Con queste parole tuonava santa
Caterina da Siena scrivendo a un alto prelato.
(Nota del Blog: continuano gli stringenti interventi di Socci sulla persecuzione dei Cristiani, e la critica all'operato del Vaticano e del Papa; spesso sopra le righe, a tratti sferzante e velenoso, interpreta una parte di opinione cattolica. Noi non condividiamo molte affermazioni, ma è utile seguirlo)
Si sente il bisogno anche oggi nella
Chiesa di donne e uomini di fede ardente e di cuore libero che – come Caterina
– si rivolgano così a un papa (Gregorio XI) pieno di timori, che non faceva
quello che avrebbe dovuto: “Io, se fussi in voi, temerei che il divino giudicio
venisse sopra di me”.
Ma i nostri sono tempi di
clericalismo, di bigottismo e di adulatori. E le voci dei grandi santi (o degli
uomini liberi) non ci sono o non si sentono.
Eppure è difficile e – per un
cattolico – molto doloroso capire e accettare l’atteggiamento del Vaticano di
papa Bergoglio di fronte alla tragedia dei cristiani (e delle altre minoranze)
in Iraq, braccati e massacrati dai sanguinari islamisti del califfato anche in
queste ore.
Prima, per settimane, un’evidente
reticenza, quasi imbarazzo a parlarne. Perfino l’iniziativa di preghiera della
Cei del 15 agosto scorso è stata passata sotto silenzio dal Papa che
evidentemente ha in antipatia la Chiesa italiana.
Ora, finalmente, dopo una ventina di
giorni di massacri di uomini, donne e bambini, e dopo mille pressioni
(anzitutto da parte dei vescovi di quella terra e dei diplomatici vaticani),
papa Bergoglio si è deciso a pronunciare le fatidiche parole, sia pure in modo
assai felpato: “è lecito fermare l’aggressore ingiusto”.
Sai che sforzo… Ci mancava pure che
dicesse che è lecito lasciare che l’aggressore massacri la gente inerme e
innocente, che crocifigga i “nemici dell’Islam”, che seppellisca vivi i
bambini, che stupri e venda le donne come schiave.
Con ben altra tempestività ed
energia Giovanni Paolo II nel 1993 tuonava sul dovere di difendere gli inermi
dai massacri: “Se vedo il mio vicino perseguitato, io devo difenderlo: è un
atto di carità. Questa per me è l’ ingerenza umanitaria”.
Ma non c’è più Giovanni Paolo II e
purtroppo nemmeno Benedetto XVI. Dunque dopo aver detto, con incredibile
ritardo, che “è lecito fermare l’aggressore ingiusto”, Bergoglio si è
affrettato ad aggiungere che però va fatto senza “bombardare” o “fare la
guerra”.
Cosicché viene amaramente da
chiedersi se egli vuole salvare la faccia (propria) o la vita di quegli
innocenti. Qual è infatti il modo per “fermare” una banda di assassini crudeli
senza usare le armi? Cosa propone papa Bergoglio per “fermare” quei carnefici?
Un tressette col morto? Un thè con monsignor Galantino?
Si dirà che il Papa non può esortare
a usare la forza, sia pure per salvare vite innocenti. Sbagliato. Da secoli la
dottrina cattolica ha sancito il diritto alla legittima difesa e il principio
di “uso della forza” per la legittima difesa.
Proprio i teologi della Scuola di
Salamanca come il domenicano Francisco de Vitoria, nel XVI secolo, fondarono
sulle basi della legge naturale il diritto internazionale,
Benedetto XVI lo ricordò alle Nazioni
Unite evocando “il principio della ‘responsabilità di proteggere’ (che) era
considerato dall’antico ius gentium quale fondamento di ogni azione intrapresa
dai governanti nei confronti dei governati”.
E aggiunse che “il frate domenicano
Francisco de Vitoria, a ragione considerato precursore dell’idea delle Nazioni
Unite, aveva descritto tale responsabilità come un aspetto della ragione
naturale condivisa da tutte le Nazioni, e come il risultato di un ordine
internazionale il cui compito era di regolare i rapporti fra i popoli”.
In questo quadro Giovanni Paolo II
nell’Evangelium vitae del 1995 affermava: “la legittima difesa può essere non
soltanto un diritto ma un grave dovere per chi è responsabile della vita di altri,
del bene comune della famiglia o della comunità civile. Accade purtroppo che la
necessità di porre l’aggressore in condizione di non nuocere comporti talvolta
la sua soppressione. In tale ipotesi, l’esito mortale va attribuito allo stesso
aggressore che vi si è esposto con la sua azione”.
Parole significative perché Giovanni
Paolo II si è sempre caratterizzato per la difesa energica della pace (per
esempio opponendosi alla guerra americana in Iraq), ma con altrettanta energia
ha incitato la comunità internazionale a fermare, anche con l’uso della forza,
i carnefici in azione (e si noti bene che a quel tempo la popolazione
minacciata era di religione islamica).
Quello che semmai papa Francesco
dovrebbe chiedere – sulle orme di Giovanni Paolo II – è che tale “uso della
forza” da parte della comunità internazionale sia proporzionato e mirato a
disarmare gli aggressori e a salvare la vita dei braccati.
Ma purtroppo non si è sentita
nessuna riflessione approfondita. Si nota solo la preoccupazione di Francesco
di non uscire dallo stereotipo del papa “politically correct”. Infatti ha
sentito il bisogno di ripetere che fra le minoranze minacciate dall’Isis ci
sono anche non cristiani “e sono tutti uguali davanti a Dio”. Un’ovvietà che è
parsa una “excusatio non petita…”.
Del resto se rileggiamo insieme i
vari interventi di papa Bergoglio su questa carneficina non si troverà mai la
parola islam, islamisti o musulmani. Se uno disponesse solo delle parole del
Papa non capirebbe minimamente a chi si deve questa “tragedia umanitaria” e per
quale motivo viene perpetrata.
Una reticenza grave, figlia
dell’ideologia cattoprogressista che interpreta erroneamente il dialogo con i
musulmani come una resa, anche psicologica. Tanto è vero che ci sono
commentatori cattoprogressisti che arrivano perfino a ripetere che i carnefici
del Califfato non hanno niente a che vedere con l’Islam.
Peccato che tali carnefici impongano
alle minoranze conquistate la conversione immediata all’Islam in alternativa
alla morte, come è accaduto nei giorni scorsi a Kocho, un piccolo villaggio del
Nord Iraq abitato da yazidi dove i jihadisti hanno massacrato circa 80 uomini
che si rifiutavano di convertirsi e incatenato e deportato un centinaio di
donne e bambini.
Naturalmente è comprensibile che le
autorità della Chiesa non cerchino lo scontro, la polemica o il conflitto
religioso. Giusto. Ma è anche un dovere dire la verità e dare ai fedeli un
serio “giudizio culturale” su quello che il mondo oggi sta facendo ai
cristiani.
Soprattutto considerando la subalternità
culturale di tanti cattolici: c’è chi ritiene deprecabile perfino parlare di
“cristiani perseguitati” (eppure sono il gruppo umano più perseguitato, nel
maggior numero di paesi del mondo).
Detto questo voglio sottolineare che
le dichiarazioni di papa Francesco dell’altroieri sono comunque un passo
avanti, sperando che – senza dover aspettare troppo, perché la situazione è
drammatica – arrivino presto parole ancora più chiare e decise.
Sono un passo avanti che dovrebbe
chiarire le idee ai tanti che nei giorni scorsi, contro chi domandava una
parola chiara, ribattevano stizziti che chiedere di fermare gli assassini
significava volere la guerra e le crociate.
L’intervento del Papa chiarisce le
idee anche a quelli che affermavano: “se il Papa tace significa che vuol
evitare ritorsioni più gravi”, oppure “se non dice niente significa che sta
operando riservatamente”.
Erano balle. In realtà in Vaticano si sono illusi per settimane che vi fosse ancora una via diplomatica, mentre i carnefici del califfato – come denunciavano i vescovi del posto – volevano solo conquistare, convertire a forza e massacrare. Non sanno nemmeno cosa siano il “dialogo” o la diplomazia.
Erano balle. In realtà in Vaticano si sono illusi per settimane che vi fosse ancora una via diplomatica, mentre i carnefici del califfato – come denunciavano i vescovi del posto – volevano solo conquistare, convertire a forza e massacrare. Non sanno nemmeno cosa siano il “dialogo” o la diplomazia.
Un’ultima nota. Negli interventi
fatti durante il viaggio in Corea, papa Bergoglio ha anche giustamente invitato
tutta la Chiesa alla riflessione sui martiri di ieri e di oggi e alla
preghiera. Sacrosanto. Ma è un invito molto blando, senza la mobilitazione di
tutta la Chiesa per soccorrere queste vittime e senza quella profonda
consapevolezza culturale che sapeva darci Benedetto XVI. Oggi domina lo
smarrimento.
Antonio Socci
Da “Libero”, 20 agosto 2014
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