In quello che quasi certamente sarà il suo ultimo discorso sullo stato dell'Unione, Ursula von der Leyen parla tanto di ambiente e ignora o minimizza i problemi che angustiano gli europei
Se l’Unione Europea fosse una barzelletta, bisognerebbe dire che c’è una notizia buona e una cattiva: quella cattiva è che Ursula von der Leyen ha pontificato in un nuovo verbosissimo discorso sullo stato dell’Unione, quella buona è che quasi certamente sarà l’ultimo. Il mandato della presidente tedesca, espressione di quel Partito popolare che ormai non può più vederla neanche dipinta, scadrà l’anno prossimo ed è molto improbabile che venga nuovamente scelta per guidare la Commissione europea.
Il canovaccio green della Von der Leyen
Von der Leyen ha
riutilizzato lo stesso canovaccio, ovviamente di colore verde,
anzi green, dell’anno scorso: ha sottolineato quanto l’Ue sia una potenza che
si batte per il bene, cioè per l’ambiente, e in difesa di tutti i diritti
individuali, purché rigorosamente “nuovi”. Non a caso ha terminato il suo
discorso, durato oltre un’ora, con una frase che deve aver letto su un bacio
Perugina versione europea: «È il momento di mostrare alle giovani generazioni
che possiamo costruire un continente in cui si può essere chi si è, amare chi
si vuole e puntare più in alto possibile».
Saccarosio
a parte, la presidente della Commissione europea ha affrontato alcuni degli
snodi cruciali che attendono l’Unione Europea nei prossimi anni, disseminando
in un mare di vuota retorica proposizioni discutibili, sviste e ruffianate poco
incisive.
I complimenti per placare gli agricoltori
La gran parte del discorso, come prevedibile, è stata dedicata all’ambiente
e alla risposta offerta dall’Europa non al riscaldamento globale, terminologia
troppo poco allarmista e quindi caduta in disuso a Bruxelles, bensì «a un
pianeta in ebollizione». La risposta ovviamente è il Green Deal,
il calderone di leggi e regolamenti che punta a fare dell’Europa il primo
continente climaticamente neutro del mondo ma che in assenza di collaborazione
da parte delle altre potenze, vedi Cina e Stati Uniti, rischia di rivelarsi
inutile per il clima e dannoso per l’industria. Non è un caso se prima
dell’estate Emmanuel Macron ha invocato un rallentamento e una pausa di
riflessione.
Von der Leyen ha innanzitutto espresso il suo «apprezzamento agli
agricoltori» per ringraziarli «perché ci procurano il cibo giorno dopo giorno».
Se pensa che basti un po’ di adulazione per far seppellire alle associazioni di
categoria l’ascia di guerra si sbaglia di grosso. La famigerata
legge per il ripristino della natura, passata nonostante la
bocciatura di tutte le commissioni in cui è transitata, richiede agli Stati
membri di ridurre le terre produttive, le foreste e le aree marine di uno
sbalorditivo 10%.
Agricoltori
e pescatori sono allarmati (eufemismo), l’Europa rischia di diventare
dipendente dall’estero anche per il cibo e la presidente non può davvero
credere che basti dire che «l’autosufficienza alimentare è importante per noi»
per risolvere il problema.
Le auto elettriche sono un problema
Anche sul tema delle auto elettriche, la presidente ha cercato di
accontentare tutti senza riuscirci. Invece che ammettere che l’imposizione
dell’acquisto di soli veicoli elettrici nuovi a partire dal 2035 è una misura
troppo drastica, come molti
dentro la stessa Commissione ormai sostengono, ha affermato che
lancerà un’indagine sui sussidi di cui godono i produttori in Cina.
L’obiettivo è impedire che il mercato europeo venga «inondato da
auto elettriche cinesi a basso costo», ma non basterà qualche
indagine o qualche dazio, che scatenerebbe le ritorsioni di Pechino, per
risollevare un’industria, quella dell’automotive, che Bruxelles
con le sue regole rischia di affossare.
Bordate alla Cina, silenzio sugli Usa
Se da un lato è positivo che Von der Leyen si sia resa conto del problema
che ha creato con la direttiva sulle auto elettriche, dall’altro fa finta di
non sapere che la Cina non è l’unico competitor europeo. Anche gli Stati Uniti
di Joe Biden, mai citati tra i paesi che «distorcono la concorrenza» attraverso
i sussidi, stanno sottraendo investimenti e posti di lavoro all’Europa attraverso i 369
miliardi di sussidi dell’Inflation Reduction Act.
La presidente tedesca dovrebbe sapere che Volkswagen e Bmw hanno cancellato i propri investimenti
in Europa per dirottarli negli Usa. Ma a quanto pare non ha trovato tempo per
parlarne tra un discorso sulle «6.500 specie che arricchiscono la diversità
biologica dell’Europa» e uno sulle «potenti foreste conifere del Nord».
Dov’è «l’Unione geopolitica»?
Quando
poi afferma che l’Ue è diventata una «Unione geopolitica», Von der Leyen fa la
parte della fata turchina, che trasforma i sogni in realtà. Se è vero che i
Ventisette si sono dimostrati (più o meno) uniti nell’appoggiare l’Ucraina
contro l’invasione russa, soprattutto grazie alla forza trainante degli Stati
Uniti, è anche vero che tra i paesi baltici e quelli dell’Europa centrale e
mediterranea le differenze sono enormi. Dall’Africa all’Asia, passando per i
progetti energetici, i paesi europei non si muovono affatto all’unisono dal
punto di vista geopolitico ma continuano ognuno a perseguire i propri interessi
a discapito degli altri. Se passi avanti sono stati fatti negli ultimi anni,
l’Unione geopolitica è ancora molto lontana.
Neanche una parola sulla natalità
Pare incredibile, ma tra i tanti argomenti affrontati la presidente della
Commissione europea non ha trovato il tempo di dire neanche una parola sulla
natalità, uno dei problemi più gravi che affligge l’Europa. L’inverno
demografico infatti ha trasformato il vecchio continente in un continente
vecchio, minandone economia e prospettive. Forse con questo tema in mente, a
Von der Leyen è bastato dire che l’Europa ha bisogno di una «migrazione
qualificata», elogiando lo «spirito del nuovo patto su migrazione e asilo»,
nonostante sia ancora in alto mare e nonostante sul tema migranti, come si vede
dagli atteggiamenti ostili di Germania e Francia in questi giorni, l’Europa non
abbia ancora capito che le coste dell’Italia non sono appena i confini del
Belpaese ma quelli dell’Europa stessa.
A corto di successi da sbandierare, Von der Leyen ha perfino ricordato le
gesta europee sulla distribuzione a tutto il mondo dei vaccini Covid (forse
pensa di essere ancora nel 2021 o 2022) e sulla nascita di ben «38 fabbriche di
acciaio pulito», senza ricordare però, come dichiarato a Tempi da Paolo Sangoi, presidente di
Assofermet Acciai, che «il Green Deal avrà un conto salatissimo. In assenza di
interventi a sostegno delle imprese assisteremo ad una perdita di competitività
destinata a minare seriamente l’export della produzione europea di tutta la
filiera».
L’ultimo discorso della Von der Leyen
«Ciò che
è importante per gli europei è importante per l’Europa», è uno degli slogan
utilizzati da Von der Leyen. Saranno le prossime elezioni a dire se i cittadini
sono rimasti soddisfatti dal lavoro della Commissione. Nessuno ha la sfera di
cristallo, ma dopo il voto la presidente tedesca potrebbe scoprire che la
realtà è molto diversa da quella che propaganda da quattro anni.
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