La storia degli abusi del Forteto e dei cattivi
scolari di don Milani
Come è stato possibile che per 35 anni un guru violento, odiatore della
famiglia, sia stato difeso dalla sinistra
Molti
elementi, alcuni incredibili, rendono unica la storia degli abusi consumati per
decenni nella comunità e cooperativa
agricola del Forteto di Vicchio, nel Mugello. Luogo che dal 1977 accoglie
bambini e adulti in difficoltà e che si è rivelato una sorta di inferno dei
vivi, come ora risulta anche dalla relazione – votata all’unanimità nello
scorso gennaio – della commissione d’inchiesta istituita dalla Regione Toscana,
oltre che dal nuovo processo tuttora in corso a carico del suo responsabile, il settantunenne Rodolfo Fiesoli, di Prato
(in carcere dal 2011) e di ventidue suoi collaboratori.
Unica e
incredibile è la cecità di chi doveva garantire l’affidabilità del Forteto.
Stiamo parlando di giudici del tribunale dei minori, di assistenti sociali, di
Asl, di amministrazioni locali, regione compresa, che in trentacinque anni
hanno elargito fondi alla comunità di Fiesoli, dello stesso mondo delle coop.
Ma anche di politici, giornalisti, sociologi, educatori e circoli cattolici
progressisti che hanno avallato il mito del Forteto. Santificato in una messe
di pubblicazioni, tra cui alcuni saggi editi dal Mulino. Nel 2003 c’era stato
“La strada stretta: storia del Forteto”, del ricercatore Nicola Casanova, con
prefazione dello storico Franco Cardini, mentre nel 2008 è uscito “La
contraddizione virtuosa. Il problema educativo, Don Milani e il Forteto”,
sempre a cura di Casanova e di Giuseppe Fornari. Nella pagina di presentazione
della Fondazione del Forteto, si dice che il volume traccia “un parallelismo
tra l’esperienza educativa di don Lorenzo Milani e l’esperienza di solidarietà
e accoglienza della comunità del Forteto: in entrambi i casi l’attenzione per i
dimenticati, per gli ultimi, si è rivelata la più grande forza in grado di
conferire dignità e significato all’essere umano”. Parole che spiegano perché
il Forteto abbia goduto, per tanto tempo e nonostante tutto, di un’illimitata
apertura di credito presso l’intellighenzia progressista italiana, laica e
cattolica. Molto si deve proprio alla sua aura di depositario dell’eredità
educativa e antiautoritaria di don Lorenzo Milani, cioè dell’animatore della
scuola di Barbiana (siamo sempre nel Mugello) e celebrato autore di “Lettera a
una professoressa”.
Quell’apertura
di credito, in modo ingiustificabile, non ha vacillato nemmeno dopo che
Fiesoli, nel 1979, subì una condanna a due anni di carcere per atti di libidine
violenta, corruzione di minorenne e maltrattamenti (sentenza passata in
giudicato nel 1985). Il giudizio faceva seguito al lavoro di indagine
dell’allora magistrato inquirente Carlo Casini – futuro fondatore del Movimento
per la vita – e del suo collega Gabriele Chelazzi, poi sostituto procuratore
all’Antimafia, morto nel 2003. Nel 1978, i due magistrati avevano acquisito le
testimonianze di persone passate per il Forteto che avevano subìto abusi e
avevano assistito a violenze su bambini e adulti. Era l’iniziazione alla quale
Fiesoli sottoponeva i suoi ospiti, teorizzandone il valore “liberatorio”.
Il guru del
Forteto, che all’epoca negò tutto, uscì dal carcere nel giugno del 1979. “E
proprio in quelle stesse ore – ha scritto lo scorso 20 ottobre il quotidiano la
Nazione – il tribunale dei minorenni allora guidato da Giampaolo Meucci gli affida un bambino down, un segnale chiarissimo
di quale parte avrebbe tenuto quell’istituzione in quel momento e negli anni
successivi”. Meucci, ricorda il vaticanista Sandro Magister sul suo blog
Settimo Cielo, era “grande amico di don Milani” e continuava a ritenere il
Forteto una comunità “accogliente e idonea” (alla vicenda Magister ha dedicato
diversi articoli, tra cui l’utile cronologia: “Cattivi scolari di don Milani.
La catastrofe del Forteto”). Ma accanto a Fiesoli si sarebbe schierata anche la
rivista cattolica progressista Testimonianze, fondata dal sacerdote fiorentino
Ernesto Balducci.
Solo due
settimane fa, è tornato alla luce, dopo una lunga e misteriosa sparizione, il
fascicolo processuale del 1978 con le testimonianze raccolte da Casini e
Chelazzi. La Nazione cita, tra le altre, quella di una coppia di Prato: “E’
successo due o tre volte che nel corso delle riunioni egli (Fiesoli, ndr) si
sia tirato giù i pantaloni e le mutande, prendendosi in mano il membro e
mostrandolo, secondo lui doveva essere un gesto disinibitorio”. E’ l’inizio,
prosegue il quotidiano, “di un racconto choc fatto di divieti ad avere rapporti
sessuali fra coniugi, di richieste di rapporti omosessuali, di riunioni
collettive per guardarsi reciprocamente i genitali, di parolacce, di insulti,
di inviti a picchiare i propri genitori. E qui torna anche l’altro lato emerso
nell’inchiesta di oggi: ‘Tra le cose che secondo il Fiesoli bisognava fare
c’era rompere con la famiglia. A me disse che non sarei stata libera da mia
madre finché non l’avessi picchiata’”.
Per capire che cosa siano quelle che al Forteto erano dette “famiglie funzionali”, leggiamo anche ciò che scrive Armando Ermini sul blog fiorentino Il Covile, diretto da Stefano Borselli, che negli anni ha sempre seguito con attenzione la vicenda: “Se c’è una cosa chiara fin da subito, è l’odio totale per la famiglia nutrito dai leader della comunità del Forteto. Si faceva in modo che i ragazzi affidati non avessero più alcun contatto con la famiglia d’origine, si faceva loro credere di essere stati abbandonati nel più completo disinteresse, si incentivava in loro ogni tipo di rancore e di rivalsa affinché ogni ponte col passato fosse tagliato… le coppie affidatarie erano in realtà composte da estranei privi di legami affettivi fra di loro. E anche quando nella comunità ne nasceva uno, vi era l’assoluto divieto di costruire qualsiasi simulacro di vita di coppia. I rapporti eterosessuali erano osteggiati in ogni modo, e fra maschi e femmine esisteva una separazione assoluta. La così detta ‘famiglia funzionale’, geniale invenzione di Rodolfo Fiesoli, poteva significare qualsiasi cosa ma non aveva nulla a che fare con la famiglia naturale e nemmeno con un suo qualsiasi surrogato”. Ma allora, si chiede Ermini, “perché i giudici deliberavano di affidare i bambini alle ‘non coppie’ del Forteto? Perché i servizi sociali indicavano come affidabili queste ‘non coppie’? Perché per giornalisti, scrittori, sindacalisti, politici, preti, il sistema Forteto era additato come esempio? Perché la Regione Toscana lo favoriva in ogni modo? La risposta, credo, può essere una sola… quantomeno era condivisa la concezione secondo la quale la famiglia naturale era il problema, un luogo di oppressione destinato ad essere soppiantato da altre forme di aggregazione fra individui, o comunque un istituto da modificare in profondità nel suo significato tradizionale”.
Senza l’ideologia che l’ha originata,
nutrita e protetta – quella della famiglia nemica, da disintegrare e
neutralizzare – la vicenda del Forteto non si capirebbe (in Francia
quell’ideologia nel frattempo è diventata, con il ministro Peillon, la missione
della scuola). Il suo presupposto, leggiamo nella relazione della Regione
Toscana sul Forteto, è che “la coppia e la famiglia comunemente intese
rappresentano luogo di egoismo e ipocrisia inadeguato all’educazione dei
giovani ai valori di uguaglianza, altruismo e solidarietà. Solo disaggregando
l’unità familiare, secondo quanto asserito da Fiesoli… ci può essere il
perseguimento di tali valori”.
NICOLETTA
TILIACOS
Da
ilfoglio
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