I fiori del male
Bruxelles,
capitale dei suicidi e del jihad, dove il cristianesimo si sta spegnendo e a un
gaio nichilismo subentra l’islam
Era il 30 marzo 2013 e Robert Rediger
all’epoca viveva a Bruxelles. Aveva voglia di un drink al bar Metropolis,
capolavoro dell’art nouveau. “Passavo per caso e vidi un cartello che diceva
che il bar avrebbe chiuso quella sera. Ero sbalordito. Ho chiesto ai camerieri.
Hanno confermato; non conoscevano i motivi precisi della chiusura. Adesso tutti
questo stava per scomparire, di colpo, nel cuore della capitale d’Europa… E’
stato in quel preciso momento che ho capito: l’Europa aveva già commesso il
proprio suicidio”. E’ a Bruxelles che Michel Houellebecq celebra la conversione
all’islam di uno dei protagonisti del suo ultimo romanzo “Sottomissione”.
Nei giorni scorsi il Belgio ha raggiunto
un nuovo record: il più alto numero pro capite di combattenti islamici in Siria
e Iraq rispetto a qualsiasi altro paese europeo. Bruxelles è diventata la
capitale della guerra santa, oltre che dell’Unione europea. La prima cittadina
del Vecchio continente a morire sui campi di battaglia del jihad fu Muriel
Degauque, una ragazza belga cattolica originaria di Charleroi, la capitale del
carbone e di quel sobborgo di Marcinelle nei cui cunicoli, una mattina
dell’agosto 1956, trovarono la morte oltre cento operai italiani. Muriel si
convertì all’islam, cambiò il proprio nome in Myriam (un congedo dal Belgio in
cui era nata e cresciuta) e trovò la morte vicino a Baghdad come bomba umana.
Era il 9 novembre 2005. Ma già nel 2001, due giorni prima dell’11 settembre, due
tunisini reclutati in Belgio erano riusciti a farsi passare da giornalisti e a
uccidere, facendosi esplodere, il comandante afghano Massoud, nemico di al
Qaida e dei talebani.
La scoperta del ruolo centrale del
Belgio nello scacchiere del terrorismo è casuale: tutto inizia nel marzo 2004,
quando la polizia olandese ferma un panettiere belga, Khalid Bouloudo, per un
faro dell’auto rotto. Contro di lui c’è un mandato d’arresto internazionale che
lo accusa di essere coinvolto negli attentati di Casablanca. E’ l’operazione
“Asparagi”, prodotto tipico della città fiamminga di Maaseik, dove risiede
Bouloudo. Tra gli arrestati Hassan el Haski, mente degli attentati di Madrid,
Mourad Chabarou, reclutatore di combattenti per l’Iraq, e Youssef Belhadj,
autore del video di rivendicazione di Madrid. Sono affiliati al Gruppo islamico
combattente, in contatto con il gruppo olandese Hofstad, legato all’omicidio di
Theo van Gogh.
Com’è stato possibile che Maaseik, la
città di Van Eyck e Rubens e del cristianesimo belga, sia diventata allora una
centrale del terrorismo islamico in tutta Europa e oggi una delle città con più
reclutamenti per la guerra santa in Siria e Iraq?
Lo chiamano “Belgistan”, è la triste
evoluzione di un paese agiato, annoiato e scettico che non è mai riuscito a
sostituire altri ideali a quelli tramontati dell’impero. Eppure, parlate con un
belga: vi darà la sensazione di un uomo soddisfatto. La questione sociale?
Sotto controllo. La vita famigliare? Decente. Le distrazioni alle fatiche
quotidiane? Abbondano. Paura della guerra? Nessuno ci pensa. E’ la gaia
incoscienza del Belgio, caratteristica del borghese confortato da una sorte
propizia. Un mondo di caffè, di teatri, di circoli municipali, di fanfare
operaie, di vini cordiali, di lavoro per tutti, di conversazioni argute, di
carillons, di librerie, di cooperative prosperose, ricco di umore meridionale
(i belgi sono i meridionali del nord).
Bruxelles era destinata a diventare,
come Londra, Parigi o Atene, il luogo per eccellenza della fusione nazionale.
Doveva funzionare come un crogiuolo, dove si sarebbero mescolati funzionari
valloni, fiamminghi e stranieri e si sarebbe creato l’homo belgicus. Messi fra Germania,
Francia e Olanda, si direbbe che i belgi abbiano assorbito attraverso le
frontiere la brillante grazia dei francesi, la pacata struttura psicologica
degli olandesi, la vocazione al lavoro dei tedeschi. Essi costituiscono
l’esempio massimo di sintesi dell’uomo qualunque europeo, la cerniera di mondo
latino e germanico e con essa l’incontro di due aspetti squisitamente europei
del cristianesimo: il cattolicesimo e la riforma. Eppure, il paese è malato. E
avanza lo spettro di una nuova religione.
Il Belgio, oltre a detenere il record di
jihadisti in Europa, è oggi il primo paese europeo per tasso di suicidi. Sono i
suoi fiori del male. Il più noto suicida è il premio Nobel per la Medicina,
Christian de Duve, che si è ucciso due anni fa tramite iniezione letale in un
surreale, ultimo incontro con i suoi quattro figli. Sei suicidi al giorno.
Duemila all’anno. Con un tasso di suicidio stimato a più di venti ogni 100 mila
abitanti, il Belgio batte tutti i record in Europa occidentale (la media
mondiale è di 14,5 per 100 mila abitanti). Il suicidio è la prima causa di
mortalità tra i belgi che hanno tra i 25 e i 44 anni e la seconda causa, dopo
gli incidenti automobilistici, fra quanti ne hanno tra i 15 e i 24. Una
gioventù bella ma malata. I giovani belgi, afferma con desolazione il
quotidiano Libre Belgique, “soffrono la vita” .
Secondo uno studio, compilato dai
professori Moens, Haenen e Van de Voorde sulla base di dati forniti
dall’Organizzazione mondiale della Sanità, il numero dei suicidi fra i giovani
è aumentato dell’81 per cento rispetto a dieci anni fa. E sono ancora troppi,
affermano gli studiosi di Lovanio, quelli che vengono spiegati in altro modo:
misteriosi incidenti stradali, inspiegabili avvelenamenti che mascherano talora
le reali intenzioni della vittima. E’ la “legge del silenzio” che per motivi
umanitari induce molti medici a risparmiare ulteriore dolore ai genitori e ai
parenti registrando un’altra causa sul certificato di morte. La tragica
statistica si gonfierebbe, inoltre, se andassero a segno alcuni dei tentativi
di suicidio (migliaia) che si registrano ogni anno, e se considerassimo anche
la legge dell’eutanasia, con altre sei morti al giorno. In Belgio è nato anche
il primo “supermercato della morte”. A Flémalle, una cittadina poco lontano da
Liegi. Le lapidi? In quarta fila. Le corone? In fondo a destra. Le bare? A
sinistra.
Un paese dominato dal nichilismo, dove
l’islam è già oggi la prima religione del paese. Nelle scuole di Bruxelles
l’insegnamento della religione musulmana ha superato per numero di studenti
quello della religione cattolica. Lo dice il Centro di ricerca e informazione
sociopolitica: secondo l’indagine, fra i ragazzi degli istituti primari,
nell’ora di religione per scelta delle famiglie il 43 per cento studia l’islam
(una quota che si attesta al 41,4 nei licei); il 27,9 per cento segue corsi di
“morale laica” (ateismo), e solo il 23,3 per cento ha optato per la fede
cattolica.
Già oggi, a Bruxelles un cittadino su
tre è musulmano, e il nome più frequente all’anagrafe fra i nuovi residenti è
Mohammed. Nel 2035 la città sarà a maggioranza musulmana. I grandi momenti
della vita, come battesimi, matrimoni e funerali, in Belgio non sono più legati
alla cristianità, in un paese i cui simboli sono stati a lungo l’Adorazione
dell’agnello di Van Eyck, la Madonna di Bruges di Michelangelo, i quadri di
Bruegel, Memling, Van der Weyde, la cattedrale di Anversa, il cane di
Sant’Uberto e l’università di Lovanio (fondata da Papa Martino V).
A Bruxelles oggi soltanto sette matrimoni
su cento sono cattolici, i bambini battezzati sono solo il 14,8 per cento e i
funerali cattolici si fermano al 22,6 per cento. “E’ la fine del cattolicesimo
sociologico”, dice uno studio del Crisp citato dal quotidiano Le Soir. Di
recente, le autorità belghe hanno deciso che le feste cardine della cultura
europea e cristiana, come Ognissanti, Natale e la Pasqua, dovevano essere
sostituite dalle più neutre “Vacanze d’autunno”, “Vacanze d’inverno” e “Vacanze
di primavera”. Un solstizio laicista. E due anni fa ha debuttato il nuovo
albero di Natale secolarizzato, simbolo di un paese trasparente, senz’anima.
Non più l’abete delle foreste delle Ardenne, ma un Xmas Tree di acciaio, luci e
proiezioni video.
Fu nel 1986 che avvenne la svolta,
quando per la prima volta l’antica università cattolica di Lovanio nominò un
rettore ateo. Fondata nel 1425 per iniziativa del duca Giovanni IV di Brabante,
autorizzato da una bolla pontificia di Martino V, l’ateneo era sempre stato un
centro di cultura umanistica e un caposaldo nella lotta contro la Riforma
luterana. Oggi produce alcune delle idee più progressiste d’Europa. Fu lì che
si riunirono i capi della riforma cattolica, il tedesco Karl Rahner, il belga
Edward Schillebeeckx, padre del “nuovo catechismo olandese”, i francesi Yves
Marie Congar e Marie Dominique Chenu, lo statunitense Gregory Baum, severo
critico dell’enciclica Humanae vitae e lo svizzero-tedesco Hans Küng, teorico
della fallibilità papale. Oggi Lovanio offre il primo corso di laurea in
Teologia islamica in Europa.
Di pari passo, infatti, il Belgio
adottava la forma più radicale di multiculturalismo che l’Europa abbia mai
conosciuto. Nel 1974, il governo belga riconobbe ufficialmente la religione
islamica. Il primo risultato di questo riconoscimento fu l’approvazione, nel
1975, dell’inserimento della religione islamica nel curriculum scolastico. I
musulmani in Belgio sono al 75 per cento praticanti. “Una gioventù
radicalizzata, che rifiuta i valori occidentali”, scrive la giornalista
fiamminga Hind Fraihi: “A Bruxelles, ci sono isole come Molenbeek, dove si
fatica a credere di essere in Belgio”. Il proselitismo intanto straripa.
Il
numero totale dei belgi convertiti all’islam è stimato in 20 mila. Nei
tribunali, la sharia interferisce insidiosamente nei giudizi dei magistrati e
ad Anversa è nata la prima corte che legifera con la legge islamica. Le scuole
pubbliche distribuiscono anche pasti halal. Negli ultimi anni in molti
quartieri di Bruxelles sono scomparse le donne e ricomparsi i veli integrali. I
mercati sono in mano alla comunità musulmana e in molti quartieri non esistono
più macellerie con costolette di maiale. Ad Anderlecht, un comune brussellese
ad alta densità islamica ma anche con un’importante comunità ebraica, non si
contano più gli atti di antisemitismo e gli ebrei stanno fuggendo dal paese
dopo la strage al Museo ebraico della capitale di un anno fa. Gli alloctoni illuminati
come Mimount Bousakla – politica di origine marocchina che attacca il dogma del
multiculturalismo – sono minacciati di morte dai fondamentalisti islamici. A
due passi dalle istituzioni europee, gli imam predicano contro Bruxelles,
“capitale degli infedeli”.
Molte chiese, appena macchiate da
qualche incrostazione della controriforma spagnola, sono rimaste esteriormente
uguali. Ma dentro sono diventate delle moschee, come la Signora del Perpetuo
Soccorso. In una chiesa di Bruges è conservato il “Sangue Santo”, che un conte
di Fiandra riportò dalla Palestina dopo una crociata. Ma il prodigio della
liquefazione, dicono le guide, non avviene più da parecchi secoli. Si è
seccato.
Nessun commento:
Posta un commento