martedì 23 dicembre 2014

NON SI POSSONO MANDARE LE MAIL A DIO

di Matteo Matzuzzi | 21 Dicembre 2014 ILFOGLIO


CONFESSARSI: UN CLICK ED è FATTA. MA NON E' COSI'

              \(...)       Ma isolarsi e ritirarsi in solitaria preghiera comporta anche rischi gravi, come il pensare che non serva andare a messa e che tutto sommato si può pure fare da soli, a casa. Anche confessarsi e, ça va sans dire, autoassolversi. 
C’è l’Atto di dolore, servirà pure a qualcosa, s’è sentita rispondere una suora a un corso di catechesi per adulti. E se uno ha un libretto in mano, magari sul comodino, può convincersi che non servono mediatori, che basta leggere e sottolineare la Parola di Dio per essere buoni cristiani e rispettare il decalogo.

 E’ il pericolo di convincersi che la chiesa è inutile e che l’uomo può instaurare un rapporto diretto con l’Altissimo, senza sacerdoti a predicare sui sacramenti e a sciorinare – più o meno superficialmente – pillole di buona e sana dottrina. Tentazioni su cui Francesco ha messo in guardia più d’una volta: “A volte capita di sentire qualcuno che sostiene di confessarsi direttamente con Dio… Sì, Dio ti ascolta sempre, ma nel sacramento della Riconciliazione manda un fratello a portarti il perdono, la sicurezza del perdono, a nome della Chiesa”.
E ancora, “puoi dire ‘Dio perdonami’ e dire i tuoi peccati, ma i nostri peccati sono anche contro i fratelli, contro la Chiesa, e per questo è necessario chiedere perdono alla Chiesa e ai fratelli nella persona del sacerdote”.

Bene internet, insomma, ma non fino al punto da pensare che si possa trasformare la confessione da sacramento a fredda conversazione tramite posta elettronica: “Alcuni – diceva ancora il Papa – dicono ‘io mi confesso con Dio. Ma è facile, è come confessarti per e-mail, no? Dio è là lontano, io dico le cose e non c’è un faccia a faccia. Paolo confessa la sua debolezza ai fratelli faccia a faccia. Altri dicono ‘io vado a confessarmi’ ma confessano cose eteree, nell’aria, che non hanno nessuna concretezza. E quello è lo stesso che non farlo. Confessare i nostri peccati non è andare a una seduta di psichiatria, neppure andare in una sala di tortura: è dire al Signore ‘sono peccatore’, ma dirlo tramite il fratello” e anche avere ‘una sincera capacità di vergognarsi dei propri sbagli’”.

Che il confine tra rete e realtà sia sottile, confermando tutte le paure espresse a più riprese dal Pontefice, lo dimostra il caso che tempo fa coinvolse il servizio Preti online, nato alla fine degli anni Novanta “per dare a chiunque la possibilità di mettersi in contatto con un prete”, visto che “forse molti hanno il desiderio di parlare con un sacerdote, per i motivi più diversi, ma non sempre ne hanno la disponibilità”. Qualcuno, iniziando a chattare con questi sacerdoti, pensava di essersi confessato ed essere stato assolto, tanto da rallegrarsi pubblicamente: mai stato così facile, un click ed è fatta. 
E’ stato necessario, sempre online, che i preti rettificassero: “Il penitente deve accusare i peccati, in presenza fisica, davanti al sacerdote, perché innanzitutto dà lode a Dio per la sua misericordia e il sacerdote, rappresentando la comunità cristiana, sancisce sacramentalmente la riconciliazione con Dio e con la Chiesa. E’ impossibile usufruire per il sacramento di qualsiasi mezzo di comunicazione: posta, telefono, radio, e-mail, messaggistica istantanea”. Insomma, la fila davanti al confessionale bisogna farla, così come sarebbe opportuno andare a messa la domenica non come “un momento di festa, una tradizione consolidata, un’occasione per ritrovarsi o per sentirsi a posto”, diceva qualche tempo fa il Papa durante un’udienza generale in piazza San Pietro, bensì come “incontro con Gesù che fa sentire fratelli quanti partecipano alla celebrazione, fa sentirsi perdonati e pronti a perdonare e fa coerenza tra liturgia e vita”.

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