venerdì 22 settembre 2023

NESSUNA SPERANZA PER GLI ARMENI?

L’Armenia e gli Armeni del Nagorno-Karabakh sono ostacoli geografici, politici e religiosi sulla strada dell’unità turca, e vanno eliminati. Un disegno criminale che la Russia non ha più la forza di contrastare e da cui gli Usa cercheranno di trarre vantaggi

Rodolfo Casadei

 

Un manifesto con la scritta “Karabakh è Azerbaigian!” a Baku (foto Ansa)

Il destino della Repubblica armena dell’Artsakh (Nagorno-Karabakh), già mutilata di gran parte del suo territorio dall’offensiva azera del settembre-novembre 2020, era segnato dalla fine del marzo 2022, quando Mosca ha preso atto del fallimento della sua blitzkrieg su Kiev, e ha spostato tutte le sue truppe sui fronti orientali e meridionali, per quella guerra di posizione che dura fino ad oggi.

In quel momento s’è deciso il destino dell’enclave cristiana del Caucaso, perché la Russia, che aveva tardivamente fermato la marcia azera su Stepanakert del novembre 2020, non avrebbe più potuto essere il gendarme della regione, e anzi avrebbe avuto bisogno di quegli alleati ambigui ma insostituibili che sono la Turchia e l’Azerbaigian, gli avversari giurati delle due repubbliche armene, di quella internazionalmente riconosciuta come repubblica di Armenia e di quella riconosciuta da nessuno, nata dalla secessione e dalla guerra del 1992-94.

Gli armeni sono ostacoli sulla strada dell’unità turca

Erdogan e Aliyev, signori di Turchia e Azerbaigian, sognano l’unità dei popoli turchi e di lingua turca dal Bosforo alle steppe siberiane, passando naturalmente per il Caucaso. Nel 2009 hanno creato l’Organizzazione degli Stati turchi, che comprende Azerbaigian, Kazakistan, Kirghizistan, Turchia (la quale dal luglio 2022 esige che in tutte le sedi internazionali si usi la dizione Türkiye e non più quella anglofona Turkey) e Uzbekistan; membri osservatori sono l’Ungheria, la Repubblica di Cipro Nord (che nessuno al mondo riconosce tranne la Turchia) e il Turkmenistan.

L’Armenia e gli armeni del Nagorno-Karabakh sono ostacoli geografici, politici e religiosi sulla strada dell’unità turca, e vanno eliminati: i secondi attraverso la pulizia etnica, i primi trasformando l’Armenia in uno stato vassallo che verrebbe progressivamente colonizzato da immigrati dalla Turchia e dall’Azerbaigian (secondo il modello di Cipro Nord). Normalmente un disegno del genere solleverebbe l’ira e causerebbe contromisure da parte della Russia, che considera i paesi ex sovietici come parte della sua area di influenza. Ma dopo l’impantanamento in Ucraina la Russia non ha più la forza di contrastarlo apertamente, ed è costretta a limitarsi ad agire (o non agire, come nel caso del Nagorno-Karabakh) in modo tale che l’ascesa turca non vada a vantaggio dell’Occidente.

Le contorsioni di Mosca con Ankara e Baku

Di qui tutte le contorsioni del modus vivendi con Ankara e con Baku. La prima si trova dalla parte opposta della barricata per quanto riguarda gli interessi russi in Siria, in Libia e in Ucraina soprattutto a causa dei diritti storici che la Turchia vanta sulla Crimea e la persistente presenza sul posto di una minoranza tatara che un tempo era maggioranza. Ma la Turchia, che non ha aderito all’embargo occidentale antirusso, è anche il paese al centro delle triangolazioni che permettono a imprese e uomini di affari russi di continuare a esportare e importare merci e servizi aggirando i provvedimenti sanzionatori di Usa e Ue.

L’Azerbaigian è il paese che si è fatto beffe della forza di interposizione russa nel Nagorno-Karabakh, bloccando per mesi il passaggio di merci e persone attraverso il corridoio di Lachin e lanciando attacchi contro lo stesso territorio metropolitano armeno senza che i soldati di Mosca alzassero un dito; che pur non partecipando alle votazioni in sede Onu di condanna dell’invasione russa dell’Ucraina ha inviato a Kiev 27 milioni di dollari di aiuti umanitari fino ad oggi e ha ufficialmente condannato come illegali le recenti elezioni amministrative nelle regioni ucraine del Donbass e del sud occupate e annesse dalla Russia.



Ma l’Azerbaigian è anche – segreto di Pulcinella – il paese che fa sì che il gas e il petrolio russi continuino ad arrivare in Europa nonostante le sanzioni: il gas e il petrolio azeri che l’Europa acquista sono in realtà russi oppure sono sì azeri, ma grazie all’escamotage per cui Baku usa gas importato dalla Russia per il consumo interno e così esporta quello nazionale non più necessario per l’autosufficienza.

Le poche carte in mano al primo ministro armeno

Critiche sproporzionate si stanno abbattendo sulla testa del primo ministro armeno Nikol Pashinyan, accusato di tutto: di avere riconosciuto la sovranità azera sul Nagorno-Karabakh, di avere innervosito Mosca con dichiarazioni e gesti come il rifiuto di ospitare manovre militari dell’Otsc (Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva, l’alleanza militare fra Russia, Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan) mentre ospitava per la prima volta manovre congiunte armeno-statunitensi, di non avere inviato truppe in soccorso dei combattenti dell’Artsakh, costretti a capitolare di fronte a forze sproporzionate alle loro capacità di resistenza.

In realtà il giornalista divenuto capo di governo non aveva carte da giocare: nell’assoluta certezza che Mosca non avrebbe mosso un dito, temeva a ragione che la prevedibile nuova offensiva azera non si sarebbe limitata a riprendere tutto il Nagorno-Karabakh, ma avrebbe investito e occupato per chissà quanti anni a venire anche aree della Repubblica di Armenia (che ha una superficie uguale a quella di Piemonte e Valle d’Aosta sommate). Ha disperatamente bluffato cercando di ingelosire Mosca con dichiarazioni sull’errore strategico armeno di avere cercato garanzie alla propria indipendenza solo nella Russia e con strizzate d’occhio a Bruxelles e a Washington. Putin aveva già deciso di abbandonare gli armeni al loro destino, nel nuovo stato di cose determinato dalla guerra con l’Ucraina. Anche per minimizzare le chances di successo di un’infiltrazione americana nella regione.

La posizione degli Stati Uniti sulla situazione in Artsakh

Ovviamente gli Usa sono apparsi interessati a sfruttare le difficoltà russe nel Caucaso: il 7 agosto la Tom Lantos Human Rights Commission, organismo bipartisan del Congresso americano, ha ascoltato una testimonianza dell’ex procuratore capo della Corte penale internazionale Luis Moreno Ocampo che aveva qualificato come “genocidio in corso” le azioni del governo azero che impedivano i rifornimenti di beni di prima necessità agli abitanti del Nagorno-Karabakh.

Il 14 settembre è stata la volta dell’assistente segretario di Stato per gli affari europei ed euroasiatici signora Yuri Kim a testimoniare di fronte alla Commissione Esteri del Senato americano con parole dal senso inequivocabile, fra le quali mancava non a caso quella di “genocidicio”: «L’amministrazione continua a credere che la pace nel Caucaso meridionale ha il potenziale di trasformare la regione e promuovere gli interessi americani. Abbiamo ora un’opportunità strategica di combattere l’influenza maligna nella regione da parte di attori come Russia, Cina ed Iran, ottenendo una pace durevole che espanderà la nostra cooperazione bilaterale economica e per la sicurezza e fornirà una più grande sicurezza energetica ai nostri partner e alleati occidentali. (…) Concludendo, voglio essere chiara circa una questione di importanza critica: gli Usa non approveranno nessuno sforzo o azione – a breve o a lungo termine – per una pulizia etnica o per l’attuazione di altre atrocità contro la popolazione armena del Nagorno-Karabakh».

Chi non ha nessuna speranza sono gli armeni dell’Artsakh

In buona sostanza, pochi giorni prima dell’offensiva decisiva il governo americano si dichiarava favorevole alla riconquista azera dell’Artsakh perché ciò permette di aprire un’epoca di pace a vantaggio anche della sicurezza energetica degli alleati Nato europei e di ridimensionare l’influenza di Russia e Iran nella regione, e limita la sua simpatia per gli armeni al dissenso nei confronti della pulizia etnica che gli azeri – vedi mai – potrebbero essere tentati di attuare.

Gli Usa cercheranno di trarre vantaggio – in funzione antirussa e antiraniana (gli azeri sono minoranza riottosa all’interno dell’Iran, che per questo motivo ha sostenuto l’Artsakh in funzione anti-Azerbaigian) – dall’espansione turca nel Caucaso, e nello stesso tempo metteranno pressione sui loro ambigui alleati denunciando la pulizia etnica anti-armena che con tutta probabilità condurranno.

La Russia non drammatizza troppo questa prospettiva: a fare i conti con la retorica americana sulla pulizia etnica saranno chiamati turchi e azeri, che per reazione si allontaneranno dall’Occidente e si avvicineranno alla Russia più di quanto già non facciano sottobanco. Gli unici che non hanno nessuna speranza sono gli armeni.

 

https://www.tempi.it/destino-artsakh-era-segnato-da-piu-di-un-anno/

  

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