Manifestazione abortisti aprile 2024

Secondo: l’ideologia non vede la realtà ma solo ciò che ha nella propria testa. Quanto previsto dal mio emendamento non ha in alcun modo modificato la legge 194, ma la necessità di non aprire un varco nel proprio fronte ha portato il potere a provare ad annichilirmi con una campagna mediatica piena di menzogne. Ogni mezzo diventa lecito, la propaganda progressista non fa prigionieri e in un attimo diventa violenta, i suoi cantori levano la propria voce all’unisono senza lasciare possibilità di replica. Come sempre, usa il metodo della derisione o della falsificazione, e quando non ha più argomentazioni valide nel merito, colpisce direttamente la persona screditandola. Altro che unità

Terzo: la comunione tra i cattolici è ancora lontana. I primi attacchi sono arrivati purtroppo dai cattolici di sinistra che hanno rilasciato dichiarazioni scandalizzate, si sono battuti il petto di fronte a questo attentato alla libertà della donna perpetrato da un deputato catto-fascista. Mi chiedo come si possa riscoprire l’unione battesimale che lega chi è impegnato in politica alla luce della fede. Solo questo è garanzia di libertà di fronte alle dinamiche del potere e origine della testimonianza che possiamo portare nell’agone politico. Altrimenti i cattolici diventano irrilevanti non tanto per una mancanza di potere, ma proprio per aver ultimamente abdicato alle sue logiche.

L’emendamento ha avuto una rilevanza che non mi attendevo ma evidentemente ha toccato un nervo scoperto. Mi auguro che possa sostenere le Regioni nell’applicare pienamente la legge 194 e abbia dato un segno di riconoscimento e solidarietà alle migliaia di volontari che ogni giorno sono impegnati nel prendersi cura della vita nascente e della tutela delle donne. 

 

venerdì 14 giugno 2024

LA SOCIETA' ABORTISTA ED EUTANASICA DELLA SCHLEIN

 Scrive Leonardo Lugaresi:

”I più svegli l’avevano capito già da un pezzo – C.S. Lewis, tanto per dirne uno, ne parlava già nel 1943 – ma oramai dovrebbe essere evidente anche ai più tonti, come me: gli uomini non li sopporta più nessuno. Nessuno di quelli che hanno potere, quantomeno.

Tanto per cominciare sono troppi. Otto miliardi, si dice (ma vattelapesca): un’enormità che fa impressione anche soltanto a dirla. Tutti gli ambientalisti, i cultori di “Madre Natura”, gli angosciati per la sorte del pianeta – e chi si azzarda a non esserlo? Se non ti iscrivi a una di queste parrocchie o se almeno non te ne stai zitto e buono, diventi immediatamente una brutta persona – al di là di tutte le chiacchiere sulla transizione ecologica, la sostenibilità, le tecnologie verdi e via dicendo, sotto sotto, nello scantinato della mente (quello dove stanno le cose che non si dicono, ma che contano davvero), pensano che il vero problema sia che l’umanità pesa troppo. Otto miliardi di individui la terra non li regge: fanno del danno semplicemente esistendo (ogni respiro consuma ossigeno e produce anidride carbonica), e se anche i poveri del mondo vogliono emanciparsi e consumare come noi è finita. Quindi bisogna che nascano sempre meno uomini e ne muoiano di più.

Il carattere abortista ed eutanasico dell’attuale “civiltà” non è secondario e accidentale, ma ne definisce l’essenza. Solo in questa prospettiva si può inquadrare concettualmente e spiegare un fenomeno altrimenti inconcepibile come la santificazione dell’aborto. Nel giro di pochissimi anni, infatti, l’aborto è passato da “tragedia” e “triste dato di fatto” di cui bisogna prendere atto per gestirlo socialmente e giuridicamente (di quella pudica ipocrisia ancora grondava la nostra legge 194 del 1978!) a “diritto umano” sacro e inviolabile, contrassegno irrinunciabile di progresso e civiltà, già in procinto di essere elevato a dovere morale e sacramento dell’anti-chiesa universale.”

 

Schlein: "E' una vergogna nazionale"

NON A CASO LA SCHLEIN PROPRIO IERI STRILLAVA CHE IL NON AVER INSERITO IL DIRITTO DI ABORTO NEL DOCUMENTO DEL G7 E’ “UNA VERGOGNA NAZIONALE”

NELLA SUA ANTICHIESA L’ABORTO E’ UN “SACRAMENTO”.

 

VA BENE COSI’ COME SEI

PRESENTATO A CESENA IL 13 GIUGNO IL LIBRO

“AMICO CARISSIMO” ENZO PICCININI NELLE SUE PAROLE 

E NEI RACCONTI DI CHI L’HA CONOSCIUTO


L’INTERVENTO DI ANDREA ALBERTI, MEDICO CESENATE

Ho frequentato Enzo per pochissimo tempo, circa 6 anni. Nonostante questo mi sembra di averlo avuto sempre accanto, da sempre accanto. Questa sensazione è strana e neppure io me la spiego bene ma è così, da sempre. Forse è perché stando con lui, ascoltandolo e litigandoci anche, ho imparato a vivere in un modo diverso e quindi nel resto della mia vita è come se lui ci sia sempre stato, almeno come paragone, come confronto. Quando Widmer mi chiese di scrivere un ricordo di Enzo mi invitò a farlo a proposito di un “famigerato” episodio che ci vide protagonisti ma da avversari.

Ve lo racconterò rapidamente ma vorrei partire leggendovi un brano del libro che sembra fatto apposta per introdurre quel momento, sembra fatto apposta per spiegare su che ambito della mia vita l’incontro con Enzo abbia inciso maggiormente; il capitolo è il , Vai bene così come sei: “Tutto può essere offerto, a quel punto non puoi più usare il pretesto del tuo limite per tornare alla tua solitudine: questa è falsa umiltà. Non puoi aspettare di essere degno per metterti in moto; l’incontro con Cristo ci libera dal limite, non nel senso che lo cancella ma che lo abbraccia”.

Andrea Alberti

Eravamo a Modena ad una cena dopo uno dei soliti calcetti all’ultimo sangue. Ero con il gruppo matricole del mio anno. Non sopportavo quasi nessuno, mi dava fastidio che tutti pendessero dalle labbra di quell’uomo che a me sembrava solo un esaltato. Come dico nel libro era come se in un film la stessa persona facesse, l’attore, il registra, lo scenografo e il costumista. Non rimaneva spazio per nessuno, se non per delle comparse. Mi sentivo soffocare. Mentre a tavola parlavo con un ragazzo poco più grande di me a proposito della mia tesi di maturità (avevo paragonato un verso di Guccini ad uno di Leopardi), lui si intromette e inizia ad inveire contro di me e la stupidissima idea di una tesi così inutile e poco interessante. Ti dovevano bocciare mi disse! Io ascoltai un po’ poi, forte della mi sfrontatezza da diciannovenne gli risposi nei denti; apriti cielo! Se non ci fossero stati degli amici a separarci forse avremmo fatto letteralmente a botte (e non so chi ne avrebbe prese di più…). Dopo quella sfuriata mi cacciò via e io fui ben felice di andarmene. Non lo volli vedere per almeno un anno e non cercai neppure quelli che stavano con lui.

Vai bene così come sei! Leggendo il sesto capitolo ci sono una marea di citazioni di Enzo che fanno vedere come lui fosse conscio del suo temperamento aggressivo e turbolento ma anche di come ci stesse lavorando. A pagina 115 Manlio Gessaroli cita Enzo: “chiunque noi siamo, qualunque cosa abbiamo fatto fino a cinque minuti fa, possiamo ricominciare, ora, adesso, qui!”

Oppure a pag. 129 Widmer racconta di un episodio durante il quale Enzo arrivò a dare uno schiaffo ad un responsabile locale del movimento di una certa città umbra per risolvere a suo modo un attrito che si era venuto a creare. Salvo dire a Widmer subito dopo che non era quello il modo di fare, che era tutto sbagliato!

Enzo lavorava sul suo temperamento ma non per diventare più buono, non per poter accedere coi modi giusti a determinati ambienti, non perché un carattere più docile lo avrebbe favorito in qualche modo. No! Enzo lavorava sul suo temperamento e si pentiva spesso di ciò che aveva fatto perché non voleva assolutamente che questo aspetto fosse di ostacolo a qualcuno nel poter incontrare Cristo. Questo gli interessava, che il proprio temperamento non fosse di ostacolo all’incontro col motivo ultimo per cui lui faceva ogni cosa!

Ed ecco quindi come si conclude il mio episodio. Circa 6 anni dopo, quando già ci eravamo riconciliati e anzi giravo moltissimo con lui per le comunità romagnole e soprattutto a Cesena, improvvisamente morì. Andai a casa piangendo, salutai mio babbo e presi le chiavi della macchina per tornare a Bologna. Mio padre mi fermò e mi disse che Enzo, nel cuore di quella notte in cui litigammo, più o meno alle 2, lo chiamò e gli raccontò tutto. Ma non lo fece per scusarsi del modo, il punto non era la sua aggressività o la mia incazzatura, gli disse proprio così: “mi dispiacerebbe Arturo se questo mio comportamento lo dovesse allontanare dal movimento, dalla nostra esperienza. Non mi farò vivo per un po’, ma gli starò dietro. La litigata di oggi non lo deve allontanare, questo non me lo perdonerei. Non lo mollo” E così fece non mi mollò, mai.

Ecco perché continuo a confrontarmi con Enzo, ecco perché credo che un libro così sia una grande opportunità di crescita umana e non certo una operazione nostalgia, proprio perché nella mia vita Enzo è assolutamente presente: nel modo in cui vivo il mio lavoro, la mia famiglia e anche il rapporto con gli amici. Non ci si deve preoccupare di cambiare se stessi, non bisogna avere paura del proprio temperamento, del proprio limite o di come ci si gioca nelle cose della vita, non si deve aspettare di essere perfetti per incominciare a muoversi, ma bisogna combattere ciò che potrebbe essere d’ostacolo all’incontro con Cristo; allora si che si deve cambiare! Da allora ho sempre pensato che sia una meraviglia essere tutti diversi, ho iniziato a fare pace con me stesso, col mio carattere spesso troppo diretto e brusco ma ho anche imparato a non mollare nessuno e a non aspettare di muovermi solo quando sarò finalmente perfetto. Grazie al rapporto con Enzo prima di persona ed ora attraverso testimoni e testimonianze, ho imparato e continuo ad imparare che devo cambiare, è necessario che continui a cambiare ma solo quegli aspetti di me che possono essere d’ostacolo all’incontro con Cristo, perché lui sapeva bene che per il resto, parafrasando il capitolo 6°, andiamo bene così come siamo!

Grazie!


Foto di Giorgio Marini

mercoledì 12 giugno 2024

GRECIA DA PERICLE A SAN PAOLO E OLTRE: LE RADICI (EUROPEE) CHE PERMANGONO

Fabrizio Foschi

Le radici dell'Europa sono nella cultura greca, accolta e purificata dal cristianesimo, capace di realizzare un ponte fra Oriente e Occidente che non va spezzato

Il Partenone
Bene ha fatto l’Associazione Russia Cristiana a mettere a tema di uno dei suoi viaggi la Grecia. Una delle radici dell’Europa si trova qui, nel punto storico dell’incontro tra la “saggezza greca e il paradosso cristiano”, secondo la bella sintesi offerta dal teologo belga Charles Moeller (1912-1986). La Grecia è il suo passato, la sua memoria, la sua storia ma è anche il luogo in cui sboccia la contemporaneità attraverso la forma dello Stato nazionale. È infatti tra le prime nazioni europee a proclamarsi indipendente nel 1822 e a ottenere poi di fatto l’indipendenza dall’impero ottomano nel 1832 per quanto riguarda un suo primo nucleo costituito dalla parte peninsulare e insulare a sud della Tessaglia.

Una indipendenza raggiunta faticosamente, alla quale collaborò la Chiesa ortodossa e che ha retto nel tempo superando tante prove: guerre civili, crisi economiche, ampliamenti e occupazioni del suo territorio. Uscita quasi distrutta dalla Seconda guerra mondiale, si è risollevata. Uscita quasi del tutto rovinata economicamente dalla grave contingenza economica del 2008-2013, si sta risollevando di nuovo, anche se non tutti i greci condividono il piano di privatizzazioni dell’attuale governo che sta attirando in Grecia investitori di ogni genere (europei, bulgari, cinesi) ma che assomiglia a una svendita. La storia comunque non è solo una faccenda che riguarda la dissepoltura del passato a scopo archeologico (e il paese del sirtaki e del rebetiko brilla per abbondanza di importanti siti archeologici).

Meglio evidenziare, della storia, la dimensione della “memoria storica”, consistente nella selezione di quelle memorie che ci servono per capire il presente e progettare il futuro. Se la storia è volta solamente a guardare indietro, come fece Orfeo temendo che nella risalita dagli inferi la bella Euridice non lo seguisse, si perde la cognizione del tempo che si sviluppa manifestandosi nelle varie circostanze. La memoria storica è perciò diversa dal mito e dalla concezione del tempo che scorre e si ripete sempre uguale a sé stesso.

Il mito greco è tuttavia anche una forma di sapere che cerca di scrutare il fondo oscuro delle cose e contiene aspetti rivelativi del mistero. Il cielo, il sole, il mare, l’amicizia, la guerra diventano divinità personificate alle quali è possibile rivolgersi stabilendo però rapporti a senso unico. A Delfi

Tempio di Apollo a DELFI
l’oracolo quando è consultato non fa che replicare enigmi incomprensibili, per cui il soggetto o la comunità interrogante è sempre dalla parte del torto. Lo si capisce molto bene prestando attenzione alla logica del sacrificio, cui ogni mito arcaico è sempre collegato in maniera rituale. Al dio occorre sacrificare qualcosa ma non sempre il dio risponde. Per questo motivo, dice sempre Moeller, “se il cielo antico è greve e carico di maledizione, gonfio di lacrime e di tristezze, gli uomini, per sé stessi, sono nobili e retti: si sforzano, in questo oscuro caos, di far regnare un poco di bellezza e di grandezza attraverso l’eroismo e la gloria”.

Il pantheon greco è impressionante, ricco e molteplice. Come quello romano, d’altra parte, in qualche maniera speculare rispetto a quello greco. La Grecia è superiore a Roma nella tessitura letteraria del mito, ma non le basta tale supremazia per guadagnarsi la salvezza. Roma è superiore ad Atene in quanto potenza militare. Roma pone fine alla libertà della Grecia nel 146 d.C. Visitando i luoghi della Grecia arcaica e classica si fa esperienza del senso di tragicità che incombe sull’uomo greco e della sua ricerca della verità attraverso il culto dell’armonia e della bellezza. La verità sussiste nella perfezione delle forme dei corpi e delle strutture architettoniche, per la quale si sacrificano ben più che ecatombi di buoi: si sacrificano alleanze, rapporti diplomatici, assetti politici.

L'Areopago

L’età di Pericle (fine del V secolo a.C.) è il vertice della mescolanza di grandezza artistica e amoralità politica: per costruire il Partenone Pericle si serve del tesoro della Lega delio-attica di cui Atene dovrebbe essere garante e custode. Niente più tiene e Atene precipita nella guerra civile. Aveva tuttavia cercato un’altra strada di uscita dalla tragicità incombente della vita, la strada della filosofia, la universalizzazione del discorso (logos) che anziché puntare sulla soggettività del mito, si orienta a far parlare le cose, ad ascoltarne l’intrinseca ragionevolezza. L’arte statuaria greca, contemplata al Museo Nazionale di Atene, anche a questo riguardo manifesta un fremito di insoddisfazione, i volti si fanno cupi, i sorrisi scompaiono dalle figure scolpite che nell’approssimarsi all’età alessandrina diventano enormi, quasi a compensare con il volume l’insufficienza di una risposta alla domanda sul dolore, sulla morte, sull’esistenza nel contesto di un mondo già globalizzato.

Un’altra forma di sapienza (sofia) è stata tuttavia proposta all’uomo greco. Egli ha ascoltato Paolo di Tarso che all’Areopago di Atene ha innalzato la Grecia a simbolo dell’incontro tra il Dio incarnato e il desiderio di assoluto che sprona l’uomo a cercare una vita felice, giusta e bella. La verità, propone l’apostolo dei Gentili, è “un uomo che Egli [Dio] ha designato, dandone a tutti prova sicura col risuscitarlo dai morti” (Atti, 17, 31). È Cristo incarnato, morto e risorto. Al sentire parlare di resurrezione molti se ne andarono ma alcuni cominciano a seguirlo, tra cui Dionigi l’Areopagita, al quale è dedicato un ampio viale alle pendici dell’antico tribunale. Nelle vene della cultura greca, ma potremmo dire di ogni tempo e latitudine, è innestata una linfa nuova.

Le Meteore
È una saggezza, una Sofia, donata all’uomo dal Cristo Pantocratore che si impone nelle chiese e nei monasteri bizantini di ogni località greca dalle più accessibili, come la splendida Tessalonica (Salonicco), alle più inaccessibili come le Meteore, aggrappate al cielo. La Sofia nuova non è un discorso sull’uomo, ma una esperienza che attraversa la vita di ogni essere umano che può guardare in faccia la morte sapendo che questo pungiglione non rappresenta l’ultima parola (ecco che nell’arte funeraria ai corredi materiali subentrano i simboli cristiani). E la Madonna accompagna questo cammino, sia che si tratti di immagini dell’Achiropita (non fatta da mano d’uomo), sia dell’Odigitria (che mostra la direzione, indicando il Figlio). Il cristianesimo non ha distrutto il mito come pretendeva di fare la filosofia, lo ha accolto, purificato nella sua domanda di verità, cui ha offerto una risposta nel Verbo Incarnato che subisce umiliazioni, muore e risorge.

La Grecia ha incontrato il cristianesimo e si è fatta alveo di una cultura che ha resistito all’onda d’urto musulmana fino alla metà del XV secolo. Le chiese trasformate in moschee sono state spesso scalpellate e saccheggiate (impressionanti gli sfregi del monastero Vlatadon di Tessalonica: d’altra parte Napoleone, francesi e tedeschi non hanno fatto di meglio), ma hanno resistito nel tempo e sono ancora oggi testimonianza di una possibilità che il viaggio nel cuore della memoria storica greca, classico-bizantina, rende manifesta e vivibile. Lo spazio cristiano greco-bizantino, nella versione ortodossa, ha per secoli fatto da argine all’ondata musulmana che nel 1453 ha travolto Costantinopoli. Oggi, tuttavia, si presta ad un altro messaggio. Uscire dal mito e ritrovare uno sguardo attento alla realtà non significa uscire nello spazio autoreferenziale della filosofia ma in quello più realistico e libero del desiderio di compimento.

Micene, la porta dei Leoni

Il mito deve essere giudicato in quanto tensione a uno scopo che si realizza nello spazio culturale e politico dell’uomo che accoglie in sé una struttura umana che non è la sua, ma gli è data. Quanti miti attuali, in questo senso, meriterebbero di essere giudicati e ricondotti a una radice che nell’enfasi ideologica rischia di essere perduta! Il mito della prestazione individuale dietro al quale si nasconde la domanda di identità personale. Il mito dell’ecologismo dietro al quale si nascondono interessi economici ma anche la domanda di cura del creato. Il mito della nazione eletta dietro al quale si nasconde la domanda di comprensione di un destino storico di popolo e di comunità, inseparabile dalla lettura del contesto di altri popoli e altre nazioni. E chissà che nell’attuale circostanza di una Europa che si appresta a rinnovare le proprie istituzioni comunitarie, la Grecia non torni ad avere una parte significativa, non fosse altro che per rilanciare la sua vocazione di sintesi tra Oriente e Occidente.

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 tratto da ilsussidiario.net