Stefano Fontana
L’Unione Europea di Maastricht e Lisbona non passa l’esame di Dottrina sociale.
Nella Chiesa cattolica è molto diffusa l’idea che
l’Unione Europea sia una valida incarnazione della Dottrina sociale della
Chiesa. Ne nasce un appoggio incondizionato e pensare e agire da europeo sembra
essere una delle principali esigenze evangeliche, mentre non allinearsi a
questa Europa è considerato un atteggiamento egoista e sciovinista. Continua a
circolare anche l’enfasi sulla fede cattolica dei tre “padri fondatori” sicché
il cattolicesimo sarebbe all’origine dell’intero processo che ha condotto fino
alla Von der Layen.Trattato di Maastricht firme di adesione
Viene
dimenticato che Schumann, Adenauer e De Gasperi avevano creato una Comunità,
mentre l’Unione che nasce da Maastricht e Lisbona è un’altra cosa. I cattolici che richiamano i Padri fondatori per battezzare tutto il
percorso unitario europeo fino ai nostri giorni fingono di non sapere che alla
base dell’europeismo c’è anche il Manifesto di Ventotene di
Spinelli, Rossi e Colorni, che si propone obiettivi assolutamente contrastanti
con la Dottrina sociale della Chiesa secondo una linea che oggi sembra
vincente.
Giovanni Paolo II e Benedetto XVI avevano espresso un
magistero molto alto sull’Europa e, per contrasto, anche molto critico rispetto
all’Unione Europea che,
nell’ansia di coincidere con l’Europa, finiva per distruggerne l’eredità
culturale, rattrappirne il respiro e ridurre la Magna Europa ad
una Parva Europa. Ma oggi nella Chiesa chi solleva qualche critica
sullo stato dell’Unione? Non certo la Comece, la Commissione dei vescovi
cattolici dei Paesi aderenti all’Unione, che segue docilmente l’agenda di
Bruxelles.
Ecco i motivi per cui può essere utile confutare
l’idea che l’Unione Europea sia una valida incarnazione della Dottrina sociale
della Chiesa.
Il bene comune
Il primo dei principi fondamentali della Dottrina
sociale è quello del bene comune come fine della politica e su questo punto la
lontananza dei due termini del nostro confronto è molto forte. Il bene comune è da intendersi
in senso verticale, ossia fondato ultimamente su Dio, che è il Bene
stesso. Ma l’Unione ha rifiutato di parlare nel suo progetto di
Costituzione, peraltro in seguito naufragato, non solo del Dio di Gesù Cristo,
non solo di un Dio generico all’americana, ma addirittura di accennare
semplicemente alle radici cristiane dell’Europa. In questo modo l’Unione si è dissociata dalla stessa
Europa le cui radici religiose cristiane sono più che evidenti. Non può
esistere un bene comune senza una visione in comune del Bene: su questo punto
l’Unione Europea contrasta apertamente con la Dottrina sociale della Chiesa.
Il bene comune
è anche analogico, ossia ha diversi significati per le diverse
aggregazioni sociali e politiche. Non c’è un unico bene comune per l’intera
Unione Europea, uniforme, uguale, piatto, ma ogni organismo sociale e politico
ha il proprio specifico bene comune di cui è il primo responsabile. L’Unione
Europea sembra invece determinata ad uniformare dall’alto, entrando perfino in
ambiti che gli stessi trattati lasciano ad altri soggetti.
Qui si nota l’onda lunga del Manifesto di Ventotene per il quale la rivoluzione europea
doveva essere socialista, la proprietà privata abolita, il popolo guidato da
élite cooptate di esperti, gli organismi popolari utilizzati, e bisognava dare
“la prima disciplina sociale alle nuove masse”. Questa visione tipica del “progressismo illuminato”
è stata sempre molto presente nell’Unione ed oggi lo è ancor di più, come se le
istituzioni europee fossero portatrici di una nuova verità e il ceto dirigente
dell’Unione avesse il dovere di uniformare ed educare tutti i cittadini per
introdurli in una nuova era.
Il bene comune è un concetto morale. La parola “bene”,
infatti rientra nella morale e l’aggettivo comune significa che deve riguardare
tutti gli uomini e ogni uomo. Ma chi stabilisce cosa sia il bene? L’Unione
Europea assume questa visione dell’etica: da un lato essa viene rimessa alla
autodeterminazione dei singoli cittadini, per cui un bene comune non può più
esistere, sostituito da una serie di desideri individuali assoluti, dall’altro
essa lo rimette al Grande Individuo rappresentato dalle istituzioni comunitarie
stesse. Così convivono il libertarismo
individualista che corrode lo spirito di comunità e il centralismo
istituzionale, il quale fa del rispetto di quella libertà priva di criteri
la propria ideologia morale. Il bene
comune diventa il soddisfacimento dei bisogni individuali oppure di quelli
del Leviatano, ambedue cose private più che comuni.
Stato e sovranità
L’Unione Europea ha assunto un concetto di Stato
opposto a quello inteso dalla Dottrina sociale della Chiesa e lo usa sia quando
si riferisce agli Stati membri sia rispetto a se stessa. La Dottrina sociale intende lo Stato come uno strumento
di cui la comunità politica si serve per perseguire il proprio bene comune.
Prima dello Stato viene la comunità politica, realtà organica fatta di
famiglie, municipi, regioni, patrie, popoli e nazioni con i loro doveri e i
loro diritti, le loro consuetudini e la loro storia nella quale si sono
configurati i loro caratteri naturali. Prima dello Stato c’è, come scriveva
Christopher Dawson, una “comunità di comunità”.
Ma con l’Unione, l’idea di Comunità è stata superata e
dallo Stato moderno – il Leviatano che è uomo, animale, Dio e macchina –
è stata assunta l’idea di sovranità. L’Unione
Europea nasce da trasferimenti di sovranità dai singoli Stati così intesi al
nuovo Super-Stato. Il concetto di sovranità è completamente estraneo alla
Dottrina sociale della Chiesa ed è una invenzione della modernità politica
di Hobbes e Rousseau. Nella “comunità di comunità” il governo era prima di
tutto autogoverno e non si trattava di un potere sciolto da legami, ossia
sovrano, ma sottoposto alle leggi naturali, alle autonomie della società
organica, alle differenti tradizioni e alla civiltà sedimentata nella storia. Molte tendenze attuali spingono
per un progressivo accentramento di sovranità in continuità con la visione
modernista dello Stato: si vuole maggiore unità bancaria, si prefigura
una unica struttura di difesa e si mette in atto una sistematica formazione
dell’”uomo europeo” perché fatta l’Europa bisogna fare gli europei. La
formazione alla storia e ai principi dell’Unione nelle scuole pubbliche e il progetto
Erasmus, omogeneizzatore delle menti dei giovani cittadini, sono due esempi di
questo accentramento di sovranità, anche educativa. Accade anche che agli Stati
candidati ad entrare nell’Unione si chiedano preventivamente riforme
legislative, specialmente sulla nuova
concezione libertaria dei diritti, per conformarsi previamente alla cultura
artificiale dell’Unione.
Il principio di sussidiarietà
Il trattato di Maastricht aveva fatto proprio il
principio di sussidiarietà e questo aveva corroborato l’idea di quanti
sostenevano il collegamento stretto tra Unione Europea e Dottrina sociale della
Chiesa. Si tratta infatti di un principio fondamentale, capace di essere
rivoluzionario se inteso e applicato correttamente.
Si dice che
esso organizza la società dal basso verso l’alto, sostenendo che le società di
livello superiore non vengono prima ma dopo quelle di livello inferiore e non
possono sostituirle ma semmai aiutarle a fare meglio quanto spetta loro fare. Gli Stati che sono entrati nell’Unione erano strutturati secondo questo
principio? No, essi rispondevano alle caratteristiche dello Stato moderno
accentrato e burocratico. Il trasferimento di sovranità all’Unione è avvenuta
secondo questo principio? No, perché anche l’Unione è stata intesa nello stesso
modo. L’Unione ha impresso una spinta
generale ad incarnare meglio la sussidiarietà? No, perché l’ha violata per
prima nei confronti delle realtà sociali e politiche ad essa inferiori.
Oggi
nell’Unione la sussidiarietà viene intesa come attribuzione dall’alto di
funzioni decentrate e come strumento funzionale per
rendere più efficiente il sistema tramite la cosiddetta vicinanza al cittadino.
Il punto è che la sussidiarietà richiede una visione della società come un
ordine organico e finalistico nel quale, dal basso all’alto, ogni realtà
naturale o aggregata sia posta in grado di fare da sé. Ma nessun documento
fondativo dell’Unione Europea e nessuna prassi delle sue istituzioni fanno
riferimento ad un ordine di questo tipo.
La “laicità” europea
L’Unione
Europea è il primo finanziatore dell’aborto nel mondo, spinge perché gli Stati
membri adottino legislazioni a favore dei nuovi diritti, la giurisprudenza
europea stabilisce precedenti per le legislazioni nazionali nel sovvertimento
del diritto naturale, le nazioni vengono considerate in senso prevalentemente
folklorico e la difesa delle identità culturali vituperata come nazionalismo,
non ha un progetto di governo delle immigrazioni, proclama un totale
indifferentismo religioso, pensa di avere una alta cultura da difendere ma
questa in fondo si riduce alla tutela di una vuota libertà, coltiva e plasma un
impossibile e artificiale uomo europeo che non sia né francese né italiano, né
cristiano né islamico, è incapace di vera vita democratica pur indicando nella
democrazia la propria anima, è governata da una rete di contatti corporativi e
da grossi centri di potere privato.
L’Unione
Europea designa una terra desolata che essa chiama “laicità” europea. Si tratta del distacco dal cristianesimo tramite l’assunzione di una
nuova religione a carattere irreligioso: l’europeismo ideologico. L’Unione
Europea non è laica, è laicamente irreligiosa, ma proprio per questo elabora
una cultura decadente e di decadenza. Laici come Habermas o Böckenförde hanno
evidenziato come sia impossibile
un’etica che si fondi su se stessa, e per questo Giovanni Paolo II voleva
il riferimento a Dio nella Costituzione europea e Benedetto XVI lanciava agli
europei il provocatorio invito a vivere come se Dio fosse: etsi Deus
daretur.
Stefano Fontana
(Foto: Trattato di Maastricht firme di adesione , Museum der Bayerischen
Geschichte; Wikipedia, Di User Mateus2019)
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