domenica 2 giugno 2024

L’UNIONE EUROPEA È L ANTI-EUROPA

Stefano Fontana

L’Unione Europea di Maastricht e Lisbona non passa l’esame di Dottrina sociale.

Nella Chiesa cattolica è molto diffusa l’idea che l’Unione Europea sia una valida incarnazione della Dottrina sociale della Chiesa. Ne nasce un appoggio incondizionato e pensare e agire da europeo sembra essere una delle principali esigenze evangeliche, mentre non allinearsi a questa Europa è considerato un atteggiamento egoista e sciovinista. Continua a circolare anche l’enfasi sulla fede cattolica dei tre “padri fondatori” sicché il cattolicesimo sarebbe all’origine dell’intero processo che ha condotto fino alla Von der Layen.

Trattato di Maastricht firme di adesione

Viene dimenticato che Schumann, Adenauer e De Gasperi avevano creato una Comunità, mentre l’Unione che nasce da Maastricht e Lisbona è un’altra cosa. I cattolici che richiamano i Padri fondatori per battezzare tutto il percorso unitario europeo fino ai nostri giorni fingono di non sapere che alla base dell’europeismo c’è anche il Manifesto di Ventotene di Spinelli, Rossi e Colorni, che si propone obiettivi assolutamente contrastanti con la Dottrina sociale della Chiesa secondo una linea che oggi sembra vincente.

Giovanni Paolo II e Benedetto XVI avevano espresso un magistero molto alto sull’Europa e, per contrasto, anche molto critico rispetto all’Unione Europea che, nell’ansia di coincidere con l’Europa, finiva per distruggerne l’eredità culturale, rattrappirne il respiro e ridurre la Magna Europa ad una Parva Europa. Ma oggi nella Chiesa chi solleva qualche critica sullo stato dell’Unione? Non certo la Comece, la Commissione dei vescovi cattolici dei Paesi aderenti all’Unione, che segue docilmente l’agenda di Bruxelles.

Ecco i motivi per cui può essere utile confutare l’idea che l’Unione Europea sia una valida incarnazione della Dottrina sociale della Chiesa.

Il bene comune

Il primo dei principi fondamentali della Dottrina sociale è quello del bene comune come fine della politica e su questo punto la lontananza dei due termini del nostro confronto è molto forte. Il bene comune è da intendersi in senso verticale, ossia fondato ultimamente su Dio, che è il Bene stesso. Ma l’Unione ha rifiutato di parlare nel suo progetto di Costituzione, peraltro in seguito naufragato, non solo del Dio di Gesù Cristo, non solo di un Dio generico all’americana, ma addirittura di accennare semplicemente alle radici cristiane dell’Europa. In questo modo l’Unione si è dissociata dalla stessa Europa le cui radici religiose cristiane sono più che evidenti. Non può esistere un bene comune senza una visione in comune del Bene: su questo punto l’Unione Europea contrasta apertamente con la Dottrina sociale della Chiesa.

Il bene comune è anche analogico, ossia ha diversi significati per le diverse aggregazioni sociali e politiche. Non c’è un unico bene comune per l’intera Unione Europea, uniforme, uguale, piatto, ma ogni organismo sociale e politico ha il proprio specifico bene comune di cui è il primo responsabile. L’Unione Europea sembra invece determinata ad uniformare dall’alto, entrando perfino in ambiti che gli stessi trattati lasciano ad altri soggetti.

Qui si nota l’onda lunga del Manifesto di Ventotene per il quale la rivoluzione europea doveva essere socialista, la proprietà privata abolita, il popolo guidato da élite cooptate di esperti, gli organismi popolari utilizzati, e bisognava dare “la prima disciplina sociale alle nuove masse”. Questa visione tipica del “progressismo illuminato” è stata sempre molto presente nell’Unione ed oggi lo è ancor di più, come se le istituzioni europee fossero portatrici di una nuova verità e il ceto dirigente dell’Unione avesse il dovere di uniformare ed educare tutti i cittadini per introdurli in una nuova era.

Il bene comune è un concetto morale. La parola “bene”, infatti rientra nella morale e l’aggettivo comune significa che deve riguardare tutti gli uomini e ogni uomo. Ma chi stabilisce cosa sia il bene? L’Unione Europea assume questa visione dell’etica: da un lato essa viene rimessa alla autodeterminazione dei singoli cittadini, per cui un bene comune non può più esistere, sostituito da una serie di desideri individuali assoluti, dall’altro essa lo rimette al Grande Individuo rappresentato dalle istituzioni comunitarie stesse. Così convivono il libertarismo individualista che corrode lo spirito di comunità e il centralismo istituzionale, il quale fa del rispetto di quella libertà priva di criteri la propria ideologia morale. Il bene comune diventa il soddisfacimento dei bisogni individuali oppure di quelli del Leviatano, ambedue cose private più che comuni.

Stato e sovranità

L’Unione Europea ha assunto un concetto di Stato opposto a quello inteso dalla Dottrina sociale della Chiesa e lo usa sia quando si riferisce agli Stati membri sia rispetto a se stessa. La Dottrina sociale intende lo Stato come uno strumento di cui la comunità politica si serve per perseguire il proprio bene comune. Prima dello Stato viene la comunità politica, realtà organica fatta di famiglie, municipi, regioni, patrie, popoli e nazioni con i loro doveri e i loro diritti, le loro consuetudini e la loro storia nella quale si sono configurati i loro caratteri naturali. Prima dello Stato c’è, come scriveva Christopher Dawson, una “comunità di comunità”.

Ma con l’Unione, l’idea di Comunità è stata superata e dallo Stato moderno – il Leviatano che è uomo, animale, Dio e macchina  – è stata assunta l’idea di sovranità. L’Unione Europea nasce da trasferimenti di sovranità dai singoli Stati così intesi al nuovo Super-Stato. Il concetto di sovranità è completamente estraneo alla Dottrina sociale della Chiesa ed è una invenzione della modernità politica di Hobbes e Rousseau. Nella “comunità di comunità” il governo era prima di tutto autogoverno e non si trattava di un potere sciolto da legami, ossia sovrano, ma sottoposto alle leggi naturali, alle autonomie della società organica, alle differenti tradizioni e alla civiltà sedimentata nella storia. Molte tendenze attuali spingono per un progressivo accentramento di sovranità in continuità con la visione modernista dello Stato: si vuole maggiore unità bancaria, si prefigura una unica struttura di difesa e si mette in atto una sistematica formazione dell’”uomo europeo” perché fatta l’Europa bisogna fare gli europei. La formazione alla storia e ai principi dell’Unione nelle scuole pubbliche e il progetto Erasmus, omogeneizzatore delle menti dei giovani cittadini, sono due esempi di questo accentramento di sovranità, anche educativa. Accade anche che agli Stati candidati ad entrare nell’Unione si chiedano preventivamente riforme legislative, specialmente sulla nuova concezione libertaria dei diritti, per conformarsi previamente alla cultura artificiale dell’Unione.

Il principio di sussidiarietà

Il trattato di Maastricht aveva fatto proprio il principio di sussidiarietà e questo aveva corroborato l’idea di quanti sostenevano il collegamento stretto tra Unione Europea e Dottrina sociale della Chiesa. Si tratta infatti di un principio fondamentale, capace di essere rivoluzionario se inteso e applicato correttamente.

Si dice che esso organizza la società dal basso verso l’alto, sostenendo che le società di livello superiore non vengono prima ma dopo quelle di livello inferiore e non possono sostituirle ma semmai aiutarle a fare meglio quanto spetta loro fare. Gli Stati che sono entrati nell’Unione erano strutturati secondo questo principio? No, essi rispondevano alle caratteristiche dello Stato moderno accentrato e burocratico. Il trasferimento di sovranità all’Unione è avvenuta secondo questo principio? No, perché anche l’Unione è stata intesa nello stesso modo. L’Unione ha impresso una spinta generale ad incarnare meglio la sussidiarietà? No, perché l’ha violata per prima nei confronti delle realtà sociali e politiche ad essa inferiori.

Oggi nell’Unione la sussidiarietà viene intesa come attribuzione dall’alto di funzioni decentrate e come strumento funzionale per rendere più efficiente il sistema tramite la cosiddetta vicinanza al cittadino. Il punto è che la sussidiarietà richiede una visione della società come un ordine organico e finalistico nel quale, dal basso all’alto, ogni realtà naturale o aggregata sia posta in grado di fare da sé. Ma nessun documento fondativo dell’Unione Europea e nessuna prassi delle sue istituzioni fanno riferimento ad un ordine di questo tipo.

La “laicità” europea

L’Unione Europea è il primo finanziatore dell’aborto nel mondo, spinge perché gli Stati membri adottino legislazioni a favore dei nuovi diritti, la giurisprudenza europea stabilisce precedenti per le legislazioni nazionali nel sovvertimento del diritto naturale, le nazioni vengono considerate in senso prevalentemente folklorico e la difesa delle identità culturali vituperata come nazionalismo, non ha un progetto di governo delle immigrazioni, proclama un totale indifferentismo religioso, pensa di avere una alta cultura da difendere ma questa in fondo si riduce alla tutela di una vuota libertà, coltiva e plasma un impossibile e artificiale uomo europeo che non sia né francese né italiano, né cristiano né islamico, è incapace di vera vita democratica pur indicando nella democrazia la propria anima, è governata da una rete di contatti corporativi e da grossi centri di potere privato.

L’Unione Europea designa una terra desolata che essa chiama “laicità” europea. Si tratta del distacco dal cristianesimo tramite l’assunzione di una nuova religione a carattere irreligioso: l’europeismo ideologico. L’Unione Europea non è laica, è laicamente irreligiosa, ma proprio per questo elabora una cultura decadente e di decadenza. Laici come Habermas o Böckenförde hanno evidenziato come sia impossibile un’etica che si fondi su se stessa, e per questo Giovanni Paolo II voleva il riferimento a Dio nella Costituzione europea e Benedetto XVI lanciava agli europei il provocatorio invito a vivere come se Dio fosse: etsi Deus daretur.

Stefano Fontana

(Foto: Trattato di Maastricht  firme di adesione , Museum der Bayerischen Geschichte; Wikipedia, Di User Mateus2019)

 

 

 

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