Mons. Luigi Negri,
Arcivescovo di Ferrara-Comacchio
mercoledì 20 agosto 2014
È un fatto enorme questo gigantesco esodo
in massa di cristiani espulsi dai luoghi dove da millenni era radicata la
presenza cristiana, esclusivamente perché cristiani.
Quindi per quello che la
tradizione cattolica chiama l’odio della fede.
E questo deve essere detto
esplicitamente: non sono soltanto buttati fuori dalle loro case, privati di
tutti i loro beni, privati di tutti i loro diritti e quindi della possibilità di
sussistenza; ma la ragione di tutto questo è la fede.
E questo i cristiani, la Chiesa, non possono non sentirlo come un evento terribile e insieme grandioso, perché è l’evento del martirio.
E questo i cristiani, la Chiesa, non possono non sentirlo come un evento terribile e insieme grandioso, perché è l’evento del martirio.
Ho ascoltato con molta gratitudine gli interventi di papa Francesco, così forte, così appassionato e insieme così profondamente compreso di dolore, di compassione.
Con non meno gratitudine ho letto la lunga
intervista del cardinale Kurt Koch all’Osservatore Romano , che ha offerto un
momento di dolorosa riflessione su questo evento.
Non si capisce perché alcune cose vengano chiamate Shoah e per queste non venga usato lo stesso termine, che dice di una spaventosa e dissennata ideologica violenza contro l’altro semplicemente perché ha una posizione religiosa diversa dalla propria.
Ma il cardinale Koch ha insistito su un aspetto che non è sempre in primo piano negli interventi del mondo cattolico. Il problema è che c’è una grande difficoltà a una denuncia esplicita.
I
responsabili di questi spaventosi avvenimenti hanno nomi e cognomi espliciti, e
non soltanto quelli degli ultimi, degli epigoni di questa vicenda di
criminalità ideologica. Ma c’è una tradizione che risale lungo i secoli della
presenza islamica nel Medio Oriente e in Europa. Ora, il cardinale Koch dice
che dovremmo essere più coraggiosi nella
denuncia. Ecco, il coraggio è sempre un elemento fondamentale per una presenza
cristiana, ma più che mai in un momento come questo.
Il coraggio è un
aspetto della testimonianza cristiana, è un aspetto fondamentale dell’impatto
con la realtà del mondo e degli uomini che ci vivono. Queste responsabilità
dunque devono essere dette e proclamate, altrimenti anche le denunce e la
volontà di condividere la situazione tremenda di tanti nostri fratelli
rischiano di essere parziali.
Certamente noi occidentali, in particolare noi
cristiani di questo Occidente che giustamente negli ultimi tempi è stato
indicato come caratterizzato da una profonda stanchezza, rischiamo di non
affrontare la realtà secondo tutti i suoi fattori.
Soprattutto cerchiamo di
nascondere o quantomeno di ridurre l’impatto con questo mondo islamico che, ci
piaccia o no, ha la responsabilità storica di questi eventi oggi come lungo i
secoli che hanno preceduto questo ultimo.
Forse c’è una prevalenza della volontà
di dialogo a ogni costo che deprime la verità.
E un dialogo senza la
verità o che non parta dalla verità non è un dialogo: è un compromesso, è una
connivenza, è un’ignavia. Ricordo ancora gli interventi di papa Benedetto XVI
nel corso dell’indimenticabile Sinodo sulla nuova evangelizzazione quando
intervenne dicendo che «il dialogo è in misura della forza della propria
identità»; e la forza della propria identità è la pienezza della coscienza
critica della propria identità.
Il dialogo è espressione di una cultura: il
dialogo non produce cultura, la esprime. Ci nascondiamo o rischiamo di
nasconderci di fronte a questa terribile minaccia che incombe sull’Occidente, e
non solo sull’Occidente, facendo un po’ quello che hanno fatto le cosiddette
democrazie liberali borghesi nei confronti della terribile vicenda hitleriana,
nei tempi immediatamente precedenti la seconda guerra mondiale.
Non avere il
coraggio di questa denuncia è esattamente nella misura della debolezza della
fede. Il resto finisce per essere solo un vaniloquio. La Chiesa non ha bisogno
di vaniloqui e, per quanto mi risulta, neanche Dio.
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