Storie, storielle e storiacce dimostrano che altissimi
magistrati, capaci di divenire simbolo di condanna definitiva a carico di
Berlusconi, sono gestiti da ridicoli pupari e attestano il falso. Le sentenze
Esposito
Il termine
“definitivo” si adatta al dottore Antonio Esposito, il presidente di sezione
della Cassazione intorno al quale dal primo agosto scorso girano i destini
della nazione, gettata in un caos da guerricciola civile non guerreggiata per
via della sua aurea sentenza “definitiva” contro Berlusconi. Esposito ha
scritto la prefazione a un libro di Ferdinando Imposimato sul caso Moro, in cui
si sostiene che nuove fonti dimostrano come il covo in cui lo statista fu
prigioniero era presidiato da servizi italiani e stranieri, che abbandonarono
la postazione il giorno prima del suo assassinio, il 9 maggio del 1978.
Il
dottore della famosa sentenza avvalora le asserzioni demenziali del libro che
“trovano oggi definitiva conferma e certezza” grazie alle “dirompenti
dichiarazioni di due dei numerosi militari” coinvolti nell’operazione.
Certezza, conferma, sopra tutto definitiva, dirompenti eccetera: il lessico
della sentenza contro il Cav. era anticipato intatto nella prefazione alla
patacca. Già. I carabinieri, interessati alla cosa da Luca Palamara, pm nella
capitale, hanno scoperto che il primo dichiarante al quale hanno tenuto bordone
Imposimato e Esposito, Giovanni Ladu, era un pover’uomo senza il minimo indizio
a suffragio delle sue accuse, e che il secondo dichiarante, che era valso a
Imposimato un best seller, la coglionatura forse involontaria ma ben delineata
dell’opinione pubblica più inesperta, e dei media corrivi alla congiurite, al complottismo,
e a tutta la paccottiglia già vista nelle produzioni intorno all’undici
settembre 2001, era un interlocutore via mail con il nome Oscar Puddu, ma in
realtà non era, perché trattavasi dello stesso Ladu, brigadiere della Finanza
che era ormai archiviato e cancellato come fonte dalle inchieste della
magistratura e dalle indagini dei Ros. E voleva insistere.
Questa che
con sussiego viene venduta come la Repubblica della Costituzione e della legge
uguale per tutti, un paese in cui una sentenza Esposito può ribaltare il ruolo
parlamentare attribuito da milioni di elettori a un uomo di stato di due
decenni, in realtà è una Repubblica delle patacche. Esposito deposita le
motivazioni della sentenza a un amico giornalista del Mattino, e ancora non
conosciamo il testo integrale della conversazione tra i due. Esposito aveva
detto che Berlusconi era pressappoco un bandito in convivi beneventani
precedenti il pensoso giudizio. E giudica “definitiva”, il firmatario della
condanna “definitiva”, una palla colossale sul caso più grave e doloroso della
storia repubblicana.
Avranno un trasalimento gli elegantoni della legge uguale per tutti, che già furono beccati con le mani nel sacco della più stupida credulità nel caso di Massimo Ciancimino, il figlio del boss mafioso portato in giro da Ingroia e da Santoro come icona dell’antimafia e rivelatosi ricettatore di un arsenale dinamitardo, calunniatore e falsificatore di documenti processuali a carico del dottor Gianni De Gennaro, accusatore farlocco nei processoni della trattativa stato-mafia, il primo dei quali si è concluso con l’assoluzione del generale Mori, il secondo è un cabaret ancora aperto per la gioia degli allocchi. Trasaliranno ma eviteranno di commentare la vicenda prefatoria di un alto magistrato di bassa scuola campana (ché da Napoli vennero i migliori giuristi e garantisti d’Italia) che offre il suo timbro di definitività alle bufale raccontate da un pm fattosi avvocato e alla ricerca di una notorietà cospiratoria che ha fatto la fine che ha fatto.
Non so se è
chiaro. Neanche un grammo di polvere sospetta può depositarsi sul bavero della
giacca dei giudici veri e seri, che in tutto il mondo, specie quando sono
chiamati a pronunciarsi su fatti della storia del loro paese, ma anche nella
vita ordinaria del diritto, sono tenuti a un comportamento irreprensibile. Qui
un confermatore di definitività delle fregnacce scritte con dappocaggine in un
libro di rivelazioni, uno che non tiene un cecio in bocca, è il giudice
definitivo della nostra storia riscritta. E noi dobbiamo credergli perché la
legge è uguale per tutti.
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