venerdì 1 settembre 2023

RITORNO AL SAS DLA CRUSC. DAVANTI AL TRONO

Marina Corradi

Sono certa che mi stai dicendo qualcosa, ma non capisco bene. Deve avere a che fare con tanto dolore visto, tramutato in roccia



È, evidentemente, un trono. Alle sette di sera di una bollente giornata di luglio scendo dall’auto, arrivata da Milano, e me lo trovo davanti: rosso fuoco nel tramonto, imponente. Sas dla Crusc, sopra al paese di Badia, come potevo averti dimenticato?

Tu sovrano, adagiato da un evo incalcolabile su questo grembo fecondo di prati in fiore. Tu che da molto prima della Storia sei qui, imperturbabile, e non muovi una fibra della tua faccia di roccia sotto al ghiaccio dell’inverno, o nel calore che stasera, ne sono certa, intiepidisce le tue cime.

Tempeste, epidemie, guerre, e tu lì, uguale. Ricordi, Sas dla Crusc, che quindici anni prima della nascita di Cristo arrivarono qui le legioni romane, e contesero ai Reti questa valle?

M’immagino l’angoscia di quelle genti nello scorgere, dai luoghi di vedetta, l’avanzare delle falangi compatte. E l’impatto delle armi, il clangore delle spade, il sangue, gli stupri. Una deflagrazione di violenza nella valle d’Eden. Quei popoli sottomessi ti guardavano: vedevano forse in te anche loro il trono di un dio, che li aveva traditi? Poi, meno di un anno dopo, nacquero i primi figli delle donne violate: e avevano il rosso dei capelli dei Reti e gli occhi scuri dei Romani. I primi Ladini. L’odio, nel tempo, si stemperò. Ci furono madri che riuscirono a amare, nonostante tutto, quei figli che erano stati violenza e onta. La lingua ladina, dolce, lingua da fiabe, qui si parla ancora.

Quindici anni dopo quei giorni, in un paese molto lontano, venne al mondo Cristo. Ma sarebbe arrivato anche qui, e avrebbe per secoli impregnato queste valli. (Ad ogni passo, ancora oggi, incontri nei campi un crocefisso di legno liso dalle intemperie).

E il Sas dla Crusc stava a guardare. Fame e pestilenze, nei cimiteri fioriti, stretti attorno alle pievi come pulcini alle chiocce, quante croci più piccole: bambini portati via a grappoli dai masi, insieme, da mali di cui oggi sorridiamo. Quante veglie di madri su figli febbricitanti, fino all’alba; quante interminabili attese di figli partiti soldati.

Quanto di dolore hai visto, dal tuo trono? Sono forse incrostazioni di dolore quelle righe orizzontali inscritte nella tua mole? Dolore e preghiere e speranza assorbiti, e mai dimenticati.

Ma nello splendore sfolgorante di questo tramonto la tua massa di materia dura pare trasfigurata. Il sole che cade ti rende rosso e splendente, come se alla fine del giorno tu emanassi, restituissi luce. Ti sto a guardare attonita, la portiera dell’auto ancora aperta, il cofano caldo della corsa da Milano. Come avevo potuto dimenticarti, Sas dla Crusc. E che cosa vuoi dire stasera, alla donna che tanto ti ha interrogato da giovane, e che ormai è quasi vecchia?

Sono certa che mi stai dicendo qualcosa, ma non capisco bene. Deve avere a che fare con tanto dolore visto, ascoltato, tramutato in roccia.

Non intendo bene. Ma starò zitta, in ascolto, a guardarti, in queste sere. Starò in contemplazione. Avverto addosso, da te, l’eco e quasi la promessa di una parola su di me, buona.

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