L’Armenia e gli Armeni del Nagorno-Karabakh sono ostacoli geografici, politici e religiosi sulla strada dell’unità turca, e vanno eliminati. Un disegno criminale che la Russia non ha più la forza di contrastare e da cui gli Usa cercheranno di trarre vantaggi
Un manifesto con la scritta “Karabakh è Azerbaigian!” a Baku (foto Ansa)
Il destino della Repubblica armena dell’Artsakh (Nagorno-Karabakh), già
mutilata di gran parte del suo territorio dall’offensiva azera del
settembre-novembre 2020, era segnato dalla fine del marzo 2022, quando Mosca ha
preso atto del fallimento della sua blitzkrieg su Kiev, e ha spostato tutte le
sue truppe sui fronti orientali e meridionali, per quella
guerra di posizione che dura fino ad oggi.
In quel momento s’è deciso il destino dell’enclave cristiana del Caucaso,
perché la Russia, che aveva tardivamente fermato la marcia azera su Stepanakert del novembre 2020, non avrebbe più
potuto essere il gendarme della regione, e anzi avrebbe avuto bisogno di quegli
alleati ambigui ma insostituibili che sono la Turchia e l’Azerbaigian, gli
avversari giurati delle due repubbliche armene, di quella internazionalmente
riconosciuta come repubblica di Armenia e di quella riconosciuta da
nessuno, nata dalla
secessione e dalla guerra del 1992-94.
Gli armeni sono ostacoli sulla
strada dell’unità turca
Erdogan e
Aliyev, signori
di Turchia e Azerbaigian, sognano l’unità dei popoli turchi e di lingua turca
dal Bosforo alle steppe siberiane, passando naturalmente per il Caucaso. Nel
2009 hanno creato l’Organizzazione degli Stati turchi, che comprende
Azerbaigian, Kazakistan, Kirghizistan, Turchia (la quale dal luglio 2022 esige
che in tutte le sedi internazionali si usi la dizione Türkiye e non più quella
anglofona Turkey) e Uzbekistan; membri osservatori sono l’Ungheria, la
Repubblica di Cipro Nord (che nessuno al mondo riconosce tranne la Turchia) e
il Turkmenistan.
L’Armenia e gli armeni del Nagorno-Karabakh sono ostacoli
geografici, politici e religiosi sulla strada dell’unità turca, e vanno
eliminati: i secondi attraverso la pulizia etnica, i primi trasformando
l’Armenia in uno stato vassallo che verrebbe progressivamente colonizzato da
immigrati dalla Turchia e dall’Azerbaigian (secondo il modello di Cipro Nord).
Normalmente un disegno del genere solleverebbe l’ira e causerebbe contromisure
da parte della Russia, che considera i paesi ex sovietici come parte della sua
area di influenza. Ma dopo l’impantanamento in Ucraina la Russia non ha più la forza
di contrastarlo apertamente, ed è costretta a limitarsi ad agire (o non agire,
come nel caso del Nagorno-Karabakh) in modo tale che l’ascesa turca non vada a
vantaggio dell’Occidente.
Le contorsioni di Mosca con
Ankara e Baku
Di qui tutte le contorsioni del modus vivendi con Ankara e con Baku. La
prima si trova dalla parte opposta della barricata per quanto riguarda gli
interessi russi in Siria, in Libia e in Ucraina soprattutto a causa dei diritti
storici che la Turchia vanta sulla Crimea e la persistente presenza sul posto
di una minoranza tatara che un tempo era maggioranza. Ma la Turchia, che non ha
aderito all’embargo occidentale antirusso, è anche il paese al centro delle
triangolazioni che permettono a imprese e uomini di affari russi di continuare
a esportare e importare merci e servizi aggirando i provvedimenti sanzionatori
di Usa e Ue.
L’Azerbaigian è il paese che si è fatto beffe della forza di interposizione russa nel Nagorno-Karabakh, bloccando per mesi il passaggio di merci e persone attraverso il corridoio di Lachin e lanciando attacchi contro lo stesso territorio metropolitano armeno senza che i soldati di Mosca alzassero un dito; che pur non partecipando alle votazioni in sede Onu di condanna dell’invasione russa dell’Ucraina ha inviato a Kiev 27 milioni di dollari di aiuti umanitari fino ad oggi e ha ufficialmente condannato come illegali le recenti elezioni amministrative nelle regioni ucraine del Donbass e del sud occupate e annesse dalla Russia.
Ma l’Azerbaigian è anche – segreto di Pulcinella – il paese che fa sì che
il gas e il petrolio russi continuino ad arrivare in Europa nonostante le sanzioni:
il gas e il petrolio azeri che l’Europa acquista sono in realtà russi oppure
sono sì azeri, ma grazie all’escamotage per cui Baku usa gas importato dalla
Russia per il consumo interno e così esporta quello nazionale non più
necessario per l’autosufficienza.
Le poche carte in mano al primo
ministro armeno
Critiche sproporzionate si stanno abbattendo sulla testa del primo ministro
armeno Nikol Pashinyan, accusato di tutto: di avere riconosciuto la sovranità
azera sul Nagorno-Karabakh, di avere innervosito Mosca con dichiarazioni e
gesti come il rifiuto di ospitare manovre militari dell’Otsc (Organizzazione
del trattato di sicurezza collettiva, l’alleanza militare fra Russia, Armenia,
Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan) mentre ospitava
per la prima volta manovre congiunte armeno-statunitensi, di non avere inviato
truppe in soccorso dei combattenti dell’Artsakh, costretti a capitolare di
fronte a forze sproporzionate alle loro capacità di resistenza.
In realtà il giornalista divenuto capo di governo non aveva carte
da giocare: nell’assoluta certezza che Mosca non avrebbe mosso
un dito, temeva a ragione che la prevedibile nuova offensiva azera non si
sarebbe limitata a riprendere tutto il Nagorno-Karabakh, ma avrebbe investito e
occupato per chissà quanti anni a venire anche aree della Repubblica di Armenia
(che ha una superficie uguale a quella di Piemonte e Valle d’Aosta sommate). Ha
disperatamente bluffato cercando di ingelosire Mosca con dichiarazioni
sull’errore strategico armeno di avere cercato garanzie alla propria
indipendenza solo nella Russia e con strizzate d’occhio a Bruxelles e a
Washington. Putin aveva già deciso di abbandonare gli armeni al loro destino,
nel nuovo stato di cose determinato dalla guerra con l’Ucraina. Anche per
minimizzare le chances di successo di un’infiltrazione americana nella regione.
La posizione degli Stati Uniti
sulla situazione in Artsakh
Ovviamente gli Usa sono apparsi interessati a sfruttare le difficoltà russe
nel Caucaso: il 7 agosto la Tom Lantos Human Rights Commission, organismo
bipartisan del Congresso americano, ha ascoltato una testimonianza dell’ex
procuratore capo della Corte penale internazionale Luis Moreno Ocampo che aveva
qualificato come “genocidio in corso” le azioni del governo azero che
impedivano i rifornimenti di beni di prima necessità agli abitanti del
Nagorno-Karabakh.
Il 14 settembre è stata la volta dell’assistente segretario di Stato per
gli affari europei ed euroasiatici signora Yuri Kim a testimoniare di fronte
alla Commissione Esteri del Senato americano con parole dal senso
inequivocabile, fra le quali mancava non a caso quella di “genocidicio”:
«L’amministrazione continua a credere che la pace nel Caucaso meridionale ha il
potenziale di trasformare la regione e promuovere gli interessi americani.
Abbiamo ora un’opportunità strategica di combattere l’influenza maligna nella
regione da parte di attori come Russia, Cina ed Iran, ottenendo una pace
durevole che espanderà la nostra cooperazione bilaterale economica e per la
sicurezza e fornirà una più grande sicurezza energetica ai nostri partner e
alleati occidentali. (…) Concludendo, voglio essere chiara circa una questione
di importanza critica: gli Usa non approveranno nessuno sforzo o azione – a
breve o a lungo termine – per una pulizia etnica o per l’attuazione di altre
atrocità contro la popolazione armena del Nagorno-Karabakh».
Chi non ha nessuna speranza sono
gli armeni dell’Artsakh
In buona sostanza, pochi giorni prima dell’offensiva decisiva il governo
americano si dichiarava favorevole alla riconquista azera dell’Artsakh perché
ciò permette di aprire un’epoca di pace a vantaggio anche della sicurezza
energetica degli alleati Nato europei e di ridimensionare l’influenza di Russia
e Iran nella regione, e limita la sua simpatia per gli armeni al dissenso nei
confronti della pulizia etnica che gli azeri – vedi mai – potrebbero essere
tentati di attuare.
Gli Usa cercheranno di trarre vantaggio – in funzione antirussa e
antiraniana (gli azeri sono minoranza riottosa all’interno dell’Iran, che per
questo motivo ha sostenuto l’Artsakh in funzione anti-Azerbaigian) –
dall’espansione turca nel Caucaso, e nello stesso tempo metteranno pressione
sui loro ambigui alleati denunciando la pulizia etnica anti-armena che con
tutta probabilità condurranno.
La Russia non drammatizza troppo questa prospettiva: a fare i conti con la
retorica americana sulla pulizia etnica saranno chiamati turchi e azeri, che
per reazione si allontaneranno dall’Occidente e si avvicineranno alla Russia
più di quanto già non facciano sottobanco. Gli unici che non hanno nessuna
speranza sono gli armeni.
https://www.tempi.it/destino-artsakh-era-segnato-da-piu-di-un-anno/
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