Un Tribunale manda «Falce e carrello» al macero.
E tutti tacciono
Ma almeno un gesto, una finta. Una «mossa» tanto per far capire che la censura è una cosa odiosa, gli apostoli della libertà di stampa conculcata, potrebbero pure simularla anche in favore di un nemico.
D'accordo, le Coop non si toccano, venerate come una reliquia sacra e quindi bisognose di robuste esenzioni fiscali, ma per questo il libro del patron dell'Esselunga Bernardo Caprotti, Falce e carrello (Marsilio), deve essere bandito, gettato al macero, bloccato nella pubblicazione, per sentenza di un tribunale che dovrebbe giudicare nel nome del popolo italiano e non in quello dei baroni dei supermercati politicamente corretti?
Niente. Non una protesta, un sussurro, un sospiro. Niente di niente.
Quelli della sacralità dell'articolo 21 della Costituzione: silenzio tombale.
Quelli della compagnia di giro che agita le bandiere viola solo quando le aggrada: muti come disciplinatissimi scolaretti.
In questo non viene solo sanzionato l'autore di un libro che contiene una diffamazione (che infatti, con una sanzione proporzionata, deve pagare una certa somma a chi è stato riconosciuto come diffamato), ma viene intimato di distruggere tutte le copie del libro incriminato. E non si chiede, come sarebbe stato lecito, di emendare le prossime edizioni del libro degli eventuali errori.
No: si chiede che l'intero libro sia messo al rogo.
D'accordo, gentili paladini a singhiozzo delle libertà mortificate, non riguarda voi, i vostri amici e i vostri affari e dunque i principi universali possono attendere. Ma insomma, una semplice parolina per dimostrare che non siete degli ipocriti incalliti, dei bugiardi seriali, potevate pure pronunciarla.
Non dico una manifestazione a Piazza del Popolo con le attrici e i giornalisti Rai martiri, questo è troppo. Ma un comunicatino, una noticina, una protesta piccina piccina, solo per una questione di firma.
Che mondo dimezzato che è questo.
Dove si è garantisti con se stessi e forcaioli con tutti gli altri.
Dove le intercettazioni sono un'imprescindibile esigenza investigativa se ad essere origliato è il nemico, e invece una vergogna barbarica se l'intercettato è un amico.
Dove si piange perché si smarrisce la memoria della Shoah, ma non si trova nulla da eccepire, sull'altare dell'anti-sionismo politicamente corretto, se l'ambasciatore del moderato Abu Mazen all'Onu (mica uno sgherro di Hezbollah o di Hamas) dichiara che il futuro Stato palestinese che forse verrà riconosciuto nei prossimi giorni non potrà tollerare nemmeno l'ombra di un ebreo. Non di un israeliano, beninteso: di un ebreo e basta. Judenfrei , ma nel silenzio internazionale.
Che mondo, dove i tribunali italiani decidono quale libro può uscire e quale no ma la cosa non interessa i difensori della libertà d'opinione. Della propria. Perché quella degli altri non è un argomento sexy. E neanche meritevole, figurarsi, di un frammento di un'indignazione altrimenti generosamente profusa.
Pierluigi Battista
Corriere della sera 19 settembre 2011
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