Mons. Giampaolo Crepaldi
[La rivista Il Timone ha pubblicato nel numero di
luglio-agosto 2023 una indagine realizzata dall’Istituto Euromedia Research di
Alessandra Ghisleri intitolata “Praticanti non credenti”. I numeri del
sondaggio fotografano una credenza cattolica liquida, in piena linea con una religiosità
che riguarda tutto l’Occidente: fluidità, individualismo e mancanza di radici
solide. Il fascicolo pubblica anche una serie di commenti da parte di
personaggi ecclesiali e della società. Pubblichiamo qui l’intervento del
vescovo emerito di Trieste Mons. Giampaolo Crepaldi. Il titolo è redazionale].
I dati
emersi da questa ricerca mettono in evidenza un rilevante problema a lungo
persistente nella Chiesa e tra i fedeli, quello dello scarto tra fede e cultura, già lamentato da Paolo VI e che, nel
frattempo, si è ulteriormente aggravato.Mons. Giampaolo Crepaldi
L’uomo e la donna di fede faticano a vedere le conseguenze della loro fede nei comportamenti sociali e politici e finiscono per condividere ed assumere criteri di giudizio e direttive di azione difformi dalla dottrina della fede e funzionali ad una logica mondana. Uniti nella fede, ma disuniti nella presenza nel mondo? Se fosse solo così, il problema sarebbe grave ma non drammatico: basterebbe concentrarsi nell’aggiustare la coerenza.
Il fatto
è che la divisione nel mondo, davanti alle leggi e alle politiche, testimonia una
divisione anche nella fede.
In particolare, segnala l’idea, ormai diffusa
anche in casa cattolica, che la fede non sia in grado di produrre cultura e
civiltà, accettando così un’idea di secolarizzazione e di laicità della vita
sociale e politica che in realtà sono invece secolarismo e laicismo.
I dati della ricerca evidenziano che oggi molti cattolici hanno scelto per una visione privata della fede, il che rivela delle venature protestanti più che cattoliche.
Un primo fenomeno che aiuta a spiegare
questo preoccupante corso delle cose è la sistematicità e la pervasività della
promozione culturale, da parte dei vari centri di potere mondani, di stili di
vita scorretti e ingiusti, ma presentati massicciamente come buoni e al passo
con i tempi. I grandi network televisivi globali inseriscono nelle
fiction, nei dibattiti, nella pubblicità stessa, modelli di vita familiare
intolleranti nei confronti di quelli naturali e tradizionali.
Il potere
culturale di oggi discrimina chi parla di matrimonio tra uomo e donna o di
apertura alla vita e argomenti come il suicidio assistito e l’eutanasia
cavalcano l’emotività della gente e penetrano nelle coscienze in modo
surrettizio e molto persuasivo. Molti soggetti della cosiddetta società civile
internazionale, ma anche Stati e organismi sovranazionali e internazionali
finanziano economicamente e premono politicamente perché un certo “pensiero unico” si imponga. È come un grande
alluvione che ha colpito anche i cattolici, che ne risultano frastornati e
spesso asserviti. In questo momento sembra che l’agenda delle priorità la
stabilisca il mondo, il quale fa bene la sua parte, come ha sempre fatto, ma
oggi con una intensità e una radicalità maggiori.
Dal punto
di vista della Chiesa e del mondo cattolico la relazione non è sufficiente,
come attestano appunto i dati della ricerca. I motivi sono tanti e più che di
ordine pratico sono di ordine teologico e dottrinale, dato che, alla fine,
ognuno agisce in base a quello che pensa, e così accade anche al fedele
cattolico.
Un punto
importante da ricordare qui mi sembra essere la constatazione fatta da Benedetto XVI, nel suo scritto sugli abusi
nella Chiesa, circa il “collasso della teologia morale cattolica” e
l’allontanamento dal “giusnaturalismo” etico, vale a dire dalla dottrina del diritto
naturale e della legge morale naturale. La recente alta teologia ha eliminato
queste nozioni dalla morale cattolica e questa rimozione ha poi avuto effetti
in basso, nella vita quotidiana del popolo di Dio. I concetti di aborto,
matrimonio, adulterio, convivenza, procreazione, sessualità coniugale,
continenza si sono indeboliti anche tra i cattolici, essendosi perduta l’idea
che sia possibile conoscere la natura di queste fattispecie etiche. Se non si
conosce alcuna natura nelle cose, non si conosce nemmeno la natura, o forma
specifica, delle nostre azioni. Se non si conosce un ordine naturale e
finalistico, allora tutto
viene ridotto a processo, a percorso esistenziale, dove nulla è più conoscibile
oggettivamente, tutto è interpretabile, le azioni vanno accompagnate
dall’interno ma mai giudicate e soprattutto condannate dall’esterno e la legge
morale è considerata una astrattezza che contrasta con la vita concreta.
Non c’è dubbio che l’uomo abbia una storia ed una esistenza, ma questo non
significa che non abbia anche una natura, ossia che sia qualcosa e qualcuno,
con delle inclinazioni naturali che fondano la sua vita morale.
La Chiesa
e il popolo cristiano non possono non domandarsi se stanno ancora educando i
propri figli al giudizio morale. Sui temi caldi che questa ricerca porta alla
luce possiamo dire che la formazione nelle nostre realtà ecclesiali sia molto
scarsa e, quando c’è, anche molto confusa. Quei temi sono spariti anche dalle
omelie, sicché il nostro popolo ode sistematicamente una sola voce. La pastoralità dell’accompagnamento non
dovrebbe escludere la formazione al giudizio sulla realtà, perché accompagnare
significa anche aiutare a discernere il vero in sé.
Spesso
però la esclude, fino al punto di sostenere che il cristianesimo non è un’etica
(certo che non è un’etica, ma ha un’etica) o che la legge nuova permette di non
rispettare quella antica dei comandamenti. Parallelamente è pressoché
inesistente e talvolta fuorviante anche la formazione alla Dottrina sociale
della Chiesa, il cui scopo è proprio di collegare stabilmente fede e vita
sociale e politica, Chiesa e mondo.
Per giudicare la realtà ci vogliono i criteri, se al nostro popolo non
vengono dati i criteri, allora il nostro popolo non sarà in grado di giudicare
e, spinto da una generica tolleranza ed emotiva simpatia, penserà di fare il
proprio dovere accettando quanto la vita sociale propone e adeguandovisi. Oggi lo sguardo
evangelicamente critico del cattolico nei confronti delle proposte del mondo si
è come annebbiato, anzi, in molti casi si vive come un dovere cristiano di non
essere critici.
Tutto
questo può spiegare, senza giustificare, come mai molti cattolici siano a
favore di azioni che la dottrina morale della Chiesa ha sempre considerato
ingiuste, non siano più in grado di capire perché siano ingiuste avendone
dimenticato i criteri di valutazione, e si oppongano ai loro fratelli che
vorrebbero mantenersi fedeli a quei criteri. Questa interna divisione su
aspetti fondamentali della vita morale del cattolico non va sottovalutata.
Essa, purtroppo, viene animata da molti
interventi spericolati che, anziché confermare i fedeli nella verità, seminano
il dubbio e creano incertezze e disorientamento. Il dialogo, che viene
sempre richiamato in questi casi, non è la soluzione del problema e l’accoglienza va riservata a tutti ma non a
tutto. Davanti ad una
legge ingiusta non è sufficiente invitare alla discussione perché la moralità
non si fonda sull’esito di un dibattito pubblico.
Molti
cattolici sentono oggi il bisogno di ricominciare, creando piccole comunità
nelle quali sia sostenuta la coerenza tra fede e vita sociale e politica.
Disorientati, si impegnano a recuperare i principi e i criteri, soffrendo un
diffuso adeguamento a quelli del mondo. Possono essere di stimolo alla Chiesa
intera se con essa non perdono i legami.
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