Ma noi siamo ancora un popolo? Abbiamo ancora
un’identità nazionale, un vero senso di appartenenza? E’ ancora permesso
parlare di “identità”? O il solo patriottismo sentito, consentito e vissuto è
quello per la “nazionale” per antonomasia, ossia per gli azzurri?
L’unico che sui media continua a porre questi
interrogativi – solo apparentemente accademici – è Ernesto Galli Della Loggia.
Lo fa da anni, ma ben pochi sembrano capire quanto profondamente queste domande
abbiano a che fare con la situazione attuale del nostro Paese (anche quella
economica) e con il suo sognato o sperato “rinascimento”.
Infatti aver dilapidato un patrimonio morale,
culturale, civile e religioso è ancor più grave dell’aver dilapidato un
patrimonio economico, anzi a ben vedere ne rappresenta l’antefatto, la
premessa.
Ho ripensato allo smarrimento della nostra
memoria in questi giorni perché mi ha scritto una signora polacca, che si è
sposata in Italia e vive qui da vent’anni.
La sua lettera prendeva spunto dalla solenne
canonizzazione – domenica scorsa, in Piazza San Pietro, da Roma – degli 813
abitanti di Otranto, che nel 1480 – per non rinnegare il loro battesimo e per
non passare all’Islam, come pretendeva l’invasore musulmano – furono decapitati
“in odio alla fede” cristiana uno dopo l’altro (mentre donne e bambini della
città pugliese venivano deportati come schiavi).
L’invasione era stata voluta da Maometto II
(1430-1481), il sultano che già nel 1453, alla guida di 260 mila turchi,
aveva conquistato Bisanzio, mettendo a ferro e fuoco la “seconda Roma”,
quindi spazzando via quella che era stata per più di mille anni la capitale del
cristianesimo orientale.
Il passo successivo programmato dal sultano era
la conquista della nostra Roma: la basilica di San Pietro era destinata a
diventare una moschea come Santa Sofia.
L’invasione dell’Italia cominciava dunque dallo
sbarco sulle coste salentine. Ma la resistenza della città di Otranto permise
al re di Napoli, Ferdinando, di organizzare le forze e di riconquistare
Otranto.
Così il martirio di quella città salvò l’Italia
meridionale e la stessa Roma. A quel sacrificio il nostro Paese deve
moltissimo.
|
Cattedrale di Otranto |
Alfredo Mantovano, che è salentino e
particolarmente affezionato alla memoria dei martiri di Otranto, di cui ha
scritto la storia, ha fatto un’osservazione importante:
“Ciò che rende questo straordinario episodio
pieno di significato, anche per l’europeo di oggi, è che nella storia della
cristianità non sono mai mancate testimonianze di fede e di valori civili, né
sono mai mancati gruppi di uomini che hanno affrontato con coraggio prove
estreme. Mai però è accaduto un episodio di proporzioni così vaste: un’intera
città dapprima combatte come può, e tiene testa per più giorni all’assedio; poi
risponde con fermezza alla proposta di abiura. Sul Colle della Minerva, al di
fuori del vecchio Primaldo, non emerge alcuna individualità, se è vero che
degli altri martiri non si conosce il nome, a riprova del fatto che non sono
pochi eroi, bensì è una popolazione intera che affronta la prova”.
La signora polacca mi scrive, nella sua lettera,
che non conosceva quell’antica vicenda (prima della canonizzazione di domenica)
che l’ha molto colpita. Probabilmente – osserva – la stragrande maggioranza
degli italiani non ne sa nulla e non ne ha mai sentito parlare a scuola.
Poi aggiunge:
“Penso che, se un fatto simile fosse accaduto
nel mio paese, anche i ragazzi ne conoscerebbero la data a memoria, tanto
ne sentirebbe parlare durante le lezioni di storia. Un fatto così straordinario
e glorioso dovrebbe essere motivo di orgoglio anche patriottico. E’ singolare
che gli italiani abbiano dovuto aspettare tre papi stranieri: Giovanni Paolo II
per la beatificazione, Benedetto XVI per confermare il fatto di martirio e
Francesco per la canonizzazione, per venirne a conoscenza…”.
Certamente il popolo polacco ha un rapporto con
la propria storia e la propria identità molto più vivo del nostro. Ed è questo
che gli ha permesso di trovare le forze morali per superare tragedie enormi
come la simultanea invasione da parte della Germania nazista e dell’Urss, nel
1939, e il tentato annientamento nazista della nazione polacca, a cui poi han
fatto seguito 45 anni di dittatura “sovietica”.
Papa Wojtyla ci ha mostrato quanto bella e
grande possa essere la memoria viva delle proprie radici nazionali, quante
energie spirituali e umane sprigioni. E ci ha fatto capire che avere una forte
identità non significa affatto intolleranza verso le identità altrui (il
nazionalismo infatti è la caricatura pervertita del vero patriottismo).
Anzi, significa amore e comprensione per le
identità degli altri: in mille occasioni Giovanni Paolo II ha mostrato a noi
italiani la bellezza e la grandezza della nostra storia. Esortandoci a non
dimenticarla e a non tradirla.
Ma il martirio degli abitanti di Otranto testimonia
anzitutto la forza della fede cristiana: c’è qualcosa che vale più della vita
ed è per questo che vale la pena vivere, è questo che dà senso all’esistenza,
al lavorare, all’amare, al soffrire, al gioire.
|
Piazza San Pietro la Canonizzazione |
Infatti quello di Otranto non fu il sacrifico di
una pattuglia di soldati ardimentosi o di un pugno di eroi. Ma di un’intera
popolazione, della gente più semplice di cui neanche si tramandano i nomi, se
si eccettua quello del loro eroico vescovo Stefano Pendinelli e del sarto
Antonio Primaldo, colui che parlò a nome di tutti: “Credere tutti in Gesù
Cristo, figlio di Dio, ed essere pronti a morire mille volte per lui”.
Secondo le cronache antiche egli si rivolse ai
suoi concittadini con queste parole:
“Fratellimiei, sino oggi abbiamo combattuto per
defensione della patria e per salvar lavita e per li signori nostri
temporali,ora è tempo che combattiamo per salvarl’anime nostre per il nostro
Signore,quale essendo morto per noi in croceconviene che noi moriamo per
esso,stando saldi e costanti nella fede e conquesta morte temporale
guadagneremola vita eterna e la gloria del martirio”.
Dallo scritto di Mantovano colgo un’altra perla
significativa. Giovanni Paolo II, nel 1980, parlando dei martiri di Otranto
disse: “i Beati Martiri ci hanno lasciato – e in particolare hanno lasciato a
voi – due consegne fondamentali: l’amore alla patria terrena; l’autenticità
della fede cristiana. Il cristiano ama la sua patria terrena. L’amore della
patria è una virtù cristiana”.
C’è di che riflettere.
Antonio Socci