Perché è reato insultare il ministro Kyenge in quanto
nera e non è reato insultare Brunetta in quanto basso?
Perché è reato insultare il ministro Kyenge in quanto nera e non è reato
insultare Brunetta in quanto basso? Perché si può chiamar panzone un obeso e
non si può chiamar ricchione un gay? Perché si può metaforicamente sparare su
Nitto Palma ed è reato invece fare la stessa cosa sul ministro
dell'Integrazione? Cos'è questo ius sola, come direbbero i discendenti
romaneschi dei latini? Sono domande di una semplicità rozza ma necessarie in
una società che ha perduto l'abc elementare di una civiltà.
Lo scopo non è accettare per compensazione e par condicio tutti i tipi di
insulti nel nome di un liberismo della cafoneria; ma, al contrario, per
distinguere i confini della buona educazione dall'inciviltà senza confonderli
coi confini tra lecito e illecito. Considerare come reati alcuni tipi di
maleducazione significa sollevare la società e le sue agenzie da ogni
responsabilità educativa, affidando tutto ancora una volta ai giudici. No,
l'educazione non va tutelata dai magistrati, ma va impartita dagli insegnanti,
dai fantomatici padri, dalle ineffabili madri, dai media e dalle élite. Viviamo
nell'era della cafoneria arrogante, come mostrano gl'insulti del web, il
grillismo politico, l'offesa in Twitter. L'uomo volgare impone dappertutto il
diritto alla volgarità, scriveva Ortega y Gasset già nel 1930. È la democrazia
come diritto alla cafoneria, salvo alcuni casi ideologici, penalmente
perseguibili. Ma è pure il frutto rancido dell'età dei diritti, che dovrebbero
stare ai doveri come inspirare sta ad espirare.
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