mercoledì 31 dicembre 2014

LA SALVEZZA DEI PRIGIONIERI

Michelangelo Cristo Redentore (S. Maria sopra Minerva)
Vigilia di Natale

Che cosa vogliono gli uomini?
Dio si è allontanato per sempre?
Ogni cosa precipita giù,
túrbina in un vento di tempesta,
e poi cade in un silenzio
di morte.
È la vigilia di Natale
e nessuno lo sa:
dalle finestre chiuse,
gli uomini come prigionieri
guardano nella strada che è deserta.

DIVO BARSOTTI
(22 dicembre 1977)


“ La « redenzione », la salvezza, secondo la fede cristiana, non è un semplice dato di fatto. La redenzione ci è offerta nel senso che ci è stata donata la speranza, una speranza affidabile, in virtù della quale noi possiamo affrontare il nostro presente: il presente, anche un presente faticoso, può essere vissuto ed accettato se conduce verso una meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta è così grande da giustificare la fatica del cammino

BENEDETTO XVI
SPE SALVI


domenica 28 dicembre 2014

ALBERTO GAROCCHIO: COME E' BELLO E DIFFICILE PER I CRISTIANI FARE POLITICA

Sabato 27 dicembre ore 11 in San Fedele a Milano. 

La chiesa stracolma.
 L'onorevole Alberto Garocchio è alla sua ultima presenza corporale. Ma tutta la sua vita e la sua storia scorrono attraverso la presenza, tanta e diversa, come ha detto il celebrante, di persone rese amiche dalla profonda personalità cristiana di Alberto. 


Un grande momento di unità fra tante persone che fanno politica a Milano. Da Gambitta a Gallera, da De Carolis a Formigoni, dal ministro Lupi al senatore Mario Mauro, da Basilio Rizzo a Peppino Zola, da Alberto Mattioli a Andrea Fanzago. E potrei citare con rispetto almeno altri cento. Dalla sinistra alla destra.

Rivedo Sandra, Cristiano, Chiara, Edoardo, Valeria, i loro congiunti e figli. La commozione è grande perché la nostra era amicizia fra famiglie, siamo stati ospiti suoi all'isola d'Elba, a Cervinia, e abbiamo condiviso le nostre reciproche tribolazioni. 
Eppure io e Alberto eravamo tesi nei rapporti inerenti la politica, avevamo origine e natura diversa, lui ci sapeva fare con il potere, io avevo  capacità aggregative, eravamo in competizione, che a volte oscurava l'amicizia. 
Ora è accaduta la piena pacificazione, perché abbiamo l'occasione di stare di fronte all'Essenziale. E questo era molto evidente nell'abbraccio che ho avuto dai suoi figli.

Come è bello e difficile per i cristiani far politica. Il cuore si riempie incontrando amici cristiani che sono su posizioni politiche opposte alle nostre ma che commemorano con noi Alberto. Ci rimanda all'unità politica dei cattolici, che la fine della Dc ha reso impossibile nella quotidianità, ma che permane sulle grandi questioni, di modo che si può davvero dire che le diversità politiche nella democrazia non sono scontri fra nemici, che si deve vedere l'opportunità che l'altro ci può offrire, per impegnarsi nel bene comune. Si può dire che l'unità politica dei cattolici è la ragione del poter parlare di bene comune, come scopo del far politica.

Nell'area moderata e popolare ha avuto un peso molto negativo l'individualismo, confuso con il contenuto della libertà. Essere liberali è diverso dal comunitarismo che vive in modi vari nelle formazioni politiche di sinistra. Ma non vuol dire essere individualisti. E questo lo abbiamo visto oggi in chiesa. Amicizia fraterna che ha mosso i molti che sono venuti. E come nell'esempio che facevo fra me e Alberto, si vede che partire dall'io, come ci insegna il cristianesimo, è l'avvio del dialogo con l'altro da sé. La libertà è libertà di incontrare, di comporre le ragioni, di fare una società composta da uomini liberi. Ma bisogna dire che nei recenti venti anni l'individualismo ha introdotto una competizione per affermare il più forte. 

Avevamo riposto la fiducia in un imprenditore che ci sembrava potesse rompere le consorterie corporative che dominano il Paese con privilegi e garanzie che hanno irrigidito la vita sociale e indebitato lo Stato, sino all'attuale fallimento dello statalismo.
Ma non avevamo considerato che l'imprenditore non sapeva far politica, anzi ha introdotto l'antipolitica, con i continui riferimenti al "teatrino della politica". Per questo l'individualismo nella nostra area ha prevalso sull'amicizia. A volte ci siamo fatti del male reciprocamente, e abbiamo isolato molte ragionevoli presenze.

Ecco la lezione tutta attuale del funerale di Alberto Garocchio,
Far politica è diverso dal praticare le logiche di potere, far politica è comporre la complessità.
Nella nostra area ci volevano maggiori momenti di democrazia e di confronto, ma tutti erano in lotta con tutti per farsi valutare dal capo. Non è così che si forma una classe dirigente, non è così che si producono le generazioni di funzionari pubblici che devono essere l'anima del cambiamento e del progresso della società.


Dunque adesso chi può convochi, metta insieme, unisca, mostrando di sapere far politica. Ma ci vuole gratuità e umiltà, per mettere insieme si deve accettare che i migliori vadano avanti, si deve accettare che gli interessi di gruppi e categorie siano componibili, rappresentandoli con trasparenza, senza corporativismi o sotterfugi. Solo così non si ripercorre la brutta strada di mettere insieme il diavolo e l'acquasanta per fare una maggioranza di governo. Deve nascere un partito popolare che mostra il carattere vincente dell'unità fondata sull'incontro di persone da riconoscere e rispettare. Vi prego amici, mettiamoci insieme!

ALDO BRANDIRALI
ilsussidiario.net

sabato 27 dicembre 2014

“L’ABORTO POST NASCITA”

DAL CANADA ALL’EUROPA, ACCADEMICI E BIOETICI (!) TEORIZZANO CHE UCCIDERE UN NEONATO DEVE ESSERE LECITO IN TUTTI I CASI IN CUI E’ CONSENTITO L’ABORTO!

di Giulio Meotti ilfoglio | 24 Dicembre 2014

 “Il bambino disabile ha la capacità di crescere in modo tale da avere una vita e non semplicemente di essere vivo? Se capiamo che non ce l’ha, allora dovremmo concludere che la sua vita non è degna di essere vissuta”. 
A teorizzare l’aborto post-nascita è il massimo bioeticista canadese, il professor Udo Schuklenk, docente alla Queen University e già direttore della Royal Society. Lo ha scritto sulla rivista scientifica Journal of Thoracie and Cardiovascular Surgery, in un saggio dal titolo “I medici possono a ragione fare l’eutanasia a certi bambini gravemente compromessi”. Schuklenk sostiene che “il rispetto per la dignità umana richiede che si ponga fine alla vita dei bambini per motivi compassionevoli”. L’infanticidio diventa legittimo dal punto di vista della “qualità della vita”. Ecco dunque “l’aborto post natale”, sul quale i genitori devono “decidere liberamente perché i bambini appena nati sono più simili a un feto che a noi”.



Un professore universitario della Repubblica Ceca, Miroslav Mitloehner, membro del Consiglio scientifico del ministero degli Affari sociali, ha appena teorizzato nel Journal of medical law che “se il figlio è disabile la madre deve essere costretta ad abortire. Non ha senso prolungare la vita di un bambino nato come un mostro”. Vaclav Krasa, presidente della principale organizzazione ceca per i diritti dei disabili, ha comparato le idee del professore al “pensiero nazista”. Mitloehner ha poi sposato l’idea dell’eutanasia per i neonati handicappati.

A lungo l’infanticidio venne praticato, da Tahiti alla Groenlandia. E non erano solo gli spartani a esporre i loro bambini sulla cima di una collina. Anche Platone e Aristotele raccomandavano che lo stato disponesse l’uccisione di bambini disabili. Poi, per duemila anni, è diventato tabù.

Quando l’australiano Peter Singer sdoganò nuovamente il dibattito sull’infanticidio, nel 1999, la sua proposta venne accolta con scandalo e alzate di scudi da ogni parte. Da un anno a questa parte, l’infanticidio è tornato mainstream nelle migliori università occidentali. Come scrive lo studioso americano Wesley Smith, “alcuni dei più celebri bioeticisti e riviste medico-scientifiche pubblicano apologie dell’infanticidio”.

Sulla rivista Journal of Applied Philosophy, con il saggio “Consciousness and the Moral Permissibility of Infanticide”, Nicole Hassoun e Uriah Kriegel sostengono che “non è permesso uccidere una creatura soltanto quando questa è cosciente; è ragionevole pensare che ci sono casi in cui i neonati non sono coscienti; quindi è ragionevole pensare che sia lecito uccidere alcuni nuovi nati”. John Harris, docente all’Università di Manchester, ha posto in questi termini la liceità dell’aborto post natale: “Che cosa pensa la gente che cambi nel passaggio lungo il canale vaginale da rendere giusto uccidere un feto a un’estremità del canale ma non all’altra?”.

Jeff McMahan ha scritto in “The ethics of killing” (Oxford University Press) che “l’infanticidio è giustificabile” in caso di “gravi disabilità mentali” del bambino. Hugo T. Engelhardt, autore del celebratissimo “Manuale di bioetica”, giustifica l’infanticidio osservando che “il dovere di preservare la vita di un neonato generalmente viene meno con il diminuire delle possibilità di successo nonché della qualità e della quantità della vita, e con l’aumentare dei costi del conseguimento di tale qualità”
Il famoso bioeticista ha coniato la definizione di “straniero morale” per indicare chi, come i non nati, i disabili e i comatosi, non avrebbe più titolo a essere considerato “persona”. 

Due anni fa era apparso sul prestigioso Journal of Medical Ethics il saggio di due ricercatori italiani, Alberto Giubilini e Francesca Minerva, i quali sostengono che, al pari del feto, anche il neonato non ha lo status di “persona”, pertanto l’uccisione di un neonato dovrebbe essere lecita in tutti i casi in cui è permesso l’aborto, anche quando il neonato non ha alcuna disabilità ma se costituisce un problema economico o di altra natura per la famiglia.

Certamente, nelle loro coscienze, il caso è 

felicemente risolto. Ma non può esserlo nelle nostre

LA “COSTITUZIONE PIÙ BELLA DEL MONDO”

IN UNO DEI SUOI ULTIMI ATTI PRESIDENZIALI 
ANCHE NAPOLITANO DICE LA VERITA'

Il bicameralismo paritario “è stato il principale passo falso dell’Assemblea costituente”. Con questa frase pronunciata davanti al plenum del Consiglio superiore della magistratura, Giorgio Napolitano ha seppellito mezzo secolo di retorica sulla “Costituzione più bella del mondo”, cantata ora un po’ fuori tempo massimo da Roberto Benigni e illustrata pomposamente da una compagnia di giro guidata da Gustavo Zagrebelsky. Il fatto che il bicameralismo sia stato solo il principale passo falso significa che ce ne sono stati altri, insomma che c’è molto da cambiare a da rivedere nella Carta fondamentale della Repubblica, che come tutte le opere della politica ha avuto un senso quando è stata approvata, ma naturalmente con il mutare delle condizioni e dei rapporti di forza perde di attualità e di efficacia.



Napolitano ha una cultura fondamentalmente storicista, che nel suo principale mentore politico, Giorgio Amendola, assunse persino qualche carattere provvidenzialistico. Depurata dagli effetti giustificazionisti, che furono in qualche modo originati dalla lettura di Benedetto Croce, la concezione storicistica “napoletana” ha il pregio di esercitare una lettura critica anche dei miti fondanti della politica nazionale. Così si può benissimo capire a quali esigenze storiche e politiche abbia obbedito la scelta del bicameralismo, adottata, va detto, dall’Assemblea costituente in una situazione particolare dal punto di vista istituzionale, con l’Assemblea parlamentare precedente, la Camera dei fasci e delle corporazioni, disciolta, ma il Senato di nomina regia tuttora esistente in una sorta di limbo istituzionale, dopo la cancellazione dei senatori di nomina mussoliniana, ma che vedeva ancora formalmente forniti del laticlavio i senatori di nomina prefascista, compreso Enrico De Nicola, il capo dello stato in carica in quel momento. Paradossalmente la difesa del Senato e delle sue prerogative paritarie fu assunta, all’inizio, dalla Democrazia cristiana, che vi vedeva un contrappeso a una possibile maggioranza di sinistra nella Camera dei rappresentanti, ma dopo la rottura dei governi di unità antifascista, nel 1947, il fronte si capovolse e furono i socialcomunisti a insistere per un ruolo decisivo anche del Senato. Il compromesso che ne uscì è appunto quel bicameralismo paritario che, una volta superate le ragioni e i rapporti di forza da cui era nato, è restato come un intralcio alla efficacia del sistema decisionale della democrazia repubblicana. Il fatto che non sia stato possibile, una volta constatato l’evidente difetto del sistema istituzionale, il che era già evidente ai tempi della prima commissione Bicamerale per la riforma costituzionale del 1983 presieduta da Aldo Bozzi, significa che in trent’anni un tema ormai maturo non ha trovato una soluzione (se si esclude la riforma approvata del centrodestra, con la trasformazione del Senato in Camera delle autonomie, ma poi bocciata dal successivo referendum popolare). La forza di inerzia che ha prodotto questa paralisi del rinnovamento istituzionale, i cui effetti si sono man mano diffusi a tutto il sistema dei pubblici poteri, è proprio l’ideologia costituzionalista, quell’assolutizzazione di principi storicamente superati e di meccanismi disfunzionali (aggirati da quella che in gergo si chiama la Costituzione materiale contrapposta a quella formale) che paradossalmente è riuscita a presentare la sua natura conservatrice come baluardo progressista a difesa di diritti conculcati da chiunque osasse parlare di riforme istituzionali.

Questa forza di inerzia è tuttora potentissima, come dimostra la fatica improba che costa ogni passaggio riformatore, e questo spiega perché fra i suoi ultimi atti presidenziali Napolitano abbia deciso di affrontare in modo esplicito questo nemico, insieme al protagonismo delle toghe, indicandolo come l’ostacolo principale al rinnovamento indispensabile per rendere il sistema Italia efficace nelle decisioni politiche per poter tornare competitivo anche nel campo economico ed equilibrato nelle relazioni sociali.


IL NUOVO PURITANESIMO: AFFERMARE CHE MASCHILE E FEMMINILE SONO SOLO "COSTRUZIONI" NON E' UNA BUONA NOVELLA, MA UNA BUGIA

Un “j’accuse” super laico

La teoria del gender non è che “nuovo puritanesimo”

Il filosofo ateista francese Michel Onfray, idolo della gauche grazie ai suoi libri fieramente antireligiosi e libertini, è caduto in disgrazia. Colpa del tweet che aveva lanciato a settembre, in un accesso di puro buonsenso (capita anche agli ateisti, pare)
Riferendosi ai programmi scolastici improntati alla negazione della differenza sessuale (il famigerato “Abcd de l’égalité”), aveva scritto: “E se a scuola, al posto della teoria del genere e della programmazione informatica, si insegnasse a leggere, scrivere, far di conto, pensare?”. E’ bastato, perché Onfray fosse accusato di essere un neoreazionario. In Francia, con l’avvento di Hollande alla presidenza e grazie ai suoi tre ministri dell’Educazione, il tema della “decostruzione” degli stereotipi sessuali o presunti tali è al centro di una sorta di nuova rivoluzione giacobina. E il fatto che Onfray non solo non si sia arruolato tra i rivoluzionari, ma che si dimostri critico, ha deluso certi suoi ex fan.



Ora il filosofo torna sull’argomento dalla pagine della sua rubrica sul Nouvel Observateur. L’occasione è l’uscita di un libro della filosofa Bérénice Levet, quarant’anni, già allieva di Finkielkraut e studiosa di Hannah Arendt. “La théorie du genre, ou le monde rêvé des anges” (Grasset) è a sua volta bersaglio dei benpensanti della gauche. Prima di tutto perché dimostra che la pretesa inesistenza della teoria del genere nei programmi scolastici promossi dai ministri Peillon, Hamon e Vallaud-Belkacem è, appunto, pretesa. E’ la stessa autrice a spiegare che “finché quella teoria si limitava ai laboratori di ricerca di qualche università americana, la cosa mi era indifferente; ma ora si è insinuata in Francia, fin dentro le nostre scuole”. E racconta di un suo nipote, alunno di prima media, al quale era stato dato da leggere un opuscolo illustrato, intitolato “Il giorno in cui mi sono vestito da donna”.

E’ allora, scrive la Levet, che ha cominciato il suo libro. Nel quale, dice Onfray sul Nouvel Obs, troviamo più di una prova che la propaganda pro gender nelle scuole francesi e nella società “esiste eccome”, e che è in corso un combattimento “tra chi afferma che il corpo e la carne non esistono, che gli esseri umani sono solo archivi culturali, che il modello originale dell’essere è l’angelo, il neutro, l’asessuato, la cera malleabile, l’argilla priva di sesso da plasmare sessualmente, e chi sa che l’incarnazione concreta è la verità dell’essere che viene al mondo. Il che non esclude la formattazione fallocratica, ma non le lascia l’onnipotenza”.
Per Onfray la teoria del genere è un “nuovo puritanesimo”, che vuole “un essere umano nuovo, senza sesso”: è “il mondo sognato degli angeli” di cui parla il libro della Levet. 

Un mondo in cui è esaltata l’autocostruzione che nega la differenza sessuale, e che ha per esito “l’omosessualità, la bisessualità, la transessualità e tutte le altre forme di sessualità che si possono volere e scegliere a piacimento, per cambiarle senza mai sentirsi assegnati a esse”.
La Levet non chiama in causa Dio e ricusa “letture religiose o scientiste. Non è né con chi crede che tutto sia natura e Dio e cultura e geni, né con la destra tradizionalista né con la sinistra cosiddetta progressista. Non fa appello alla teologia o alle neuroscienza, ma alla filosofia”. 

Per questa via, scrive Onfray, “mostra come certi pretesi sovversivi realizzino paradossalmente il progetto cristiano: un corpo senza organi sessuali, l’aspirazione a una neutralità asessuata simile a quella degli angeli, il progetto di un ‘concepimento virginale’ apparentato a quello di Maria, madre di Gesù, con la fecondazione in vitro, ‘la ‘paura del desiderio’ eterosessuale ereditata da san Paolo, che esaltava la castità”
L’ateista Onfray si fa prendere la mano da una sua idea di cristianesimo molto parziale, che coincide con la visione monastica del corpo e della carne. 

Ma coglie il centro del problema, quando, con Bérénice Levet, dimostra che la teoria del gender non è che odio dell’eros nascosto da un alibi progressista. Affermare che maschile e femminile sono solo “costruzioni” non è una buona novella, è una bugia. E il libro della Levet dimostra anche l’incompatibilità di quella teoria con ciò che ha contribuito a costruire certe felici peculiarità della civiltà francese: la galanteria, l’erotismo, la conversazione. Non si tratta di relitti del passato ma di “doni incomparabili” legati alla dualità dei sessi.

Nicoletta Tiliacos
Ilfoglio


martedì 23 dicembre 2014

LA FINE DELL'EPOCA MODERNA

".. dall'inizio del tempo moderno si viene elaborando una cultura non cristiana. Per lungo tempo la negazione si è diretta solo contro il contenuto stesso della Rivelazione; non contro i valori etici, individuali o sociali, che si sono sviluppati sotto il suo influsso. Anzi, la cultura moderna ha preteso di riposare precisamente su quei valori. Secondo questo punto di vista, largamente adottato dagli studi storici, valori come ad esempio quelli della personalità e dignità individuale, del rispetto reciproco, dell'aiuto scambievole, sono possibilità innate nell'uomo, che i tempi moderni hanno scoperto e sviluppato.... quest'autonomia della persona ha preso coscienza di sé ed è diventata una conquista naturale, indipendente dal cristianesimo. Questo modo di vedere si esprime in molteplici forme ed in modo particolarmente rappresentativo nei diritti dell'uomo al tempo della rivoluzione francese. (...) L'idea che questi valori e questi atteggiamenti appartengono semplicemente all'evoluzione della natura umana mostra di misconoscere il vero stato di cose; anzi, bisogna avere il coraggio di dirlo apertamente, conduce ad una slealtà che all'osservatore attento appare caratteristica dell'immagine dell'epoca moderna".

"Un nuovo paganesimo si sviluppa, ma di natura diversa da quello antico... Come forma di esistenza l'antichità è definitivamente tramontata. Quando l'uomo di oggi diviene pagano, lo è in forma totalmente diversa dall'uomo prima di Cristo... Da qui proviene la singolare impressione di immaturo arresto di sviluppo che ci dà l'anticristiano che crede nell'antichità... Ma allora la fede cristiana stessa dovrà uscire dalle laicizzazioni, dalle analogie, dalle mezze misure e dalle confusioni... Il patrimonio culturale della Chiesa non potrà sfuggire alla generale decadenza della tradizione e là dove ancora sussisterà sarà assalito da molti problemi... La solitudine nella fede sarà tremenda. L'amore scomparirà dalla condotta generale. Non sarà più compreso, e diverrà tanto più prezioso... Forse si farà una esperienza tutta nuova in questa carità: della sua sovrana originalità, della sua indipendenza dal mondo, del mistero del suo supremo perché. Forse la carità acquisterà una profondità d'intimità mai prima esistita"


Romano Guardini, La fine dell'epoca moderna, Morcelliana, 1950

IL GENDER. UNA QUESTIONE POLITICA E CULTURALE



PRESENTAZIONE DEL LIBRO DI MARGUERITE A. PETERS
DEL CARDINALE ROBERT SARAH

Grazie: questa è la prima parola che è uscita dal mio cuore ed è affiorata sulle mie labbra leggendo
questo libro. Vorrei innanzitutto esprimere la mia profonda riconoscenza a Marguerite A. Peeters, che
ci offre un’analisi calma, precisa e rigorosa dell’ideologia gender, osservandone le origini, lo sviluppo in Occidente e le ambizioni normative mondiali.

Secondo l’ideologia gender non esiste una differenza ontologica tra uomo e donna.
L’identità maschile o femminile non sarebbe insita nella natura, nella realtà, ma sarebbe unicamente da attribuire alla cultura: sarebbe il risultato di una costruzione sociale, un ruolo che gli individui interpretano mediante doveri e funzioni sociali. Secondo i suoi teorici, il gender è performativo e le differenze uomodonna sono soltanto oppressioni normative, stereotipi culturali e costruzioni sociali che bisogna decostruire per raggiungere la parità tra uomo e donna.
 
Marguerite A. Peters
In nome della libertà e della parità, le battaglie ideologiche gender obbediscono a esigenze individualistiche e soggettivistiche che mirano a organizzare la società senza rispettare la differenza sessuale.
Anche i tecnici di questa teoria e le potenti lobby che si rifanno ad essa si battono in favore di
una indifferenziazione dei sessi che chiamano “neutralità sessuale”: un fluido magmatico che mischia confusamente cose astratte ed è messo in movimento come fosse una nuova utopia di “liberazione del desiderio”, falsamente portatrice di una felicità universale. Lavorano allo smantellamento di quello che chiamano il “sistema binario” uomo-donna.

Come potete osservare, siamo di fronte a una rivoluzione che cerca di ribaltare l’ordine della
creazione dell’uomo e della donna come Dio l’ha concepito sin dalle origini nel suo disegno di amore eterno.
 Portata avanti dall’Occidente, questa rivoluzione si sviluppa in maniera subdola, nell’assenza
quasi totale di dibattito pubblico. Le conseguenze sono di una gravità estrema. Non riguardano soltanto
le scienze mediche, umane e sociali: le ricadute distruttrici potrebbero diventare sempre più evidenti
nella vita concreta delle persone individuali e delle società, ovunque viviamo.
Il gender consolida oggi le sue fondamenta e guadagna sempre più terreno. Un modo diverso di considerare il matrimonio, la famiglia, l’amore, la dignità umana, i diritti e la sessualità in una prospettiva essenzialmente soggettivistica si radica progressivamente e solidamente in Occidente, e tende a espandersi nel resto del mondo.


NON SI POSSONO MANDARE LE MAIL A DIO

di Matteo Matzuzzi | 21 Dicembre 2014 ILFOGLIO


CONFESSARSI: UN CLICK ED è FATTA. MA NON E' COSI'

              \(...)       Ma isolarsi e ritirarsi in solitaria preghiera comporta anche rischi gravi, come il pensare che non serva andare a messa e che tutto sommato si può pure fare da soli, a casa. Anche confessarsi e, ça va sans dire, autoassolversi. 
C’è l’Atto di dolore, servirà pure a qualcosa, s’è sentita rispondere una suora a un corso di catechesi per adulti. E se uno ha un libretto in mano, magari sul comodino, può convincersi che non servono mediatori, che basta leggere e sottolineare la Parola di Dio per essere buoni cristiani e rispettare il decalogo.

 E’ il pericolo di convincersi che la chiesa è inutile e che l’uomo può instaurare un rapporto diretto con l’Altissimo, senza sacerdoti a predicare sui sacramenti e a sciorinare – più o meno superficialmente – pillole di buona e sana dottrina. Tentazioni su cui Francesco ha messo in guardia più d’una volta: “A volte capita di sentire qualcuno che sostiene di confessarsi direttamente con Dio… Sì, Dio ti ascolta sempre, ma nel sacramento della Riconciliazione manda un fratello a portarti il perdono, la sicurezza del perdono, a nome della Chiesa”.
E ancora, “puoi dire ‘Dio perdonami’ e dire i tuoi peccati, ma i nostri peccati sono anche contro i fratelli, contro la Chiesa, e per questo è necessario chiedere perdono alla Chiesa e ai fratelli nella persona del sacerdote”.

Bene internet, insomma, ma non fino al punto da pensare che si possa trasformare la confessione da sacramento a fredda conversazione tramite posta elettronica: “Alcuni – diceva ancora il Papa – dicono ‘io mi confesso con Dio. Ma è facile, è come confessarti per e-mail, no? Dio è là lontano, io dico le cose e non c’è un faccia a faccia. Paolo confessa la sua debolezza ai fratelli faccia a faccia. Altri dicono ‘io vado a confessarmi’ ma confessano cose eteree, nell’aria, che non hanno nessuna concretezza. E quello è lo stesso che non farlo. Confessare i nostri peccati non è andare a una seduta di psichiatria, neppure andare in una sala di tortura: è dire al Signore ‘sono peccatore’, ma dirlo tramite il fratello” e anche avere ‘una sincera capacità di vergognarsi dei propri sbagli’”.

Che il confine tra rete e realtà sia sottile, confermando tutte le paure espresse a più riprese dal Pontefice, lo dimostra il caso che tempo fa coinvolse il servizio Preti online, nato alla fine degli anni Novanta “per dare a chiunque la possibilità di mettersi in contatto con un prete”, visto che “forse molti hanno il desiderio di parlare con un sacerdote, per i motivi più diversi, ma non sempre ne hanno la disponibilità”. Qualcuno, iniziando a chattare con questi sacerdoti, pensava di essersi confessato ed essere stato assolto, tanto da rallegrarsi pubblicamente: mai stato così facile, un click ed è fatta. 
E’ stato necessario, sempre online, che i preti rettificassero: “Il penitente deve accusare i peccati, in presenza fisica, davanti al sacerdote, perché innanzitutto dà lode a Dio per la sua misericordia e il sacerdote, rappresentando la comunità cristiana, sancisce sacramentalmente la riconciliazione con Dio e con la Chiesa. E’ impossibile usufruire per il sacramento di qualsiasi mezzo di comunicazione: posta, telefono, radio, e-mail, messaggistica istantanea”. Insomma, la fila davanti al confessionale bisogna farla, così come sarebbe opportuno andare a messa la domenica non come “un momento di festa, una tradizione consolidata, un’occasione per ritrovarsi o per sentirsi a posto”, diceva qualche tempo fa il Papa durante un’udienza generale in piazza San Pietro, bensì come “incontro con Gesù che fa sentire fratelli quanti partecipano alla celebrazione, fa sentirsi perdonati e pronti a perdonare e fa coerenza tra liturgia e vita”.

mercoledì 17 dicembre 2014

CHE VI E' DI NUOVO IN TUTTO QUESTO?


BENIGNI, WHITMAN, LEOPARDI, GIUSSANI
COSA E' MANCATO A 
"I DIECI COMANDAMENTI"



Walt Whitman
O me, oh vita!

Oh me, oh vita !
Domande come queste mi perseguitano,
infiniti cortei d’infedeli,
città gremite di stolti,
che vi è di nuovo in tutto questo,
oh me, oh vita !

Risposta

Che tu sei qui,
che la vita esiste e l’identità,
Che il potente spettacolo continui,
e che tu puoi contribuire con un verso.

Benigni, che pure ha parlato con intensità di amore, di domanda, di desiderio, di felicità, non ha saputo dare una risposta adeguata alle sfide della realtà che dobbiamo affrontare

Giacomo Leopardi
Al conte Carlo Pepoli

Questo affannoso e travagliato sonno
Che noi vita nomiam, come sopporti,
Pepoli mio? di che speranze il core
Vai sostentando?(…)


Don Giussani 

«Il grande problema del mondo di oggi non è più una teorizzazione interrogativa, ma una domanda esistenziale.
Non: “Chi ha ragione?”, ma:“Come si fa a vivere?”.Il mondo di oggi è riportato a livello della miseria evangelica; al tempo di Gesù il problema era come fare a vivere e non chi avesse ragione.
Questa osservazione cambia anche l’assetto della nostra preoccupazione […] [perché] ciò che caratterizza l’uomo oggi [è]
il dubbio sull’esistenza, la paura dell’esistere, la fragilità del vivere, l’inconsistenza di se stessi, il terrore dell’impossibilità; l’orrore della sproporzione tra sé e l’ideale. Questo è il fondo della questione e da qui si riparte per una cultura nuova, per una criticità nuova»,

(Giussani, 1991, in Tracce n.5/2014)

venerdì 12 dicembre 2014

UN APPELLO AI LIBERI E AI FORTI DA LIBERACESENA

LA POLITICA CESENATE E’ SCHIACCIATA DALLO STRAPOTERE ECONOMICO E ORGANIZZATIVO  DI UN PARTITO CHE LA FA DA PADRONE DA PIU’ DI 40 ANNI.

OCCORRE CHE I LIBERI E I FORTI DIANO UN SEGNO DELLA LORO PRESENZA PER INIZIARE UN NUOVO CORSO CHE PERMETTA ALLE VOCI LIBERE DI OPERARE PER IL BENE COMUNE.

A CESENA VIVE E OPERA UNA COALIZIONE DI FORZE POLITICHE E DI PERSONE CHE, RARO ESEMPIO IN UN PAESE DOVE VIGE IL TUTTI CONTRO TUTTI, DOPO L’ALLEANZA ELETTORALE CONTINUA UNITARIAMENTE AD OPPORSI E A PROPORRE.

DUNQUE, DOPO LA CAMPAGNA ELETTORALE PER LE REGIONALI, CONTINUA A CESENA QUESTO LAVORO POLITICO DELLA COALIZIONE (FI,NCD,UDC,PRI,FDI)

LIBERACESENA.
SONO MOLTI, TROPPI, I PROBLEMI DELLA CITTA’
·        LE TASSE ESORBITANTI
·        GLI SPRECHI
·        LA PIAZZA DELLE LIBERTA’
·        IL FORO ANNONARIO
·        LE COOP ROSSE E I LORO AGGANCI ROMANI
·        LA CONDANNA PER LA QUESTIONE DEI “GESSI”
·        LA MORTE DEL CENTRO
·        LA SICUREZZA
SONO ALCUNE DELLE QUESTIONI CHE UN COMUNE CHIUSO IN SE STESSO NON RIESCE AD AFFRONTARE NELL’INTERESSE DELLA CITTA’ MA SOLO PENSANDO AI PROPRI INTERESSI DI POTERE.

I CONSIGLIERI COMUNALI PRESENTERANNO ALLA CITTA’ IL LAVORO SVOLTO E RISPONDERANNO ALLE DOMANDE DEI CITTADINI

GIOVEDI’ 18 DICEMBRE 
ORE 20,45
SALA CACCIAGUERRA DELLA BCC DI CESENA
VIALE BOVIO 76 CESENA
PARCHEGGIO VIA MATTARELLA 
 PIAZZALE ALDO MORO




UN ALTRO CHE HA CAPITO TUTTO

JESUS NOVEMBRE 2014

SE IL SILENZIO DICE SOLO "NO"

A proposito delle "Sentinelle in piedi"


Articolo di Christian Albini

«Prof., sabato sera in piazza hanno pregato contro i gay». Una mia alunna mi ha informato così della veglia delle Sentinelle in piedi svoltasi il 5 ottobre in più città contemporaneamente.
Per molti cattolici questo movimento è una difesa della famiglia fondata sul matrimonio. Credo invece che sia il caso di aprire una riflessione critica.
Da marito e padre di tre figli non mi sento difeso dalle sentinelle e nemmeno ne avverto il bisogno.
Soprattutto, perché l’essere a favore della famiglia si risolve nell’opporsi al ddl Scalfarotto che estende la legge Mancino anti-discriminazioni ai casi di omofobia, in quanto secondo loro impedirebbe la libertà di espressione. Come se le sorti della famiglia dipendessero da questo.
Le sentinelle veglierebbero: per i diritti delle madri lavoratrici; per gli asili nido; per dissociarsi dal pestaggio di un ragazzo gay?
La mia alunna ha certamente male interpretato, ma l’immagine che appare è questa, se oltre al “no” alla legge non si pronunciano dei “sì”: alla dignità delle persone omosessuali; alla condanna di violenze nei loro confronti; alla positività di due persone che, comunque, si legano in un amore duraturo e fedele.
Ci sono vescovi e teologi favorevoli a una regolazione delle unioni di fatto, senza equipararle al matrimonio. Quando si veglia in un silenzio che non sembra aperto all’ascolto e alla comprensione dell’altro, del suo vissuto, delle sue ragioni, ci si pone di fatto contro di lui. La libertà di opinione sconfina nel pregiudizio.
È fuorviante etichettare le persone omosessuali come un partito antifamiglia: sono uomini e donne animati da un legittimo desiderio di felicità e di vita buona. Perché non partire da qui?
Nel silenzio buono e fecondo nasce una parola che cerca l’incontro, come nella Bibbia. Altrimenti, è mutismo ostile.
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Un altro che ha capito tutto.

Quando si veglia in un silenzio che non sembra aperto all’ascolto e alla comprensione dell’altro, del suo vissuto, delle sue ragioni, ci si pone di fatto contro di lui. La libertà di opinione sconfina nel pregiudizio.



“Puoi dire, o non dire, tutto quello che vuoi, l’importante è che sia come la penso io: altrimenti hai solo pregiudizi intolleranti.”

ANCORA SULLA QUESTIONE ANTROPOLOGICA


Vi chiedo veramente di aprire e ascoltare l'intervento dell'Avv. Gianfranco Amato, Presidente dei Giuristi per la Vita, che ha fatto a Cesena, alla presenza del Vescovo e delle molte associazioni culturali che ne hanno promosso l'evento.
Tema: omofobia.
Comunque ne sarà valsa la pena!



TRASCENDENZA SUSSIDIARIETÀ E VERA COMUNITÀ COSÌ FRANCESCO VUOLE SVEGLIARE LA VECCHIA EUROPA

MONS. GIAMPAOLO CREPALDI

A distanza di qualche giorno dal discorso di papa Francesco al Parlamento europeo di Strasburgo e dopo i numerosi commenti a caldo da parte della stampa, vorrei riprendere quelle sue riflessioni, che rappresentano una nuova tappa degli insegnamenti della Dottrina sociale della Chiesa sull’Europa.


In continuità con i predecessori.
L’Europa di cui parlava san Giovanni Paolo II era molto diversa da quella di oggi. Era l’Europa che sentiva ancora le ferite profonde della Seconda Guerra Mondiale, del comunismo, dei muri. Basta leggere la Centesimus annus, o il libroMemoria e identità, o i numerosi suoi discorsi tra cui anche quello tenuto proprio al Parlamento europeo venticinque anni fa, per cogliere la diversità storica di quella prospettiva rispetto ad oggi. San Giovanni Paolo II si interrogava sul misterium iniquitatis a causa del quale l’Europa, culla dell’umanesimo e del cristianesimo, era diventata il luogo dei totalitarismi disumani che avevano tentato di estromettere Dio dalla vita del Continente. Perfino l’Europa di cui parlava Benedetto XVI, nonostante il breve tempo intercorso, non è più esattamente quella. Egli ne vedeva la vocazione nell’incontro tra ragione e fede cristiana, ma nel frattempo la fede dell’Europa nella ragione si è decisamente indebolita e la capacità della cultura e della politica degli Stati europei e della stessa Unione di rifarsi al deposito normativo contenuto nella natura dell’essere umano ha ulteriormente perso slancio e fiducia. Eppure, nonostante queste diversità, sia Giovanni Paolo II che Benedetto sono presenti nelle parole di papa Francesco a Strasburgo. Questo discorso segue un registro più esistenziale che non storico o filosofico. Ma nelle osservazioni sulla “trascendente dignità” della persona umana e nell’analisi del rapporto tra i due termini – trascendente e dignità – recupera, rinnova e rilancia gli insegnamenti precedenti.

L’Europa e la trascendente dignità della persona.
La dignità della persona umana – ha detto papa Francesco – è stata messa a fuoco in Europa. Ciò non significa che qui essa sia sempre stata rispettata e lo sia tuttora. É certo, però, che in Europa è nata la spinta a rispettarla, a codificarla in un elenco di diritti, a teorizzarla e a mobilitare tante energie per realizzarla. É qui che papa Francesco riprende il grande tesoro delle riflessioni dei suoi due predecessori. La dignità della persona umana può essere vista pienamente senza partire dalla sua trascendenza? Le si può rimanere fedeli, anche nelle difficoltà e quando bisogna pagare qualcosa di caro per farlo, senza essere sostenuti da motivazioni di ordine trascendente? Si può provare pentimento e rimorso quando la si ferisce se non in riferimento ad un obbligo di coscienza trascendente? Giovanni Paolo II, Benedetto, Francesco: tutti dicono che la dignità umana è sì umana, ossia propria dell’uomo, qualcosa di suo, qualcosa che gli appartiene in quanto uomo e che nessuno gli può togliere, ma che non trova però nell’uomo la sua ultima fondazione. O la dignità umana è “trascendente” oppure non è garantita fino in fondo, non è adeguatamente sorretta, non è completamente spiegata. Rimane qualcosa di alto, certamente, ma di assunto come privo del suo fondamento ultimo: assunta ma non fondata. Anche papa Francesco dice che tale dignità non può essere oggetto di deliberazione umana e il Parlamento di Strasburgo, come ogni parlamento umano, deve rispettarla e porsi al suo servizio. Il filo conduttore del discorso di papa  Francesco a Strasburgo è che, senza la trascendenza, le cose umane si corrompono, perché non hanno in se stesse la loro salvezza. Ciò non significa che solo chi crede sia in grado di rispettare la persona umana. Possiamo constatare prove di questo rispetto in tutti. Ma come comunità si finisce per annebbiare la consapevolezza comune circa questa dignità e per introdurre elementi che la corrompono. La difesa della dignità umana è nelle nostre mani, ma la dignità umana non è nelle nostre mani.