venerdì 29 settembre 2023

ESSELUNGA LA SA LUNGA


Fiutato il vento, gli intelligenti autori della campagna pubblicitaria di Esselunga hanno confezionato un film di ottima qualità, che intitolerei La pesca, e che ha colpito tutti.

Questo è il primo aspetto che vorrei far notare: ha letteralmente colpito tutti, senza eccezione, e leggendo un po’ di commenti sui social si ha addirittura l’impressione che tra i più colpiti ci siano proprio gli indemoniati che sbavano ogni sorta di contumelie contro quel film. In alcuni casi, poi, chi sa leggere non fatica a cogliere, sottotesto, che il film è piaciuto anche a loro, ed è proprio questo che li fa dare di matto.

Perché ha colpito tutti? Io credo perché intercetta un dato di realtà.

Dopo anni e anni in cui la pubblicità non fa altro che imporre, in modo martellante e ossessivo, una rappresentazione del tutto farlocca del mondo in cui viviamo, un semplice accenno alla realtà così com’è può avere un impatto dirompente. Sono anni che ci fanno mangiare “merda ideologica” mattino mezzogiorno e sera, imponendoci di accettare che il mondo, e in particolare la società italiana, sia quella roba che fanno vedere nei loro spot. Anche una massa di schiavi snervati dalla paura e ottusi dall’ignoranza come siamo ridotti noi, ad un certo punto non ne può più.

Questo è il primo, e più superficiale, livello al quale si può dire che quel film coglie un dato di realtà. Non solo in Italia, ma un po’ in tutto il mondo occidentale, qualche refolo di ribellione, qualche segno di resipiscenza, qualche moto di insofferenza contro la valanga di menzogna e stupidità che ci è stata rovesciata addosso si comincia ad avvertire. Forse finirà male, ma intanto c’è. E questa è l’aria che dalle parti di Esselunga devono aver fiutato. Bravi, buon pro gli faccia per i loro affari.

Ma ad un livello più profondo il dato di realtà è un altro, e riguarda i bambini. Questi insopportabili rompiscatole, che la cultura di cui la pubblicità è normale espressione detesta profondamente e che la demografia occidentale sta facendo di tutto per eliminare, esistono ancora (sempre meno, ma ci sono).

E non solo esistono, ma resistono, cioè continuano imperterriti a venire al mondo con la stessa pretesa fondamentale di sempre: quella di avere un babbo e una mamma che stanno con loro.

Questa istanza è universale, perenne, incontrovertibile: tutti i bambini vogliono questo e, nei primi anni di vita, si può dire che “si accontentano”, cioè vogliono solo questo.

Non sono contenti di essere comprati da ricconi capricciosi che pretendono l’impossibile (cioè figli che non possono avere); non sono contenti di avere genitori che o non possono, poveretti, occuparsi di loro perché sono costretti a fare altro, oppure non vogliono, sciagurati, occuparsi di loro perché preferiscono fare altro; non sono contenti neanche di essere “amati separatamente”, e a volte in modo conflittuale, dal babbo e dalla mamma. Tutte cose che la “merda ideoogica” di cui sopra ci obbliga a sostenere apoditticamente.

È vero che la realtà del mondo, dal peccato originale in poi, ha sempre parzialmente frustrato questa istanza fondamentale con cui ogni uomo e ogni donna vengono al mondo: gli orfani ci sono sempre stati, sempre ci sono stati figli di cui i genitori non si sono potuti occupare, e quelli cresciuti in famiglie in cui il babbo e la mamma, lungi dall’amarsi, non si sopportavano neanche. Però nessuno metteva in dubbio che quell’istanza ci fosse, e fosse legittima. La cultura dominante oggi, invece, è la prima che pretende di negarla: i figli di genitori separati – dice la pubblicità – sono contentissimi, basta che abbiano in tutte e due le case la stessa cameretta (purché comperata nel noto mobilificio svedese, che così di camerette in truciolato ne vende due al posto di una).

Ecco, è bastato un bel film di due minuti, in cui la realtà fa capolino, per fare un botto.

Post scriptum. Perché non l’ho chiamato spot pubblicitario, ma sempre film?

Perché tale è, a mio avviso, La pesca (o come diavolo il regista vorrà chiamarlo).

Non me ne intendo molto, ma credo che se prendete il film d’autore italiano standard (quello su una coppia di trentenni in crisi) ci togliete i dialoghi interminabili e pieni di fumisterie pseudointellettuali che dovrebbero far vedere quanto sono intelligenti e colti regista e sceneggiatori; i primi piani che dovrebbero mostrare l’intensa espressività degli attori, e le inquadrature ad effetto di ambienti e paesaggi per esibire il genio artistico del direttore della fotografia, e così da 90 minuti lo riducete a 90 secondi, ottenete La pesca, cioè un prodotto molto migliore. (Recitato decentemente, tra l’altro: si dia subito un premio alla bambina!).

 LEONARDO LUGARESI



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