Al presidente della commissione per i laici della conferenza episcopale argentina, Justo Carbajales
Caro Justo
La commissione episcopale per i laici della conferenza
episcopale argentina, nell’esercizio della libertà propria di tutti i
cittadini, ha preso l’iniziativa di organizzare una manifestazione contro la
possibile approvazione di una legge sul matrimonio fra persone dello stesso
sesso, riaffermando nel contempo la necessità che ai bambini sia riconosciuto
il diritto ad avere un padre e una madre, necessari per la loro crescita ed
educazione. Con questa lettera desidero dare il mio appoggio a questa espressione
di responsabilità del laicato.
So, perché me lo avete detto, che non sarà un evento
contro nessuno, perché non vogliamo giudicare quanti pensano e sentono in modo
diverso. Senza dubbio, più che mai, di fronte al bicentenario [dell’Argentina]
e con la certezza di costruire una nazione che deve includere la pluralità e la
diversità dei suoi cittadini, sosteniamo chiaramente che non si può considerare
uguale quello che è diverso e che in una convivenza sociale è necessario
accettare le differenze.
Non si tratta di una questione di semplice
terminologia o di convenzioni formali relative a una relazione privata, ma di
un vincolo di natura antropologica. L’essenza dell’essere umano tende
all’unione dell’uomo e della donna come realizzazione reciproca, come attenzione
e cura, come cammino naturale verso la procreazione. Questo conferisce al
matrimonio la sua elevatezza sociale e il suo carattere pubblico. Il matrimonio
precede lo Stato ed è la base della famiglia, che è cellula della società
precedente a ogni legislazione e precedente perfino alla Chiesa. Da questo
deriva che l’approvazione del progetto di legge in discussione significherebbe
un reale e grave regresso antropologico.
No, il matrimonio di un uomo e di una donna non è la
stessa cosa dell’unione di due persone dello stesso sesso. Distinguere non è
discriminare, al contrario è rispettare. Differenziare per discernere è
valutare in modo proprio, non è discriminare. In un’epoca in cui si insiste
tanto sulla ricchezza del pluralismo e della diversità culturale e sociale, è
davvero contraddittorio minimizzare le differenze umane fondamentali. Un padre
e una madre non sono la stessa cosa. Non possiamo insegnare alle future
generazioni che è la stessa cosa prepararsi a un progetto di famiglia assumendo
l’impegno di una relazione stabile tra uomo e donna e convivere con una persona
dello stesso sesso.
Stiamo attenti a che, cercando di mettere davanti un
preteso diritto degli adulti che lo nasconde, non ci capiti di lasciare da
parte il diritto prioritario dei bambini – gli unici che devono essere
privilegiati – a fruire di modelli di padre e di madre, ad avere un papà e una
mamma.
Ti affido un incarico: da parte vostra, nel linguaggio
ma anche nel cuore, non ci siano aggressività e violenza contro nessun
fratello. I cristiani si comportano come servitori di una verità, non come suoi
padroni. Prego il Signore che con la sua mansuetudine – quella mansuetudine che
chiede a tutti noi – vi accompagni nell’evento.
Ti chiedo per favore di pregare e far pregare per me.
Che Gesù ti benedica e che la Vergine Santa ti custodisca.
Fraternamente,
Card. Jorge Mario Bergoglio s.j., arcivescovo di
Buenos Aires
La lettera è del 2010
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