CARDINALE CARLO CAFFARRA
Cesena, settimana della Scuola Cattolica, 22/10/2013
Il tema che mi è stato
proposto non è così semplice, come può apparire a prima vista. Cercherò dunque
di procedere nel modo più chiaro possibile.
1. [Scuola ed
educazione]. Non raramente si parla della scuola, soprattutto in certi momenti.
L'inizio, per esempio, di ogni anno scolastico.
Se ne parla di solito
nel contesto delle allocazioni del denaro pubblico, della spesa pubblica. Ed i
temi del dibattito sono allora se lo Stato destina risorse sufficienti; se è
sapiente non privilegiare la scuola nel bilancio dello Stato; se gli insegnanti
ricevano stipendi adeguati. E così via.
Questa sera vi chiedo di
uscire da questo contesto, e porvi la domanda sulla scuola nel contesto del
grande tema dell'educazione della persona. Che cosa comporta questa
contestualizzazione? Che noi rispondiamo ad una domanda: che rapporto esiste
fra scuola ed educazione? Il primo punto della mia riflessione sarà dedicato a rispondere
a questa domanda.
1,1. Ad essa non viene
data una sola risposta. Molti oggi pensano – è la prima risposta – che non
esiste nessun rapporto fra la scuola e l'educazione della persona. La scuola
non deve educare, deve formare. Deve cioè dotare la persona umana di quelle
abilità o capacità che le danno il possesso degli strumenti necessari per
compiere la sua funzione nella società. Si esprime questa tesi anche dicendo
che il compito della scuola è il "come fare", e non "come vivere".
Questa tesi può essere
contestata sul piano teorico, sul piano della pura ragione. Non lo faccio, per
non appesantire troppo il nostro incontro. Mi limito a mostrarne la non
praticabilità. La proposta cioè di separare scuola ed educazione della persona
non è praticamente possibile.
La scuola istituisce un
rapporto fra la persona e l'insegnante molto particolare. E' un rapporto di
lunga durata: molto spesso di anni; è un rapporto di fiducia. Si presume che
l'insegnante sia competente nella materia che insegna.
Ora è inumano pensare
che questo rapporto possa essere solo informativo; possa essere un rapporto che
non presupponga nell'insegnante una profonda passione per il bene dell'altro.
Un insegnante che mostrasse un disinteresse a questo livello della persona,
renderebbe alla lunga la scuola un supplizio, un "ticket" che devo
pagare per entrare colle carte in regola nella società.
1,2. Molti oggi vedono
l'impensabilità e l'impraticabilità di una tale posizione. Ritenendo tuttavia
che ogni progetto educativo avente dei contenuti precisi sarebbe lesivo della
libertà dell'individuo, chiedono alla scuola l'educazione così detta neutrale.
La scuola deve essere neutrale.
Oggi questa posizione è
molto condivisa, e deve essere presa molto sul serio. Ci sono in essa due
problemi molto importanti. Il primo è il rapporto fra libertà ed educazione,
sul quale non voglio dire nulla. Lo riprenderò in pieno più avanti. Il secondo
è la questione della neutralità della proposta scolastica. Su questa ora vorrei
fermarmi.
Il termine
"neutralità" ha in questo contesto il seguente significato: la
scuola, nel suo impegno educativo, non deve educare a porsi quelle domande che
possono condurre a risposte profondamente diverse; non deve proporre una
precisa visione del mondo, della vita, dei grandi vissuti umani [matrimonio,
lavoro, male, amore], a preferenza di altre. Neutralità significa non
trasmettere nessuna risposta alle grandi domande della vita.
Dunque, non educare? No;
ma trasmettere solo valori formali, privi di contenuto [rispetto, tolleranza…],
ed il rispetto delle regole fondamentali di ogni convivenza.
Non ho il tempo di
farvelo vedere, ma questa risposta al problema del rapporto scuola-educazione è
la conseguenza dei due dogmi della modernità, esasperati nella post modernità,
"che tutta la realtà sia costruita socialmente ed infinitamente
manipolabile, e che la verità sia una nozione inutile perché la solidarietà è
più importante della oggettività" [M. Ferraris, Manifesto del nuovo
realismo, Laterza, Bari 2012, XI].
Partendo da questi
presupposti, è inevitabile, perché logicamente coerente, che in un rapporto in
un ambiente quale è la scuola, uno degli attori – l'insegnante – venga
considerato prevaricante, se propone una visione del mondo a preferenza di
altre. L'atto educativo se propone un progetto di vita diventa una
prevaricazione. Deve proporre un modello di convivenza in cui semplicemente
ciascuno possa vivere il proprio individuale progetto di vita.
E qui la posizione che
stiamo esaminando scopre una sua radice: l'individualismo, la concezione del
sociale umano come coesistenza di soggetti naturalmente estranei. La
globalizzazione dell'estraneità, parafrasando un detto di papa Francesco, è
alla base di questo progetto della scuola neutrale.
1,3. Esiste infine una
terza posizione. Espressa in estrema sintesi, essa dice: la scuola deve
educare, non solo informare e/o formare. Ovviamente nessuno di chi sostiene
questa tesi, sostiene che debba educare allo stesso modo con cui lo fanno i
genitori. La scuola non è la famiglia. L'educazione scolastica ha la sua
specificità: la scuola educa insegnando, ed insegna educando.
Questo rapporto
educazione-insegnamento è più evidente nelle materie cosiddette umanistiche, ma
è ugualmente reale nelle materie cosiddette scientifiche. Cercherò ora di
spiegare meglio questo rapporto educazione-insegnamento.
Esso in primo luogo, non
è un dato di fatto, ma è un compito che l'insegnante può assumersi o non
assumersi. Egli può dire: "sono pagato per insegnare, non per
educare".
La domanda che dobbiamo
porci è la seguente: è realistico pensare ad un insegnamento che escluda
totalmente la dimensione educativa? Non lo penso. Per le seguenti ragioni.
- Non è necessario
essere grandi pedagogisti per capire che l'apprendimento avviene se nell'alunno
c'è un interesse ad apprendere. Chi è completamente disinteressato ad
apprendere, per esempio, come si è svolta la vicenda storica che ha portato
alla costruzione dello Stato unitario italiano, non studierà mai e non imparerà
mai la storia. Al massimo ripeterà a memoria ciò che ha appreso. E così per
ogni materia.
- Esiste nella persona
umana un desiderio naturale di apprendere. Ora che cosa risveglia questo
desiderio e quindi l'interesse? La percezione che ciò che apprendo ha a anche
fare col desiderio più profondo di tutti, quello di vivere una vita buona,
felice, vera. E questo è la grande missione dell'insegnante: aiutare la
percezione che la conoscenza della verità è il vero bene dell'uomo.
- Ma quale è la
condizione perché si accenda questa percezione, e nasca quindi l'interesse per
il sapere? Lo aveva già detto Aristotele. La base del rapporto alunno-docente è
la fiducia nel sapere del maestro: sa ciò che insegna. E' la fiducia nella
grandezza umana del maestro: è un grande uomo/donna.
Vedete che grande realtà
è la scuola se la consideriamo nella prospettiva educativa. Essa diventa
veramente un fattore fondamentale di costruzione dell'umanità del bambino, del
ragazzo, del giovane.
2. [Scuola cattolica ed
educazione]. La scuola cattolica non accetta né la prima, né la seconda
posizione. Essa intende essere un soggetto educativo, custodendo la sua
identità di scuola. Essa non è la famiglia, né il prolungamento della
parrocchia. E' una scuola vera e propria. E' una scuola che si propone
l'educazione della persona umana. E' una scuola che si propone l'educazione
cristiana della persona.
Dedicherò il secondo
punto della mia riflessione a chiarire il significato di queste affermazioni.
Partiamo da una domanda:
che cosa significa educare una persona? Significa trasmettergli quel progetto
di vita che l'educatore ritiene essere vero e buono. Vero: si può vivere
veramente e si può vivere falsamente. Buono: si può vivere bene e si può vivere
male. L'educatore trasmette un progetto di vita che ritiene essere quello che
risponde adeguatamente al desiderio più profondo della persona, il desiderio di
vivere una vita felice, in quanto essa è la fioritura di tutta la sua umanità.
Educare la persona umana
nella fede significa trasmettergli quel progetto di vita che Dio stesso ci ha
proposto in Gesù, e che la Chiesa trasmette di generazione in generazione. La
rivelazione di Dio, la sua Parola offre ad ogni generazione, mediante la
Chiesa, la possibilità di vivere secondo quel progetto con cui Dio ha pensato
la vita della persona umana.
Se riflettete un
momento, voi vedrete allora che esiste un nesso inscindibile fra la missione
della Chiesa e l'atto educativo. Un nesso così profondo che non sono mancati
lungo i secoli grandi maestri del pensiero, che hanno compreso tutto il cristianesimo
in chiave educativa. Hanno chiamato Gesù "il Pedagogo", cioè
l'educatore.
Nell'ultimo Sinodo dei
Vescovi [7-28 ottobre 2012], che aveva come tema "La nuova
evangelizzazione per la trasmissione della Fede cristiana", nella
proposizione 27.ma conclusiva si dice: "l'educazione è una dimensione
costitutiva dell'evangelizzazione".
Ma ciò che ho detto
finora vale per la famiglia cristiana; vale per la comunità parrocchiale; vale
per movimenti ed associazioni cattoliche; vale per la scuola.
Dobbiamo allora porci
una seconda domanda: quale è il modo specifico con cui la scuola educa
cristianamente? Vorrei che prestaste particolare attenzione a quanto sto per
dirvi, perché è il nodo di tutta la nostra conversazione.
Educa attraverso
l'insegnamento, in quanto attraverso esso conduce il bambino, il ragazzo, il
giovane ad una visione plenaria del mondo, della vita, che è la visione
plenaria di Cristo. Cerco ora di spiegare, perché la missione della scuola
cattolica è veramente grandiosa.
Non sono così rozzo da
pensare che esista una matematica cristiana e una matematica laica: due più due
fa quattro sia per chi crede che per chi non crede.
Ma detto questo non è
detto nulla circa il problema educativo, sottolineo educativo, che implica
l'insegnamento della matematica.
Prendo l'esempio della
matematica a ragion veduta. Essa sembra la meno rilevante del progetto
educativo.
Se uno si limita a
pensare quanto detto sopra, semplicemente si limiterà ad insegnare la
matematica. Se oltre a questo, porta gradualmente l'allievo ad un uso
consapevole della sua ragione, e non si accontenta che l'alunno "ripeta la
lezione", l'insegnante conduce la persona ad un accesso alla verità. Una
verità che non è semplicemente: "a me pare che…": si impone nella sua
oggettività.
Gradualmente il bambino,
l'adolescente, il giovane entrano "nella loro vera casa", come dice
Platone. La persona "distoglie il suo sguardo dalle cose che periscono,
dalle cose accidentali, e lo fissa sul mondo dell'eterno". [cfr. D. von
Hildebrand, Che cosa è la filosofia?, Bompiani, Milano 2001, pag. 521]. E'
disponibile ad accettare nella fede la divina Rivelazione.
Così con ogni
insegnamento. Alla fine, il giovane – attraverso la disciplina
dell'intelligenza, l'incontro reale coi grandi – prenderà coscienza di una
visione della realtà illuminata da una Luce che dona vita. Egli liberamente poi
deciderà o non di farla diventare il progetto della sua vita.
3. [La scuola cattolica
bene comune]. A questo punto tuttavia, può sorgere in noi una domanda: la
scuola cattolica è senz'altro un bene per e della Chiesa, ma può contribuire al
bene della società? E' un bene solo della Chiesa o anche della società?
Cercherò ora di rispondere a questa domanda.
E' indubbio che la
presenza nella società di una forte proposta educativa corrisponda
all'aspirazione fondamentale di ogni società di assicurare alle giovani
generazioni uno sviluppo pieno della loro umanità.
Tuttavia, anche nella
nostra nazione non manca chi pone in questione o nega il valore del contributo
della Chiesa all'impianto educativo della nazione. A ben vedere, tuttavia,
questa posizione è irragionevole. Per vari motivi.
- La nostra nazione, la
cultura che la definisce, è stata generata dal cristianesimo. L'assenza della
proposta educativa cristiana dall'agorà educativa rischia di far scomparire, o
comunque di oscurare seriamente, dalla coscienza delle giovani generazione la
loro origine spirituale.
- La proposta
educativo-scolastica della Chiesa nasce da una visione dell'uomo che trova
ultimamente la sua origine nella fede. Nell'esprimere la cifra educativa della
fede, la Chiesa serve l'impegno pubblico dell'educazione, perché impedisce che
da esso siano escluse le grandi domande sulla vita. Senza questa apertura,
l'educazione diventa prima o poi mera informazione.
Abbiamo qui, nella sfera
educativa pubblica, un test particolarmente significativo del fecondo rapporto
fra la proposta cristiana di vita ed ogni ragionevole progetto educativo di
vita: l'una aiuta l'altra. La scuola cattolica educa ad un confronto con tutto
ciò che è umano, arricchendo il dibattito pedagogico pubblico di prospettive,
che diversamente sarebbero assenti.
A questo punto, dovremmo
riflettere su una conclusione che si impone. Se la scuola cattolica è un bene
comune, essa deve essere sostenuta da chi ha la responsabilità del bene comune.
Ma entriamo in un campo che esigerebbe una lunga trattazione. Concludo.
4. [Concludo]
Consentitemi di concludere colla narrazione dell'incontro di un grande maestro
con un suo giovane allievo.
"Egli ci accolse
fin dal primo giorno: il primo, effettivamente, e devo dirlo, il più prezioso
di tutti. Infatti, allora, per la prima volta cominciò per me a risplendere il
vero sole. Noi, da principio, alla maniera di bestie selvatiche, pesci,
uccelli, che caduti nei lacci, nelle reti, tentano di sgusciarne fuori, fuggire
via, desideravamo allontanarci… Egli, pertanto, si adoperò con tutti i mezzi a
legarci a sé…Soprattutto egli con grande abilità trattava argomenti che
valessero a scuoterci nell'intimo, giacché mostravamo di trascurare quello che,
come egli afferma è il più importante dei nostri beni, la ragione"
[Gregorio il Taumaturgo, Discorso a Origene, ed. Città Nuova, Roma, 1983, pagg.
64-65].
Di che si tratta? Un giovane di nome Gregorio al termine dei suoi studi
superiori, oggi si direbbe terminata l'Università, vuole fare una descrizione
dell'esperienza vissuta negli anni della sua formazione accademica, parlando
del rapporto vissuto col suo maestro, Origene. Siamo negli anni 232/233-238
d.C.. E' possibile oggi che un giovane possa ancora rivivere l'esperienza di
Gregorio? Dire con tutta verità che "effettivamente (il giorno) più
prezioso di tutti" è stato l'incontro con i propri maestri, cominciando in
quell'incontro "a risplendere il vero sole"? e che ciò accade perché
si vive come uno "scuotimento nell'intimo", poiché si "cessa di
trascurare quello che… è il più importante dei nostri bene, la ragione"? O
forse non è neppure più necessario vivere nella vita una tale esperienza?
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