CONFESSARSI: UN CLICK ED è FATTA. MA NON E' COSI'
\(...) Ma isolarsi e ritirarsi in solitaria preghiera comporta anche rischi gravi,
come il pensare che non serva andare a messa e che tutto sommato si può pure
fare da soli, a casa. Anche confessarsi e, ça va sans dire, autoassolversi.
C’è
l’Atto di dolore, servirà pure a qualcosa, s’è sentita rispondere una suora a
un corso di catechesi per adulti. E se uno ha un libretto in mano, magari sul
comodino, può convincersi che non servono mediatori, che basta leggere e
sottolineare la Parola di Dio per essere buoni cristiani e rispettare il
decalogo.
E’ il pericolo di convincersi che la chiesa è inutile e che l’uomo
può instaurare un rapporto diretto con l’Altissimo, senza sacerdoti a predicare
sui sacramenti e a sciorinare – più o meno superficialmente – pillole di buona
e sana dottrina. Tentazioni su cui Francesco ha messo in guardia più d’una
volta: “A volte capita di sentire qualcuno che sostiene di confessarsi
direttamente con Dio… Sì, Dio ti ascolta sempre, ma nel sacramento della
Riconciliazione manda un fratello a portarti il perdono, la sicurezza del perdono,
a nome della Chiesa”.
E ancora, “puoi dire ‘Dio perdonami’ e dire i tuoi
peccati, ma i nostri peccati sono anche contro i fratelli, contro la Chiesa, e
per questo è necessario chiedere perdono alla Chiesa e ai fratelli nella
persona del sacerdote”.
Bene internet, insomma, ma non fino al punto da pensare che si possa
trasformare la confessione da sacramento a fredda conversazione tramite posta
elettronica: “Alcuni – diceva ancora il Papa – dicono ‘io mi confesso con Dio.
Ma è facile, è come confessarti per e-mail, no? Dio è là lontano, io dico le
cose e non c’è un faccia a faccia. Paolo confessa la sua debolezza ai fratelli
faccia a faccia. Altri dicono ‘io vado a confessarmi’ ma confessano cose
eteree, nell’aria, che non hanno nessuna concretezza. E quello è lo stesso che
non farlo. Confessare i nostri peccati non è andare a una seduta di
psichiatria, neppure andare in una sala di tortura: è dire al Signore ‘sono
peccatore’, ma dirlo tramite il fratello” e anche avere ‘una sincera capacità
di vergognarsi dei propri sbagli’”.
Che il confine tra rete e realtà sia sottile, confermando tutte le paure
espresse a più riprese dal Pontefice, lo dimostra il caso che tempo fa
coinvolse il servizio Preti online, nato alla fine degli anni Novanta “per dare
a chiunque la possibilità di mettersi in contatto con un prete”, visto che
“forse molti hanno il desiderio di parlare con un sacerdote, per i motivi più
diversi, ma non sempre ne hanno la disponibilità”. Qualcuno, iniziando a
chattare con questi sacerdoti, pensava di essersi confessato ed essere stato
assolto, tanto da rallegrarsi pubblicamente: mai stato così facile, un click ed
è fatta.
E’ stato necessario, sempre online, che i preti rettificassero: “Il
penitente deve accusare i peccati, in presenza fisica, davanti al sacerdote,
perché innanzitutto dà lode a Dio per la sua misericordia e il sacerdote,
rappresentando la comunità cristiana, sancisce sacramentalmente la
riconciliazione con Dio e con la Chiesa. E’ impossibile usufruire per il
sacramento di qualsiasi mezzo di comunicazione: posta, telefono, radio, e-mail,
messaggistica istantanea”. Insomma, la fila davanti al confessionale bisogna
farla, così come sarebbe opportuno andare a messa la domenica non come “un
momento di festa, una tradizione consolidata, un’occasione per ritrovarsi o per
sentirsi a posto”, diceva qualche tempo fa il Papa durante un’udienza generale
in piazza San Pietro, bensì come “incontro con Gesù che fa sentire fratelli
quanti partecipano alla celebrazione, fa sentirsi perdonati e pronti a
perdonare e fa coerenza tra liturgia e vita”.
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