IN UNO DEI SUOI ULTIMI ATTI PRESIDENZIALI
ANCHE NAPOLITANO DICE LA VERITA'
Il bicameralismo
paritario “è stato il principale passo falso dell’Assemblea costituente”. Con
questa frase pronunciata davanti al plenum del Consiglio superiore della
magistratura, Giorgio Napolitano ha seppellito mezzo secolo di retorica sulla
“Costituzione più bella del mondo”, cantata ora un po’ fuori tempo massimo
da Roberto Benigni e illustrata pomposamente da una compagnia di giro guidata
da Gustavo Zagrebelsky. Il fatto che il bicameralismo sia stato solo il
principale passo falso significa che ce ne sono stati altri, insomma che c’è
molto da cambiare a da rivedere nella Carta fondamentale della Repubblica, che
come tutte le opere della politica ha avuto un senso quando è stata approvata,
ma naturalmente con il mutare delle condizioni e dei rapporti di forza perde di
attualità e di efficacia.
Napolitano ha una cultura fondamentalmente storicista, che nel suo
principale mentore politico, Giorgio Amendola, assunse persino qualche
carattere provvidenzialistico. Depurata dagli effetti giustificazionisti, che
furono in qualche modo originati dalla lettura di Benedetto Croce, la
concezione storicistica “napoletana” ha il pregio di esercitare una lettura
critica anche dei miti fondanti della politica nazionale. Così si può benissimo
capire a quali esigenze storiche e politiche abbia obbedito la scelta del
bicameralismo, adottata, va detto, dall’Assemblea costituente in una situazione
particolare dal punto di vista istituzionale, con l’Assemblea parlamentare
precedente, la Camera dei fasci e delle corporazioni, disciolta, ma il Senato
di nomina regia tuttora esistente in una sorta di limbo istituzionale, dopo la
cancellazione dei senatori di nomina mussoliniana, ma che vedeva ancora
formalmente forniti del laticlavio i senatori di nomina prefascista, compreso
Enrico De Nicola, il capo dello stato in carica in quel momento.
Paradossalmente la difesa del Senato e delle sue prerogative paritarie fu
assunta, all’inizio, dalla Democrazia cristiana, che vi vedeva un contrappeso a
una possibile maggioranza di sinistra nella Camera dei rappresentanti, ma dopo
la rottura dei governi di unità antifascista, nel 1947, il fronte si capovolse
e furono i socialcomunisti a insistere per un ruolo decisivo anche del Senato. Il compromesso che ne uscì è appunto quel
bicameralismo paritario che, una volta superate le ragioni e i rapporti di
forza da cui era nato, è restato come un intralcio alla efficacia del sistema
decisionale della democrazia repubblicana. Il fatto che non sia stato
possibile, una volta constatato l’evidente difetto del sistema istituzionale,
il che era già evidente ai tempi della prima commissione Bicamerale per la
riforma costituzionale del 1983 presieduta da Aldo Bozzi, significa che in
trent’anni un tema ormai maturo non ha trovato una soluzione (se si esclude la
riforma approvata del centrodestra, con la trasformazione del Senato in Camera
delle autonomie, ma poi bocciata dal successivo referendum popolare). La forza
di inerzia che ha prodotto questa paralisi del rinnovamento istituzionale, i
cui effetti si sono man mano diffusi a tutto il sistema dei pubblici poteri, è
proprio l’ideologia costituzionalista,
quell’assolutizzazione di principi storicamente superati e di meccanismi
disfunzionali (aggirati da quella che in gergo si chiama la Costituzione
materiale contrapposta a quella formale) che
paradossalmente è riuscita a presentare la sua natura conservatrice come
baluardo progressista a difesa di diritti conculcati da chiunque osasse parlare
di riforme istituzionali.
Questa forza di inerzia è tuttora potentissima, come dimostra la fatica
improba che costa ogni passaggio riformatore, e questo spiega perché fra i suoi
ultimi atti presidenziali Napolitano abbia deciso di affrontare in modo
esplicito questo nemico, insieme al protagonismo delle toghe,
indicandolo come l’ostacolo principale al rinnovamento indispensabile per
rendere il sistema Italia efficace nelle decisioni politiche per poter tornare
competitivo anche nel campo economico ed equilibrato nelle relazioni sociali.
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