DAL CANADA ALL’EUROPA, ACCADEMICI E BIOETICI (!) TEORIZZANO CHE UCCIDERE UN NEONATO DEVE ESSERE LECITO IN
TUTTI I CASI IN CUI E’ CONSENTITO L’ABORTO!
“Il bambino disabile ha la capacità di
crescere in modo tale da avere una vita e non semplicemente di essere vivo? Se
capiamo che non ce l’ha, allora dovremmo concludere che la sua vita non è degna
di essere vissuta”.
A teorizzare l’aborto post-nascita è il massimo bioeticista canadese, il
professor Udo Schuklenk, docente alla Queen University e già direttore della
Royal Society. Lo ha scritto sulla rivista scientifica Journal of Thoracie and
Cardiovascular Surgery, in un saggio dal titolo “I medici possono a ragione
fare l’eutanasia a certi bambini gravemente compromessi”. Schuklenk sostiene
che “il rispetto per la dignità umana richiede che si ponga fine alla vita dei
bambini per motivi compassionevoli”. L’infanticidio diventa legittimo dal punto
di vista della “qualità della vita”. Ecco dunque “l’aborto post natale”, sul
quale i genitori devono “decidere liberamente perché i bambini appena nati sono
più simili a un feto che a noi”.
Un professore universitario della Repubblica Ceca, Miroslav Mitloehner,
membro del Consiglio scientifico del ministero degli Affari sociali, ha appena
teorizzato nel Journal of medical law che “se il figlio è disabile la madre
deve essere costretta ad abortire. Non ha senso prolungare la vita di un
bambino nato come un mostro”. Vaclav Krasa, presidente della principale
organizzazione ceca per i diritti dei disabili, ha comparato le idee del
professore al “pensiero nazista”. Mitloehner ha poi sposato l’idea
dell’eutanasia per i neonati handicappati.
A lungo l’infanticidio venne praticato, da Tahiti alla Groenlandia. E non
erano solo gli spartani a esporre i loro bambini sulla cima di una collina.
Anche Platone e Aristotele raccomandavano che lo stato disponesse l’uccisione
di bambini disabili. Poi, per duemila anni, è diventato tabù.
Quando l’australiano Peter Singer sdoganò nuovamente il dibattito
sull’infanticidio, nel 1999, la sua proposta venne accolta con scandalo e
alzate di scudi da ogni parte. Da un anno a questa parte, l’infanticidio è
tornato mainstream nelle migliori università occidentali. Come scrive lo
studioso americano Wesley Smith, “alcuni dei più celebri bioeticisti e riviste
medico-scientifiche pubblicano apologie dell’infanticidio”.
Sulla rivista Journal of Applied Philosophy, con il saggio “Consciousness
and the Moral Permissibility of Infanticide”, Nicole Hassoun e Uriah Kriegel
sostengono che “non è permesso uccidere una creatura soltanto quando questa è
cosciente; è ragionevole pensare che ci sono casi in cui i neonati non sono
coscienti; quindi è ragionevole pensare che sia lecito uccidere alcuni nuovi
nati”. John Harris, docente all’Università di Manchester, ha posto in questi
termini la liceità dell’aborto post natale: “Che cosa pensa la gente che cambi
nel passaggio lungo il canale vaginale da rendere giusto uccidere un feto a
un’estremità del canale ma non all’altra?”.
Jeff McMahan ha scritto in “The ethics
of killing” (Oxford University Press) che “l’infanticidio è giustificabile” in
caso di “gravi disabilità mentali” del bambino. Hugo T. Engelhardt, autore del
celebratissimo “Manuale di bioetica”, giustifica l’infanticidio osservando che
“il dovere di preservare la vita di un neonato generalmente viene meno con il diminuire
delle possibilità di successo nonché della qualità e della quantità della vita,
e con l’aumentare dei costi del conseguimento di tale qualità”.
Il famoso
bioeticista ha coniato la definizione di “straniero morale” per indicare chi,
come i non nati, i disabili e i comatosi, non avrebbe più titolo a essere
considerato “persona”.
Due anni fa era apparso sul prestigioso Journal of
Medical Ethics il saggio di due ricercatori italiani, Alberto Giubilini e
Francesca Minerva, i quali sostengono che, al pari del feto, anche il neonato
non ha lo status di “persona”, pertanto l’uccisione di un neonato dovrebbe
essere lecita in tutti i casi in cui è permesso l’aborto, anche quando il
neonato non ha alcuna disabilità ma se costituisce un problema economico o di
altra natura per la famiglia.
Certamente, nelle loro coscienze, il caso è
felicemente risolto. Ma non può
esserlo nelle nostre
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