sabato 27 dicembre 2014

LA “COSTITUZIONE PIÙ BELLA DEL MONDO”

IN UNO DEI SUOI ULTIMI ATTI PRESIDENZIALI 
ANCHE NAPOLITANO DICE LA VERITA'

Il bicameralismo paritario “è stato il principale passo falso dell’Assemblea costituente”. Con questa frase pronunciata davanti al plenum del Consiglio superiore della magistratura, Giorgio Napolitano ha seppellito mezzo secolo di retorica sulla “Costituzione più bella del mondo”, cantata ora un po’ fuori tempo massimo da Roberto Benigni e illustrata pomposamente da una compagnia di giro guidata da Gustavo Zagrebelsky. Il fatto che il bicameralismo sia stato solo il principale passo falso significa che ce ne sono stati altri, insomma che c’è molto da cambiare a da rivedere nella Carta fondamentale della Repubblica, che come tutte le opere della politica ha avuto un senso quando è stata approvata, ma naturalmente con il mutare delle condizioni e dei rapporti di forza perde di attualità e di efficacia.



Napolitano ha una cultura fondamentalmente storicista, che nel suo principale mentore politico, Giorgio Amendola, assunse persino qualche carattere provvidenzialistico. Depurata dagli effetti giustificazionisti, che furono in qualche modo originati dalla lettura di Benedetto Croce, la concezione storicistica “napoletana” ha il pregio di esercitare una lettura critica anche dei miti fondanti della politica nazionale. Così si può benissimo capire a quali esigenze storiche e politiche abbia obbedito la scelta del bicameralismo, adottata, va detto, dall’Assemblea costituente in una situazione particolare dal punto di vista istituzionale, con l’Assemblea parlamentare precedente, la Camera dei fasci e delle corporazioni, disciolta, ma il Senato di nomina regia tuttora esistente in una sorta di limbo istituzionale, dopo la cancellazione dei senatori di nomina mussoliniana, ma che vedeva ancora formalmente forniti del laticlavio i senatori di nomina prefascista, compreso Enrico De Nicola, il capo dello stato in carica in quel momento. Paradossalmente la difesa del Senato e delle sue prerogative paritarie fu assunta, all’inizio, dalla Democrazia cristiana, che vi vedeva un contrappeso a una possibile maggioranza di sinistra nella Camera dei rappresentanti, ma dopo la rottura dei governi di unità antifascista, nel 1947, il fronte si capovolse e furono i socialcomunisti a insistere per un ruolo decisivo anche del Senato. Il compromesso che ne uscì è appunto quel bicameralismo paritario che, una volta superate le ragioni e i rapporti di forza da cui era nato, è restato come un intralcio alla efficacia del sistema decisionale della democrazia repubblicana. Il fatto che non sia stato possibile, una volta constatato l’evidente difetto del sistema istituzionale, il che era già evidente ai tempi della prima commissione Bicamerale per la riforma costituzionale del 1983 presieduta da Aldo Bozzi, significa che in trent’anni un tema ormai maturo non ha trovato una soluzione (se si esclude la riforma approvata del centrodestra, con la trasformazione del Senato in Camera delle autonomie, ma poi bocciata dal successivo referendum popolare). La forza di inerzia che ha prodotto questa paralisi del rinnovamento istituzionale, i cui effetti si sono man mano diffusi a tutto il sistema dei pubblici poteri, è proprio l’ideologia costituzionalista, quell’assolutizzazione di principi storicamente superati e di meccanismi disfunzionali (aggirati da quella che in gergo si chiama la Costituzione materiale contrapposta a quella formale) che paradossalmente è riuscita a presentare la sua natura conservatrice come baluardo progressista a difesa di diritti conculcati da chiunque osasse parlare di riforme istituzionali.

Questa forza di inerzia è tuttora potentissima, come dimostra la fatica improba che costa ogni passaggio riformatore, e questo spiega perché fra i suoi ultimi atti presidenziali Napolitano abbia deciso di affrontare in modo esplicito questo nemico, insieme al protagonismo delle toghe, indicandolo come l’ostacolo principale al rinnovamento indispensabile per rendere il sistema Italia efficace nelle decisioni politiche per poter tornare competitivo anche nel campo economico ed equilibrato nelle relazioni sociali.


Nessun commento:

Posta un commento