Una mostruosa macchinazione giudiziaria espropria la
democrazia italiana e lo Stato di diritto del suo significato
Sono
piuttosto un realista che un apocalittico. Ma ora bisogna dirla tutta. Una
mostruosa macchinazione giudiziaria espropria la democrazia italiana e lo Stato
di diritto del suo significato.
Nessuno può
tirarsi fuori dal giudizio. Nessuno può rifugiarsi, come fossero uno schermo
neutrale, tecnico, dietro le surreali condanne nei processi Ruby1 e Ruby2 o al
riparo delle procedure dell'accusa nell'imminente Ruby3 ovvero la devastante
pretesa dei pm di Milano di estendere all'imputato e alla sua intera difesa,
testimoni e avvocati, le accuse di ostruzione della giustizia e falsa
testimonianza. Se c'è ancora un'Italia autentica e sensibile alla verità
nell'opinione pubblica, nelle istituzioni, nella politica anche la più faziosa,
è il momento che si levi una protesta forte e chiara contro una delle più
infami vergogne della storia nazionale.
Berlusconi
ha dato delle feste in casa sua, ha invitato delle ragazze e degli amici, gli
amici lo hanno aiutato a comporre il suo harem burlesque, il suo privato
divertimento, condividendolo. Berlusconi è notoriamente ricco e generoso, fa
regali da sempre a destra e a manca, senza distinzione di rango, e con il
circuito delle sue feste è stato come spesso gli succede regale e sciupone
senza remore o rimorsi. Ha fatto una telefonata in questura, inopportuna sotto
il profilo protocollare ma non concussiva, gentile e in prima persona, allo
scopo di evitare a una delle sue ospiti la consegna a una comunità. Anche per
disinnescare lo scandalo dovuto alla esibizione forzata del suo privato, ha
inventato balle giocose, come quella della nipote di Mubarak. Bene. Queste sono
tutte cose che rientrano nella dimensione privata, criticabile quanto a
comportamento politico e civile di un uomo di governo e di Stato, ma non
criminalizzabile.
Invece quel
che ne è seguito, con mezzi d'indagine e una vocazione guardona e origliatrice
da Stato di polizia, è precisamente la trasformazione di peccadillos da scapolo
abbiente e da re di Arcore in reati infamanti che comportano anni e anni di
galera. Sfido chiunque a dimostrare il contrario. A dimostrare che al di là di
ogni ragionevole dubbio siamo invece in presenza di reati penali da punire con
la massima severità: regali alle ragazze e agli amici e una raccomandazione a
un gentile funzionario di Questura da scambiare con anni di galera. A
dimostrare che abbia un qualche senso una condanna per atti sessuali
prostitutivi quando di questi atti non esiste prova alcuna, mentre nelle stesse
motivazioni della condanna si dice bellamente che non è quello il problema,
palpeggiamento in più o in meno. Sfido chiunque a dimostrare che sia parte di
uno Stato di diritto e delle sue garanzie un tribunale che condanna su queste
basi effimere e ambigue e poi trasforma gli atti difensivi, rinviandoli ai pm
perché istruiscano nuovi processi, in un nuovo capo d'accusa a raggiera, una
retata potenziale di testimoni che si trovano così in una pesante situazione di
condizionamento e di pressione: o ammetti di essere stato un falso testimone e
di aver collaborato con un'azione di inquinamento del processo oppure ti becchi
la galera anche tu.
Una
gigantesca gogna ha devastato l'immagine pubblica di un capo democratico, di un
uomo della democrazia rappresentativa, un leader che ha vinto tre volte le
elezioni e ha governato il Paese secondo le regole, altro che storie,
ritirandosi in buon ordine anche quando avrebbe avuto diritto al suo appello al
popolo che lo aveva stravotato nelle urne del 2008 (novembre 2011). Questo non
è un caso personale, da tenere distinto dal resto, cioè dalla stabilità di
governo (che palle che ci raccontano sul semestre europeo) o da qualunque altra
circostanza. Se la democrazia sanguina, se si insinua un dubbio di fondo sul
suo funzionamento imparziale, perché gli atti di giustizia si trasformano in
una persecuzione personale, qualunque sia il giudizio sul perseguitato, sui
suoi errori, e anche sulle sue colpe o sui suoi peccati, non si può dormire
tranquilli.
Non tutti in
questo Paese hanno bevuto la leggenda nera di Andreotti mafioso, di Craxi
spolpatore delle finanze pubbliche per avidità, del doppio Stato reo di stragi
infinite e di trattative collusive con i poteri criminali. Molti tra coloro che
pure hanno combattuto per le loro idee e contro le classi dirigenti della
vecchia Repubblica, e hanno mantenuto la loro autonomia di giudizio nella
situazione che seguì alla sua caduta, hanno cercato di esercitare il giudizio
critico sull'unico potere che da almeno vent'anni si considera al di sopra
delle parti mentre agisce come parte in causa in una lunga guerra ideologica,
quello dell'accusa penale. Questi italiani che non hanno portato il cervello
all'ammasso dello spirito forcaiolo si facciano sentire. E anche i capi delle
istituzioni, prima di tutti il garante della Costituzione e capo della
magistratura, il presidente della Repubblica, non possono tirarsi fuori dal
dovere di intervento e di correzione della grave stortura che si è prodotta.
Esprime il
peggio della cosiddetta ideologia italiana, viltà maramaldesca, chi oggi si
volta dall'altra parte, chi mette la propria antipatia e inimicizia politica
verso Berlusconi, o anche soltanto la voglia di quieto vivere, davanti al
dovere di giudicare una ignobile messinscena chiamata giustizia.