di Robi Ronza
La responsabilità civile dei magistrati vige nel nostro Paese da oltre un
quarto di secolo, ma finora non se ne è accorto quasi nessuno. In tutto questo
tempo infatti in forza di essa si è giunti, soltanto secondo alcune fonti, a
cinque, secondo altre a sei condanne, non una di più.
L’altro ieri - con il voto favorevole della maggioranza, l’astensione di Forza Italia, Lega,
Sel e altri, e il solo voto contrario del Movimento Cinque Stelle - la
Camera ha definitivamente approvato la modifica di cinque cruciali articoli
della legge nota come “legge Vassalli” con cui, nel 1988, la responsabilità
civile dei magistrati era stata introdotta nel nostro ordinamento. Innanzitutto
le Corti d’Appello non sono più chiamate a decidere sull’”ammissibilità” delle
cause in materia: un filtro che aveva sin qui contribuito a ridurle al minimo.
Finora poi il magistrato era punibile solo per “dolo o colpa grave” mentre
adesso può esserlo anche per “inescusabile negligenza”, concetto positivamente
ben più ampio. Inoltre gli si può imputare il “travisamento del fatto o delle
prove”. Tenuto poi conto di quanti e quali danni materiali e morali accade
subiscano in fase istruttoria nel nostro Paese imputati in seguito prosciolti
in sede di giudizio, è molto importante che, in forza delle modifiche ora
introdotte nella legge Vassalli, sia colpa grave per il magistrato anche
l’emissione di un “provvedimento cautelare personale o reale al di fuori dei
casi consentiti dalla legge” o comunque senza adeguato motivo. Tra l’altro, in
forza di tale innovazione non dovrebbero più essere possibili iniziative
obiettivamente sconsiderate come, ad esempio, il sequestro cautelare in quanto
“corpi del reato” dei prodotti delle acciaierie di Taranto pronti per la
consegna, con conseguenti danni all’azienda per svariati milioni di euro.
Felice del risultato, il ministro Guardasigilli Andrea Orlando - che, in grazia dell’impiego,
dovrebbe essere malgrado tutto l’”avvocato d’ufficio” dei magistrati - è
arrivato a dire che d’ora in avanti “la giustizia sarà meno ingiusta”. Il che è
comunque vero, perché dovrebbe esser finito il tempo in cui un giudice poteva
senza adeguati motivi avviare un’indagine, iscrivere qualcuno al registro degli
indagati, sequestrare, arrestare e rinviare a giudizio. Commentando l’entrata
in vigore delle nuove norme, il ministro Orlando ha anche parlato di “momento
storico”. E si può essere d’accordo con lui, non tanto e non solo per il fatto
in sé, ma anche e soprattutto perché l’episodio è sintomatico del venir meno
della principale eredità di “Tangentopoli”, ossia l’alleanza fra il Pd e il
“partito dei giudici”. Di fronte al procedere del disegno di modifica della
legge Vassalli dapprima l’Associazione Nazionale Magistrati, ossia il
“sindacato unico” dei giudici, aveva minacciato lo sciopero, poi rinunciandovi
avendo compreso che la stampa amica del governo era pronta a prenderne spunto
per lanciare una campagna contro la magistratura, e poi aveva chiesto
invano di venire ricevuta da Napolitano e poi da Mattarella. Prendendo la parola
a Firenze alla Scuola Superiore della Magistratura, proprio alla vigilia del
voto sul provvedimento, Mattarella aveva anzi fatto un discorso ammonitore in
cui aveva tra l’altro invitato i giudici a essere “terzi, autonomi e
imparziali” sottolineando che non devono essere “né protagonisti né burocrati
nel processo”.
Tutto questo insieme di fatti e di parole aiuta a capire che insieme a Silvio Berlusconi stanno tramontando
anche i motivi di un’alleanza ormai divenuta ingombrante. Meglio così e
complimenti a Renzi per essere riuscito in un’impresa non meno ardua
dell’analogo processo di distacco del Pd dai sindacati storici, e dalle
procedure neo-corporative che erano riusciti ad imporre a tutti i precedenti
governi.
Il Pd di Renzi sta ricuperando spazi alla politica, anche se
ovviamente lo fa pro domo sua. Resta da vedere se anche nell’area di
centro-destra, oggi allo sbando e dove nessun nuovo leader credibile si delinea
all’orizzonte, finirà per apparire qualcuno in grado di dare rappresentanza
politica a un’area che pur essendo maggioranza del Paese è oggi minoranza
nelle istituzioni.
lanuovabussola 26-02-2015
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