lunedì 10 giugno 2024

“L’UE NICHILISTA NON È L’EUROPA DI DE GASPERI”

Intervista all’Arcivescovo Giampaolo Crepaldi

“Questa Unione Europea non piace più a nessuno. Da qui deriva l’importanza delle prossime elezioni, dato che la possibile risposta alla crisi sistemica attuale può essere duplice: accelerare i processi di unione oppure rallentare e perfino tornare indietro.”

I Padri Fondatori 1952
Adenauer De Gasperi Schumann

Monsignor Giampaolo Crepaldi, vescovo emerito di Trieste, ha il coraggio di esprimere ciò che molti pensano ma pochi dicono riguardo il progetto europeo, che nei decenni ha deviato dal suo ideale originario e da potenziale sogno si è trasformato in incubo. In questa intervista, Crepaldi, che è stato anche Presidente della Commissione “Caritas in veritate” del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (CCEE), traccia un’analisi della crisi economica, politica, sociale e culturale dell’UE a pochi giorni dal voto che ne rinnoverà il Parlamento, e fa intendere che solo un radicale ripensamento di metodi e soprattutto di contenuti, potrà cambiare una situazione che sta diventando molto pericolosa per tutti. Un realismo lucido il suo, che non si piega al pensiero dominante ed è autentica testimonianza di una Chiesa che c’è.

Eccellenza partiamo dal campo economico: lo stesso Mario Draghi ha detto che, se l’Unione Europea non vuole farsi schiacciare dalle altre superpotenze è necessario un “cambio radicale”. Dal suo punto di vista dove si è sbagliato finora e in quale direzione bisognerebbe andare?

La proposta di Draghi è del primo tipo delle due che ho indicato, cioè accelera i processi di unione. Mi sembra però che si scontri con alcune difficoltà: innanzitutto gli Stati Uniti non permetteranno mai all’Europa di ergersi a potenza indipendente dall’America; in secondo luogo, ad un simile potenziamento dell’Unione manca una solida base culturale, senza della quale essa diventerà una costruzione artificiale. Anche il filosofo Giorgio Agamben ha detto che l’UE non esiste, è solo un patto tra Stati. La terza difficoltà è che è in atto una notevole mobilitazione dal basso che va nel senso opposto.

Sul fronte politico c’è una chiara tendenza a bypassare le singole nazioni e a trasferirne la sovranità verso un superstato centrale: quali rischi intravede in questo approccio?

L’insistenza sulla necessità di passare ad un debito comune, che richiederebbe un ministero del tesoro europeo, e ad una difesa comune, con un aumento delle spese militari che metterebbe in difficoltà l’economia di tutti gli Stati e soprattutto dell’Italia, sono evidenti prove che qualcuno vorrebbe passare al superstato europeo. Anche le due transizioni – digitale ed ecologica – sono pensate per condurre a quello. Più che di rischi parlerei di conseguenze certamente negative, prima fra tutte la fine dell’Europa e la sua tristissima identificazione con l’Unione Europea. Poi l’emergenza di un potere leviatanico capace di un controllo appiattente. Quindi la stabilizzazione del contrasto con la Russia e la perdita definitiva del concetto di Europa dall’Atlantico agli Urali di san Giovanni Paolo II.

Dal punto di vista sociale, l’UE promuove tutti i nuovi diritti ma poi manca di tutelare quelli fondamentali, come prova il recente voto parlamentare sull’aborto come diritto umano: questo atteggiamento di rifiuto della legge morale naturale dove porterà?

Il ceto dominante a Bruxelles ha una sua cultura omogenea: il relativismo, o meglio, il nichilismo postmoderno. Siamo governati da una élite che coopta i propri membri e che condivide l’ideologia del globalismo, dell’ecologismo, del riconoscimento dei diritti ad oltranza, dell’individualismo narcisistico. È una cultura distruttiva della vita, della famiglia, della religione. L’Unione è in mano ad una cultura post-naturale e postcristiana che non può portare che alla catastrofe, perché ritiene che tutto sia disponibile.

Eppure la Chiesa sembra appoggiare senza condizioni questo progetto di Unione: perché, a suo avviso?

Il motivo mi sembra questo: la Chiesa ha abbandonato di riferirsi organicamente alla propria Dottrina sociale e l’ha sostituita con un generico fine di “inclusione” solidaristica, un generico “tutti dentro”. Quindi è spinta a valorizzare quanto unisce, mentre vede male quando divide, indipendentemente dai contenuti di quell’unire e di quel dividere. Chi critica l’Unione Europea diventa automaticamente individualista, chi difende la nazione diventa subito nazionalista, chi vuol più bene al proprio popolo che alle istituzioni di Bruxelles viene descritto come populista. Questi sono oggi i giudizi della Chiesa.   

In questa UE quanto rimane dei suoi tanto citati padri fondatori cattolici (De Gasperi, Schuman e Adenauer) e quanta influenza ha piuttosto il Manifesto di Ventotene di chiara ispirazione socialista?

Intanto ricordo che i padri fondatori avevano in mente una Comunità e non un’Unione. Secondariamente si dimentica che ci furono altri padri fondatori, come Rossi, Spinelli e Colorni, che nel loro Manifesto di Ventotene – era il 1941 – dicevano di volere una Europa socialista, con abolizione della proprietà privata, con un popolo che doveva essere rieducato e guidato da “esperti”. Mi sembra che l’attuale Unione sia più simile a questi indirizzi che non agli auspici di De Gasperi.

Davanti a uno scenario che vede violati da più parti i principi non negoziabili – vita, famiglia, libertà educativa – un cattolico come può orientarsi nelle scelte di voto?

Tra i cattolici noto la presenza di una diffusa mentalità astensionista. Capisco questo atteggiamento, dovuto al fatto di trovarsi davanti ad un sistema molto coeso e pervasivo difficile da scalfire. Ritengo però che, data l’importanza di questo appuntamento e considerato che è possibile dare un voto di preferenza, convenga andare a votare. Si scelgano i partiti più critici e in quelle liste si scelgano i candidati sostenitori dei principi non negoziabili. So che Pro Vita & Famiglia ne ha anche fatto un elenco. 

Per restare fedele a sé stessa, nei prossimi anni la Chiesa sarà obbligata a diventare culturalmente scomoda?

Direi di sì, e non solo nel campo che stiamo esaminando. Quando la Chiesa vuol piacere troppo al mondo danneggia il mondo e danneggia sé stessa.

Intervista all’Arcivescovo Giampaolo Crepaldi di Martina Pastorelli

La Verità del 2 giugno 2024

 

Nessun commento:

Posta un commento