martedì 14 maggio 2013

DAL COMUNISMO NON SI GUARISCE


In Europa nessuna dirigenza comunista è sopravvissuta al 1989

di Goffredo Pistelli
da Italia oggi
 

È uno storico contemporaneo, insegna all'Università di Bergamo, ma soprattutto Adolfo Scotto di Luzio, classe 1967, napoletano di Pozzuoli, è un osservatore acutissimo della realtà sociale e politica. I suoi taglienti editoriali, sul Corriere del Mezzogiorno, rappresentano una visione mai banale dei fatti e degli uomini.
Giovanissimo nell'area del Pci se n'è progressivamente allontanato, diventando riformista e liberale. In tempi più recenti fra i fondatori di Italia Futura, ne ha preso le distanze, non troppo soddisfatto dalla piega presa dai montezzemoliani.

Domanda. Professore, domani (oggi per chi legge, ndr), il Pd vive un'assemblea drammatica quanto, del tutto confusa, per certi versi sconclusionata nell'avvicinamento, con nomi bruciati uno via l'altro...

Risposta. Ci sono tutti i nodi di una storia molto ambigua che stanno venendo al pettine: il Pd in realtà non affonda né affondava le radici in nessuna delle tradizione a cui il partito si richiamava. Non solo, quell'occhieggiare a cose che stanno di la dall'Atlantico, penso alla tradizione democratica americana, aveva ulteriormente complicato le cose. Quelle contradizioni, oggi, portano all'implosione.

D. Che cosa non ha funzionato? La chimica?

R. La ricetta. E il problema sta tutta dagli antecedenti comunisti, perché, la sinistra dc, è meno rilevante. Per anni, cioè dalla fine del comunismo in poi, si è credere per anni che dei comunisti potessero diventare socialdemocratici. Errore: non si può tornare indietro dal comunismo. Un problema analogo ai postfascisti che hanno preteso di diventare liberali.

D. Un'anomalia italiana?

R. Esattamente. In Europa nessun dirigenza comunista è sopravvissuta al 1989, in Italia sì. Ed ha sequestrato il destino politico della sinistra negli anni '90, inchiodandola al travaglio inconcludente di una generazione di post-comunisti. Non è nata una nuova sinistra, c'è stata solo un'estenuazione infinita della svolta della Bolognina, che non s'è mai conclusa.

D. E con Pier Luigi Bersani è crollato tutto...

R. Bersani, con queste elezioni e con quelle presidenziali, coltivava illusione di chiudere il ciclo politico del 1989, riportando a casa i pezzi della diaspora, ricomponendo quella tradizione, recuperando con Nichi Vendola, la sinistra radicale.

D. E Vendola era ben felice di mescolarsi...

R. Sì, come disse in un'intervista a Lucia Annunziata: siamo pronti. Sarebbe stato un dramma.

D. In che senso?

R. Una nuova sinistra di governo, con un pensiero nostalgico e restaurativo, guidata da una classe dirigente forgiata nella Fgci di fine anni '70 primi anni '80, che pensa spesso a Enrico Berlinguer ed esprime il più tipico moralismo berlingueriano.

D. Per esempio?

R. Pensiamo a tutto il discorso sull'austerità, che Bersani aveva richiamato, pensando di poterlo riadattare ai nostri tempi di crisi. Non una vaga ispirazione: a pochi giorni dal voto, auspice Miguel Gotor, Einaudi ha rieditato alcuni scritti berlingueriani. Un tantivo di egemonia culturale in sedicesimo, ma che parlava da solo.

D. Dove hanno sbagliato?

R. Nei calcoli soprattutto ma c'era un'impossibilità di leggere la realtà attuale, procedevano con la testa girata all'indietro, pensando a quanto fosse bella quell'Italia, frugale e austera, di trent'anni fa e più. Questo il loro mondo, questa la loro forma mentale. Un'ànchilosi intellettuale, che rende impossibile guardare all'oggi, se non in forma scandalizzata, da rigettare.

D. Secondo lei, dove si esemplifica maggiormente questo stato di cose?

R. Nella struttura stessa del partito, il cui radicamento sociale parla chiaro: oltre la metà degli iscritti ha più di 55 anni. Il Pd ha perso totolmente il contatto con le fasce giovanili. Ora se la sinistra, che si attesta per definizione sulla frontiera dell'innovazione, del cambiamento, perde di vista i giovani, è evidente che si avvia a diventare una forza residuale, destinata a ingrigire. Sa cosa mi viene in mente?

D. Che cosa professore?

R. Quel film di Sam Peckinpah, Pat Garret & Billy.

D. Sceriffo e pistolero? E che c'azzeccano?

R. C'è una battuta che è una metafora perfetta per questo Pd ed è quella del vecchio Pat Garret che dice: «Questo Paese sta invecchiando e io voglio invecchiare con lui». E Garret era appunto il vecchio sceriffo difendeva gli interessi dei grandi latifondisti di Santa Fé.

D. Tuttavia il Pd a febbraio pensava di farcela, il già citato Gotor, in un'intervista a L'Unità prima del voto, parla di Bersani come primo leader della sinistra arrivato al governo col voto.

R. Lo pensavano perché quella generazione, Bersani in primis, era sufficientemente giovane, sufficientemente in forze, sufficientemente ricca di energie intellettuali. Dinnanzi al comunismo che crollava, negli anni '90, hanno sperato di raccoglierne i dividendi quando, all'improvviso, è comparso all'orizzonte Silvio Berlusconi. Di nuovo, oggi, davanti allo sgretolamento del berlusconismo, della destra frantumata, pensavano di passare col cappello a raccogliere consensi. Ma stavolta è spuntato Beppe Grillo.

D. E Matteo Renzi può farcela a salvare capra e cavoli, vale a dire a evitare il collasso e a essere lui il traghettare finale?

R. Non ne sono tanto sicuro. Non credo che Renzi possa essere in grado di intercettare il malcontento giovanile. E poi c'è un nodo è psicologico e culturale. Lì, nel Pd, è mancata la paternità...

D. Vale a dire?

R. Le figure di riferimento, sino a ieri, sono state Massimo D'Alema e Walter Veltroni. Si tratta di ex giovani, che non hanno mai fatto passaggi ulteriori e tali sono rimasti nell'immaginario di chi li ha percepiti. Loro, che hanno avuto padri, e quali padri, non hanno saputo esserlo. Loro e la loro generazione esprimono la tragedia di una paternità politica mancata. Non hanno fatto figli, ma hanno creato dipendenza psicologica.

D. Esempi da imitare...

R. Esatto, persino nei modi di parlare come fa qualche giovane oggi. Per questo oggi non c'è nessun padre da uccidere. Per questo l'atto di nascita del nuovo gruppo dirigente, piccoli burocrati, giovani solo anagraficamente, è stata il tradimento che, perfino nel nome, evoca ritualità politiche da mutuare da quegli stessi padri: i franchi tiratori. Non c'è qualcosa di vecchio da abbattere ma un sotterfugio da mettere in atto.

D. Un passaggio che molti non colgono...

R. É un passaggio antropologico e culturale, non politicistico, ma prima lo si percepisce, prima questa crisi vedrà la sua fine.

D. Renzi, stava dicendo?

R. É un uomo ambizioso, che vuol fare della politica la propria carriera e questo non scandaloso, anzi lo trovo moderno. Ma qui siamo in presenza di meccanismi più profondi: qui c'è da dare leva a una nuova generazione. Non credo che possa bastare.

D. Forse un uomo come Fabrizio Barca, che ha lo stesso Dna dei padri mancati, può essere più adatto?

R. Il suo documento è interessante perché lui è un uomo di rilievo. Con la sua «mobilitazione cognitiva» echeggia molte cose del dibattito sociologico contemporaneo, come Luc Boltanski sulla capacità critica diffusa. Già, Barca pensa a persone che interagiscono e producono idee. Manca sempre il partito, ci sarà bisogno di qualcuno che decide, che esprime un giudizio generale sulla società. E quelli che non prendono parte alla discussione? Che magari sono portatori degli interessi più corposi, che ne facciamo? Nessun partito, tantomeno di sinistra, può risolversi in un dibattito fra giovani scolarizzati. Il partito è una guida.

D. Quanto questa storia ha impedito lo sviluppo del Paese.

R. Un'ipoteca gigantesca: non esiste infatti una socialdemocrazia compiuta in Italia, ma solo i contorcimenti del post-comunismo che hanno inibito interpretazioni intellettuali, hanno gravato sui processi sociali, hanno impedito uno sbocco moderno, una riforma vera.

D. Finisce con l'implosione, quindi?

R. Non immediata. Far fallire il governo di Enrico Letta significherebbe per il Pd assumere una responsabilità che potrebbe avere conseguenze a lungo: sarebbero quelli che per la mancanza di tenuta del loro partito, per i loro problemi interni hanno affondato un esecutivo in un momento delicatissimo. Sarebbe un suicidio destinato a pesare e B. diventerebbe un gigante.

 

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