La severità del governo in materia
religiosa si estende anche alla vita dietro le sbarre. Aumentano le
testimonianze dei detenuti
In cella scatta il divieto di preghiera. In Uzbekistan la libertà religiosa è negata anche in carcere. Come all'epoca infausta delle purghe staliniane e delle detenzioni da incubo raccontate nello storico libro-denucia “Buio a mezzogiorno” di Arthur Koestler, nell'ex repubblica sovietica la severità del governo in materia religiosa si estende anche alla vita dietro le sbarre. Aumentano le testimonianze da parte di detenuti, o persone a loro vicine, riguardo il divieto di pregare e leggere volumi sacri. I parenti di alcuni prigionieri di coscienza musulmani hanno rivelato che nelle carceri dell'Uzbekistan non è possibile pregare. Secondo fonti dell'agenzia missionaria AsiaNews rimaste anonime per timore di ritorsioni, "i detenuti non possono professare il proprio credo o leggere il Corano".
Human Rights
Watch ha definito la situazione dei diritti nel Paese «spaventosa», citando
l’uso endemico della tortura e le severe restrizioni applicate agli attivisti
dei diritti umani, ai membri dell'opposizione al Governo, ai giornalisti, ai
leaders religiosi e ai credenti. Dopo che questa ONG ha dichiarato che le
libertà continuano ad essere gravemente limitate, nel marzo 2011, la Corte
Suprema ha ordinato la chiusura della sua Sede nella capitale Tashkent e
l’espulsione del suo team di attivisti, evidentemente «indesiderati».
Mukhammadakmal Shakirov, responsabile del Dipartimento statale per il controllo
della fede islamica, ha negato il problema, dichiarando che "nelle carceri
del Paese, ogni detenuto è libero di pregare o leggere volumi religiosi".
Numerose testimonianze, da gruppi confessionali differenti, riportano però come
anche nelle prigioni uzbeke la libertà religiosa sia sottoposta a ferreo
controllo. Lo scorso aprile, Andrei Serin, della Chiesa battista di Tashkent,
ha dichiarato che "a un detenuto membro della comunità è stata sequestrata
la propria Bibbia".
L'88% delle
popolazione uzbeka è di fede musulmana sunnita mentre i cristiani costituiscono
l'8%. Nel Paese, la libertà confessionale è soggetta a forte limitazione da
parte del governo. Il rapporto annuale della Commissione statunitense per la
libertà religiosa, pubblicato lo scorso 30 aprile, alla voce "Paesi
oggetto di particolare attenzione" ha stilato una lista di 15 governi tra
i quali quello di Tashkent. La violazione del diritto alla libertà di religione
«rappresenta una delle più gravi violazioni dei diritti umani e una minaccia il
futuro del Paese», ha documentato l’uzbeko Sukhrobjon Ismoilov, direttore di un
gruppo di esperti al meeting annuale dell’Organizzazione per la Sicurezza e la
Cooperazione in Europa (OSCE) tenutosi in Polonia.
Il controllo
statale oggi è paragonabile a quello esercitato ai tempi dell’Unione Sovietica:
il governo cerca di controllare la crescita e il livello di religiosità nella
società, imponendo una «secolarizzazione forzata della coscienza pubblica».
Come risultato nelle carceri sono detenuti, a causa delle loro convinzioni
religiose, oltre 7mila prigionieri di coscienza. Una delle motivazioni addotte
dal governo per giustificare le restrizioni della libertà religiosa è la
necessità di combattere l’estremismo religioso e il terrorismo: applicando le
rigide leggi in materia, negli ultimi 10 anni, il Governo ha arrestato e
imprigionato, con pene previste fino a 20 anni, migliaia di credenti che
rifiutano il controllo dello Stato sulla pratica religiosa. Ma secondo Martin
Scheinin, relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani e la lotta al
terrorismo, «la definizione di terrorismo (e di estremismo violento) viene applicata
dal Governo in modo selettivo, politico o abusivo, come strumento per
stigmatizzare chi non risulta gradito, come le minoranze, i sindacati, i
movimenti religiosi».
La
situazione delle comunità cristiane, attesta il rapporto Acs, risente di controlli
stringenti (irruzioni durante gli incontri, perquisizioni, intimidazioni) che
giungono spesso all’arresto di membri delle comunità. Rifondata con una
missione sui iuris nel 1997, la Chiesa cattolica ha attualmente
un'amministrazione apostolica che comprende l’intero territorio del Paese (le
parrocchie sono 5) e, affidata ai frati minori conventuali, è direttamente
assoggettata alla Santa Sede. Pur essendo riconosciuta ufficialmente,
l’evangelizzazione, secondo il vescovo francescano Jerzy Maculewicz, è un
problema, perché la legge vieta ogni attività missionaria: "Siamo
costretti a rimanere circoscritti ad agire all'interno delle nostre chiese.
Accogliamo e catechizziamo la gente che viene da noi, ma non possiamo
annunciare il Vangelo".
GIACOMO GALEAZZI
http://vaticaninsider.lastampa.it/nel-mondo/dettaglio-articolo/articolo/uzbekistan-uzbekistan-uzbekistan-24766/
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