mercoledì 31 gennaio 2024

PER PLACARE I MUSULMANI, LE NOSTRE UNIVERSITÀ ORA CANCELLANO LE LEZIONI SULLA SHOAH. E LE CROCIATE?

GIULIO MEOTTI

Viviamo un vergognoso tramonto culturale. Nella città dove Mohammed è il primo nome, si vende anche la cattedrale, il muezzin chiama ogni giorno e chi critica l'Islam è sotto scorta

UTRECTH

"L’Europa non perdonerà mai gli ebrei per Auschwitz”, scrive il romanziere olandese Leon de Winter. Paradossale? Non poi così tanto. E forse nella testa di molti europei, l’Islam è lo strumento per mettere fine a questo paradosso psicologico. Basta pensare che il 7 ottobre Hamas ha sfollato 1.894 sopravvissuti alla Shoah e in Europa le strade si sono infiammate per gli islamici.

L'Università di Utrecht, la quarta città più grande dell’Olanda, ha appena cancellato un ciclo di conferenze sull'Olocausto, perché "non può essere garantita la sicurezza dei relatori, degli studenti, degli insegnanti e dei visitatori". L’università ha capitolato alle minacce dei filo-palestinesi. "Il motivo è che vogliamo facilitare un dialogo diversificato ed equilibrato su questo tema” dice il rettore in wokkese. “Abbiamo bisogno di più tempo per collocare gli eventi del 7 ottobre e successivi in una prospettiva più ampia, con spazio per opinioni e convinzioni diverse".

Fantastico, no? Ora per placare i musulmani le università europee cancellano i corsi sulla Shoah. E i corsi sulle crociate? E il colonialismo? E la storia delle religioni?

 


Naftali Furst in rosso ed Elie Wiesel in giallo

Chissà cosa ne pensa Naftali Fürst, uno dei prigionieri ritratti dal fotografo americano Harry Miller nel campo di Buchenwald dove morirono molti ebrei di Utrecht in una delle immagini simbolo della Shoah (sotto di lui, Elie Wiesel). Il nipote di Naftali la mattina del 7 ottobre si è salvato per miracolo nel kibbutz di Kfar Aza, dove Hamas ha ucciso 62 di 900 abitanti.

Frits Bolkestein sul Wall Street Journal ricordava che all’Università di Utrecht il professor Van der Horst voleva parlare dell’antisemitismo islamico nella sua lectio prima della pensione e l’università glielo ha impedito.

Stessa storia in Inghilterra. Corsi sulla Shoah questa settimana sono cancellati nelle scuole a causa delle “tensioni comunitarie” (leggi, la violenza islamica). L’attrice inglese Maureen Lipman ha detto che “non c’è un posto sicuro oggi in cui essere ebrei in Inghilterra”.

Poi ci si meraviglia che gli asili intitolati ad Anne Frank in Germania vogliano cambiare nome.

C’è poco da stare allegri in Eurabia. E a Utrecht non si scherza con gli islamisti: in un attentato nel centro della città hanno fatto tre morti.

 


L’opera dell’artista olandese Dries Verhoeven a Utrecht

 un gigante bianco caduto dal piedistallo: Sic transit gloria mundi

 “Non mi ha sorpreso che l'Università di Utrecht volesse rinviare una conferenza sull'Olocausto, ma sono rimasto sorpreso quando c'è stata una certa agitazione” commenta ironico Max Pam sul Volkskrant. Sono stato a Utrecht nel lontano 2009 per un’inchiesta giornalistica sull’islamizzazione dell’Olanda e già allora capii che vivevamo un osceno momento di caos culturale.

Benvenuti in una città conquistata!

Mohammed è il primo nome fra i nati a Utrecht e le moschee chiamano alla preghiera con gli altoparlanti ogni giorno.La piscina Den Hommel ogni lunedì sera offre lezioni per “soli uomini musulmani”. La sharia suffragata in nome della non discriminazione.Un professore di origine iraniana, Afshin Ellian, lavora all'Università di Utrecht, dove è protetto da guardie del corpo.

 


Il cardinale di Utrecht e primate d’Olanda, Willem Eijk, che io vorrei tanto vedere come Papa dopo la lunga decadenza bergogliana, ha detto che se la tendenza dovesse continuare entro il 2028 l’intera arcidiocesi di Utrecht, la più grande del paese e l’unica dove ancora esiste una presenza cristiana, potrebbe “scomparire”. Eijk ha espresso il timore che delle 300 chiese che l'arcidiocesi di Utrecht conta ancora, nel 2028, quando lui andrà in pensione, ne rimarranno meno di una ventina. "Già oggi in teoria una sola chiesa sarebbe sufficiente per tutti i credenti attivi a Utrecht”, spiega Trouw. La previsione di Eijk è rafforzata dalla decisione di mettere in vendita anche la cattedrale di Santa Caterina, l’edificio-simbolo del cattolicesimo olandese fin dal 1560.

 Sic transit gloria Europae. Il continente che conoscevamo tra poco non esisterà più. Ma chi se ne ricorderà?

 GIULIO MEOTTI

 GEN 31/24

domenica 28 gennaio 2024

CATTOLICI E POLITICA: UN GIUDIZIO DALLA ROMAGNA

Dopo l'incontro del 24 gennaio del vescovo di Cesena Douglas Regattieri con i giornalisti in occasione del patrono, san Francesco di Sales, l'ex assessore alla Regione Lombardia, il cesenate Romano Colozzi, ha inviato un suo scritto circa la rilevanza dei cattolici in politica dopo la dissoluzione della DC.

Carissimi, nell'incontro di ieri tra il vescovo Douglas e i giornalisti mi ha molto colpito quanto è stato detto in relazione alle prossime elezioni amministrative: 

"Monsignor Regattieri rimpiange il tempo della Democrazia cristiana, partito dei cattolici?”

«Lo rimpiango – ha risposto il vescovo – vedendo la dispersione dei cattolici e il fatto che non è stato trovato il modo per essere significativamente presenti». «In questi anni con il giovane sindaco di Cesena ho creato un bel rapporto, ci sentiamo spesso. Ciò non toglie che le visioni siano molto diverse, ma ci accomuna l’attenzione ai poveri»".

La nettezza di questo giudizio è tale da spingere ad una seria riflessione (e ad un conseguente giudizio) tutti i cattolici cesenati, il cui atteggiamento politico riassumerei, semplificando, in tre fondamentali posizioni: chi é favorevole all'attuale amministrazione(retta da 50 anni dal PD), fino a collaborare attivamente con essa; chi si oppone ad essa frontalmente, sostenendo partiti di diversa collocazione politica; chi é sostanzialmente disinteressato alle vicende politiche, ritenendo che non abbiano a che fare con la propria identità di cattolici. 

Il giudizio di monsignor Regattieri mi sembra contenga alcuni spunti che dovrebbero guidare questo lavoro di giudizio e che schematizzerei così

Mons. Douglas Regattieri

- la mancanza di unità politica dei cattolici non é un valore, ma é un di meno di cui si prende atto (col desiderio, magari, che si possa superare l'attuale dispersione)
- la presenza politica dei cattolici non é riuscita a trovare modalità di presenza significativa (in altre parole, é stata una presenza non visibile o non sufficientemente efficace)
- il rapporto umanamente positivo con il sindaco PD Enzo Lattuca non ha fatto venire meno il fatto di avere "visioni molto diverse"
- il disinteresse dei cattolici per la presenza sociale e politica non è un bene, tanto é vero che si auspicherebbe una presenza più significativa (qui la memoria corre al richiamo di Papa Francesco fatto proprio a Cesena nel 2018) a "non stare al balcone").

Credo che la rilevanza di quanto detto dal nostro vescovo sia tale da meritare che non solo singolarmente, ma anche a livello ecclesiale si individuino modalità per prendere sul serio questo importante richiamo.

Romano Colozzi - Cesena

 

venerdì 26 gennaio 2024

REMI BRAGUE: L'OCCIDENTE STA IMPAZZENDO E LA NOSTRA CIVILTÀ RISCHIA DI SCOMPARIRE.

 Intervista al filosofo Rémi Brague, grande studioso di filosofia ebraica. "Per vigliaccheria, anche i sani di mente tacciono sulle esplosioni di follia che segano il ramo in cui siamo seduti" di Giulio Meotti

23 GEN 2024


Sembra di essere precipitati nel mondo descritto da Alasdair Macintyre in Dopo la virtù, in cui il pensatore americano immagina che la ragione abbia subito le conseguenze di una catastrofe e che i filosofi non riescano più a comprendere di essere affondati in un caos senza senso.

Per lo scrittore britannico Gilbert Keith Chesterton (1874–1936), il mondo moderno era “saturo di vecchie virtù cristiane divenute folli”. Riflessione da cui parte il celebre filosofo Rémi Brague in Des vérités devenues folles. Docente di Filosofia alla Sorbona che alla Ludwig-Maximilian-Universität di Monaco ha occupato la cattedra Romano Guardini, fra i massimi studiosi di Medioevo ebraico e islamico (ha curato i trattati di etica e logica di Maimonide), Brague è qui a colloquio con me.

Perché il progetto moderno ha un tale impatto sul nostro patrimonio intellettuale e morale?

Per via del mantra ‘facciamo tabula rasa’, questa voglia di ripartire da zero spazzando via le eredità del passato. Si tratta di sospendere tutto ciò su cui vivevamo per costruire su una base completamente nuova, o di deviare capitali dai mondi antichi per servire i nuovi obiettivi di questo mondo moderno. Abbiamo così progressivamente perso il senso della continuità e dello sviluppo. Tuttavia, credo che la continuità dovrebbe essere uno dei diritti fondamentali dell’umanità, per usare le parole di Charles Dupont-White, ‘la continuità è un diritto umano’. Perché che ci piaccia o no, siamo eredi. I fisici spiegano che gli atomi che compongono il nostro corpo sono comparsi pochi secondi dopo il big bang. Naturalmente, questo non significa che la storia sarebbe il nostro codice, ma richiede un certo rispetto per ciò che è stato, se non altro per non segare il ramo dell'albero su cui siamo seduti. La continuità è la condizione della continuazione: se ci tagliamo fuori da tutto ciò che ci precede, siamo obbligati a fermarci per mancanza di carburante. Questo è ciò che mi spinge a dare un significato positivo al termine ‘tradizione’. La tradizione ha, infatti, un vantaggio: ha prodotto la nostra gente. D’altra parte, non è detto che i nostri stili di vita contemporanei possano produrre un futuro.

Come spiegare questo rifiuto della continuità?

Viene dal sogno di non dipendere da nient'altro che da te stesso. La libertà che capiscono molti nostri contemporanei è quella della caduta libera della pietra o anche la libertà del taxi vuoto, che non va da nessuna parte e che chiunque può prendere e portare dove vuole purché possa pagare.

Qual è la follia ideologica più pericolosa del nostro mondo contemporaneo?

Ce ne sono così tante che è difficile sceglierne una. Soprattutto perché le follie si susseguono così rapidamente che è difficile stargli dietro e ogni ondata è una sorpresa. Solo alcuni osservatori molto attenti della realtà quotidiana, tra i quali non ci sono io, riescono a prevederle fin dall'inizio. Così la mania del wokismo era imprevista e i tentativi di farne l'erede del movimento per i diritti civili e, collegandolo ad esso, di prenderne in prestito una legittimità morale, sono ingannevoli. Ma il peggio si trova forse tra le persone in buona salute mentale, che reagiscono solo debolmente a tutti questi scoppi di follia, il più delle volte per vigliaccheria, per paura di essere visti come reazionari, antiquati o "fuori dal mondo".

Qual è l'idea più folle del mondo moderno?

L’idea di un progresso irresistibile che ci avrebbe portato verso ‘vette radiose’, per dirla con Stalin. Il XX secolo, con due guerre mondiali e i genocidi, è arrivato a mandare in frantumi questa illusione. Ora cercano di venderci le cosiddette riforme ‘sociali’ affermando che costituiscono un progresso. Ma chi ci dice che si stanno muovendo nella giusta direzione?

lunedì 22 gennaio 2024

EGUALITARISMO: NON IN NOME DELLA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA

Mons. Giampaolo Crepaldi

 GEN 2024

Pubblichiamo l’editoriale del “Bollettino di Dottrina sociale della Chiesa” n. 4 (2023) dedicato a “Egualitarismo: palla al piede della modernità politica“.

La Dottrina sociale della Chiesa parla di uguaglianza tra gli uomini, ma non parla mai di egualitarismo. Parla di giustizia, ma la giustizia è dare a ciascuno il suo, il che presuppone che ci sia una diversità tra coloro che si attendono giustizia.

La Dottrina sociale della Chiesa parla di destinazione universale dei beni, ma non la intende come la distribuzione della stessa fettina di torta ad ogni uomo, indipendentemente da tutto il resto, come se fosse un sussidio universale privo di criteri applicativi.

La Dottrina sociale non ha mai accettato la democrazia moderna intesa come egualitarismo elettorale capace di determinare il bene e il male, il giusto e l’ingiusto. Perfino nella famiglia, la società naturale più ugualitaria nel senso che si fonda sull’amore, essa riscontra una “autorità”, quella paterna, che quindi gerarchizza i rapporti.

Nella sua concezione della proprietà privata, la Dottrina sociale non ha mai ceduto al collettivismo socialista o comunista, non ha mai pensato che lo Stato debba essere unico proprietario in modo da garantire così l’eguaglianza economica assoluta dei cittadini, non ha mai ritenuto che l’eguaglianza consistesse nell’essere una massa di pecore obbedienti. Essa ha anche criticato lo Stato assistenziale che deresponsabilizza la persona e i corpi sociali, incaricandosi di provvedere a tutti i bisogni pubblici dei cittadini tramite elargizioni a pioggia e servizi sociali invasivi.

La Dottrina sociale della Chiesa non ha mai ritenuto che i cittadini siano dei puri individui irrelati, astratti, sommabili tra loro perché identici, costituenti una massa indistinta e tutta uguale posti in modo allineato ed egualitario davanti al potere, ma ha sempre parlato di società naturali, di gruppi intermedi, di organicità e soggettività della società civile, vale a dire di armonica diversità e di organica pluralità.

La Dottrina sociale della Chiesa non ha mai detto che tutte le opinioni sono uguali, che nessuna debba essere censurata anche quando è diseducativa, che i cattivi maestri debbano avere nello spazio pubblico lo stesso posto in cattedra dei buoni maestri, che le libertà moderne debbano essere considerate assolute, che diseducare sia uguale che educare, che corrompere abbia lo stesso valore di rendere virtuosi. Non ha nemmeno detto che maschio e femmina siano due modalità indifferenti, scambiabili, tra le quali si possa scegliere senza alcun riferimento a differenze complementari di natura e non ha mai sostenuto che il potere pubblico debba riconoscere per legge il diritto a scegliere, secondo le percezioni di sé di carattere psicologico, se essere uomo o donna, applicando il principio di autodeterminazione.

Questo principio è oggi alla base dell’egualitarismo, nonostante sembri il riconoscimento del pluralismo. Esso, infatti, rende tutte le scelte uguali, tutte dotate di un valore, tutte da accettare e da disciplinare, tutte da difendere e garantire.

L’autodeterminazione rende insignificanti i contenuti, assolutizza la scelta e quindi rende le scelte tutte uguali. La scelta si qualifica per la bontà della cosa scelta, bontà che non deriva dalla scelta, ma l’egualitarismo etico odierno qualifica la scelta solo per se stessa, e quindi tutte le scelte sono buone, perché nessuna ha un senso indipendente dalla scelta stessa.

L’egualitarismo qui diventa relativismo assoluto, ossia nichilismo. Le nostre società egualitarie scivolano verso il nulla. Se la dignità delle persone sta nel fatto di scegliere, e se qualsiasi scelta va messa quindi sullo stesso piano, si dovrà impedire che si possa scegliere che non tutte le scelte sono ammissibili. Ci sarà solo una scelta forzatamente impedita, quella che sceglie che la scelta non è un assoluto. Da qui il totalitarismo dell’egualitarismo, che impone il relativismo e l’uguaglianza di tutto con tutto e di tutti con tutti.

Le società egualitariste sono sempre state totalitarie, dai Falansteri di Fourier alle Comuni cinesi.

 Lo sono anche le società liberali postmoderne per le quali tutto deve essere accettato e collocato alla pari come su uno scaffale di un supermercato, salvo poi, però, mettere cartellini con il prezzo molto diversi tra loro. Se non ci sono differenze e tutto è uguale, l’unica differenza rimane quella fondata sulla forza, anche economica. Se tutto è uguale, allora tutto si può comperare e vince chi si può permettere spese maggiori.

La Dottrina sociale della Chiesa non ha mai sostenuto che la morte e la vita siano la stessa cosa, e che tra convivenze di fatto eterosessuali, convivenze omosessuali, matrimoni civili e famiglie fondate sul matrimonio religioso si sia una indifferenza di fondo. Una famiglia in cui i genitori sono divorziati è una famiglia spezzata nel dolore e non può essere considerata uguale ad una famiglia unita nell’amore. Tra figli e animali non è la stessa cosa, il modo con cui si concepisce un figlio non è qualcosa di indifferente, l’esercizio della sessualità non è intercambiabile e diversamente funzionale.

Le religioni non sono tutte uguali, la ragione e le emozioni non sono ugualmente capaci di darci la verità come può fare l’intelletto, le morali personali e pubbliche non hanno tutte diritto alla stessa udienza, le migrazioni non devono produrre una società multireligiosa e multiculturale omogeneizzata e forzatamente egualitarista, proprio perché le religioni non sono tutte uguali.

S.E. Mons. Giampaolo Crepaldi

Invitiamo  ad acquistare il fascicolo [euro 8] e a sottoscrivere l’abbonamento per il 2024 (quattro numeri monografici, euro 30). sul sito 

https://vanthuanobservatory.com/2023/12/13/egualitarismo-palla-al-piede-della-modernita-politica-bollettino-4-2023/


domenica 21 gennaio 2024

ECOLOGIA INTEGRALE. CONTRO L'INDIVIDUALISMO

 Simona Beretta ordinario di Politiche economiche internazionali all’Università Cattolica di Milano


Non è facile parlare di transizione ecologica. Non lo è perché il rischio, elevato, è quello di cadere in polarizzazioni o stereotipi che poco o nulla aiutano a capire di cosa stiamo parlando. La lotta per le risorse del pianeta che scatena conflitti e genera povertà e migrazioni, l’impoverimento dei beni della Terra, la disoccupazione giovanile e le sue drammatiche conseguenze: non sono temi slegati tra loro, ma profondamente connessi. A monte delle tante storture che il mondo vive, spiega Beretta,, c’è una percezione sbagliata del nostro rapporto con il Mistero. Astrazione? Assolutamente no. «Oggi porsi il problema della transizione ecologica, della cura del creato, non è più scontato perché ci concepiamo solo come individui, quindi facciamo fatica a sentirci membri di una comunità. Pensiamo che il mondo, gli altri, siano qualcosa di assolutamente lontano da noi, così come la politica e le istituzioni. Invece l’apertura cattolica, l’apertura all’universale è un tratto a cui ci si può educare, ci si deve educare».

Cosa intende per “apertura all’universale”?
Nei Pensieri improvvisi Andrej Sinjavskij racconta di un contadino che si ferma sotto le stelle dell’immensa steppa russa, le guarda e si fa il segno della croce. In quel momento, dice Sinjavskij, quell’uomo ha un legame con l’universo incomparabilmente più significativo di chi si siede sul divano, indossa stivaletti di pelle di importazione cecoslovacca e fuma il sigaro cubano. La globalizzazione non è fumare il sigaro cubano. La vera percezione del mondo ce l’hai quando sei capace di guardare le stelle. Immedesimarci nell’esperienza degli altri è l’unico strumento che abbiamo per capire la povertà, le migrazioni, l’impoverimento delle risorse della Terra. E quindi, eventualmente, agire. Siamo chiamati a uscire dalla nostra bolla.

Oggi siamo in otto miliardi di persone sulla Terra, ma l’accesso alle risorse è estremamente sbilanciato…
Viviamo in un mondo popoloso, la percentuale di giovani è la più grande mai registrata nella storia: oltre il 40% della popolazione mondiale ha meno di 24 anni – oltre tre miliardi di persone – concentrata nel sud del Mediterraneo. È una cosa bella, eppure la situazione è problematica: la disoccupazione lavorativa e intellettuale giovanile è una realtà a tutte le latitudini. Chi dovrebbe essere portatore delle risorse umane più brillanti, più vivaci, è tagliato fuori dal contribuire a costruire il mondo, mentre le gerontocrazie sono la norma. E oltre all’aspetto demografico ce n’è un altro decisivo: l’accesso ai beni materiali non è garantito a tutti. La maggior parte della popolazione non ha accesso al cibo, all’istruzione, alla sanità, alla partecipazione sociale e politica. Manca il lavoro. Questo crea un’enorme diseguaglianza di opportunità concrete di partecipare in modo degno alla vita.

Il tema della mancanza di lavoro è sentito ovunque.
Non possiamo pensare che una società si sviluppi in maniera sana se la gente non ha lavoro. Come si fa a creare lavoro? Non c’è una ricetta. Si può creare reddito in maniera falsa, ma non lavoro: in esso l’uomo esprime il suo diritto e dovere di partecipazione. La dignità dell’uomo passa dal poter lavorare. Una delle ricerche che stiamo facendo in Cattolica si intitola “Working out of poverty”, è un progetto che studia come uscire dalla povertà attraverso relazioni stabili di accompagnamento. Pensiamo a quale differenza c’è tra un ente che fa solo assistenzialismo e uno che invece si fa carico della persona nella sua interezza, la spinge a muoversi di fronte a una proposta realistica e ragionevole. Ricordo ancora la bellissima frase di monsignor Eugenio Corecco, vescovo di Lugano molto amico di don Giussani, esposta fuori dalla Caritas ticinese, in Svizzera: «Il povero è sempre di più del suo bisogno». È tutto lì. Non risolviamo la povertà, la disoccupazione o il problema ambientale tecnocraticamente o moralisticamente. Chiediamoci piuttosto con realismo quali sono i nessi fra povertà e ambiente, perché l’ambiente si degrada o si risana; andiamo a studiare la differenza sostanziale tra assistenzialismo e promozione della capacità di autosufficienza delle persone perché siano protagoniste.

Esiste un modo equilibrato di affrontare a livello socio-economico queste problematiche?
Non esistono soluzioni facili. Il primo punto da riguadagnare è il principio della dignità della persona, che è l’asse portante dell’insegnamento sociale cristiano e della Dottrina sociale della Chiesa. Vivere in una comunità è parte essenziale della dignità della persona perché le dà la possibilità di partecipare al bene comune e costruire il domani. Solo che viviamo in un’epoca in cui abbiamo appiattito l’orizzonte temporale: il futuro ci spaventa ma non entra nella nostra autocomprensione del presente, di cosa significa per noi lavorare o consumare. Non abbiamo idea di come iniziare i processi di cambiamento.

Come mai?
Siamo abituati a tempi veloci, alla reazione istantanea, istintiva, emozionale e non all’immedesimazione con un universo più grande di noi, con una realtà economica, sociale, politica più grande dei nostri piccoli interessi. Così affrontiamo solo i piccoli problemi con strumenti di tipo tecnocratico, con un uso della scienza frammentato che non sa più tenere insieme tutti i pezzi. Ad esempio, non sappiamo più cosa sia davvero il lavoro universitario, mentre un tempo le università erano il luogo dove in qualche modo si cercava una comprensione unitaria del mondo. Costruire nessi è il grande lavoro che il contadino russo faceva contemplando le stelle nella steppa e che compete a ciascuno. Altro esempio, relativo alla transizione ecologica: sembra che non si riesca più a percorrere la via dell’insieme, cioè il multilateralismo. Questa è la constatazione, molto realistica, rilanciata dal messaggio che il Papa ha preparato per la Cop28 del dicembre scorso. Dice anche che questa generazione deve porre le fondamenta di un nuovo multilateralismo, uscendo dai particolarismi nazionali e anche dalle secche di dibattiti sterili fra catastrofisti e negazionisti climatici. Un cambiamento necessario, ma «non ci sono cambiamenti duraturi senza cambiamenti culturali» (Laudate Deum, 70).

Si può educare tutti a una transizione ecologica?
Certamente, si deve! Per rimanere alla Cop28, il messaggio di Francesco per l’inaugurazione del Faith Pavillion afferma che il dramma climatico è un dramma religioso, la cui radice sta nella presunzione di autosufficienza della creatura. L’incontro fra le comunità religiose, nel nostro mondo plurale, è un modo realistico di agire per un cambiamento culturale. Guardiamo al messaggio cristiano – che è tutto fuorché moralista (“devi essere vegetariano”, “devi consumare poca acqua”, “devi consumare poca energia”) – quando ci ricorda che c’è un senso, c’è un destino comune che non è estraneo all’esperienza personale. L’essere radicati nella realtà e la certezza del destino permettono di tracciare una strada. La consapevolezza di dove siamo e di qual è il nostro compito permette di camminare, non importa quanto intricati siano i problemi, perché tutto è connesso. Il metodo del cammino è quello della dignità umana: chiunque incontriamo è destinatario del dono di Dio che ci ha fatti tutti a Sua immagine. Lo è il migrante che tenta la traversata del Mediterraneo e lo è chi fugge dalla sua terra desertificata artificialmente per estrarre le terre rare. Da questo punto di vista la Fratelli Tutti è potentissima. E arriva a toccare un tema decisivo per la transizione: il principio della destinazione universale dei beni.

Che cosa significa nel concreto?
La proprietà privata è un bel concetto, ma solo dentro l’orizzonte della destinazione universale. Oggi l’uomo cerca di accaparrarsi tutto: risorse e perfino le stelle. Faccio una domanda banale: di chi sono i minerali preziosi che si trovano in Africa? Di chi ha il potere. Da qui nascono le guerre: da una pretesa sulla realtà. Viviamo immersi in quello che papa Francesco chiama «paradigma tecnocratico»: guardiamo la realtà come un oggetto, non sappiamo più vedere il mistero di cui è intessuta. Una soluzione può esistere solo dentro una fraternità, che è la nostra identità più profonda: la vera giustizia, cioè dare a ciascuno il suo, nasce da qui. Però attenzione: serve un giudizio, senza giudicare la realtà siamo perduti.

Cosa intende?
Il giudizio significa l’impegno totale della persona, della sua intelligenza e del suo cuore, di fronte alla realtà. Questo è quello che dice la Caritas in Veritate

, un’enciclica che sarà vera anche fra cento anni perché ha la semplicità di affermare che Cristo è il principio che muove lo sviluppo della persona e lo sviluppo dell’umanità. I problemi del mondo li risolviamo dentro questa capacità, questo desiderio, almeno, di tenere insieme intelligenza e amore.

Ma gli sforzi del singolo non rischiano di essere insufficienti?
No, mai. Sono quei gesti che cambiano la storia. E faccio due esempi. Il primo riguarda Dorothy Day che diceva: «Voglio un realismo religioso. Voglio qualcuno che preghi per vedere le cose come stanno e per fare qualcosa al riguardo». La sua non era una vita a posto, ma lei ebbe questa intuizione, la consapevolezza direi, che i poveri ci sono e bisogna aiutarli. E come ha fatto? Usando cuore e intelligenza ha aperto la sua piccola casa e lì, non altrove, ha cominciato a scrivere la rivista The Catholic Worker e a fare l’accoglienza ai poveri. Bisogna pregare di capire quali sono le cause reali della povertà, del disagio, altrimenti metteremo a punto solo palliativi.

E il secondo esempio?
Un dettaglio della Laudate Deum che mi ha molto colpito. Al punto 38 dice che se i popoli si incontrano (mi viene da pensare alle grandi tradizioni religiose) diventa possibile un multilateralismo “dal basso” e non semplicemente deciso dalle élite del potere.

Torniamo alla transizione e alle sue conseguenze: anche le istituzioni hanno il loro ruolo. Noi, in Europa, come possiamo affrontarla? Se guardiamo al tema delle migrazioni, ad esempio, non si trovano grandi intese tra i Paesi.
Riscoprendo il compito di questo straordinario Continente. Figure come Schumann, Adenauer e De Gasperi – e qui sta il loro genio – hanno interpretato il senso del popolo, il senso radicale di fratellanza che è la cifra dell’Europa. Un’Europa che ha potuto vivere, nonostante tutte le guerre, un comune intendersi legato alla certezza (oggi persa) che siamo fratelli perché amati da Dio. Leo Moulin, il noto sociologo belga, ha cercato di capire come si sono evolute le istituzioni e la tecnologia in Europa e i suoi studi oggi sono fondamentali per capire che direzione prendere. Era un grande fan dei cistercensi: avevano intuito per primi che erano necessarie elezioni democratiche (l’abate), studiavano nuove tecnologie e dal loro genio sono nati non solo birra e marmellata, ma anche le strade che hanno connesso l’Europa. Questo è un patrimonio che buttiamo via, se pensiamo che l’Europa sia un problema di bilanciamento degli equilibri di potere. L’Europa, dice Moulin, è grande perché storicamente è sempre stata aperta all’altro, investita da nuovi flussi di diversi, con le “invasioni” che hanno generato via via forme originali di convivenza. Non dimentichiamo che l’Europa dei monasteri ha davvero coltivato e custodito la terra in modo armonioso! Servi di Dio, padroni della tecnica e non succubi della tecnocrazia. La deriva tecnocratica ci ha privati invece della capacità di entrare con cordialità totale nell’esperienza dell’altro. Ma è solo quest’ultimo sguardo che cambia l’organizzazione sociale e cambia anche la capacità di innovare, di creare istituzioni, di fare politica, di avviare processi di cambiamento virtuosi e di pensare a una transizione ecologica di ampio respiro.

Su "Tracce" di Gennaio Maria Acqua Simi

 

giovedì 18 gennaio 2024

PAPA FRANCESCO CATECHESI: LA LUSSURIA

 UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 17 gennaio 2024
 

Catechesi. I vizi e le virtù. 4. La lussuria 

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Proseguiamo il nostro itinerario sui vizi e le virtù; e gli antichi Padri ci insegnano che, dopo la gola, il secondo “demone” , cioè vizio, che sta sempre accovacciato alla porta del cuore è quello della lussuria. Mentre la gola è la voracità nei confronti del cibo, questo secondo vizio è una sorta di “voracità” verso un’altra persona, cioè il legame avvelenato che gli esseri umani intrattengono tra di loro, specialmente nella sfera della sessualità.

Si badi bene: nel cristianesimo non c’è una condanna dell’istinto sessuale. Un libro della Bibbia, il Cantico dei Cantici, è uno stupendo poema d’amore tra due fidanzati. Tuttavia, questa dimensione così bella della nostra umanità, la dimensione sessuale, la dimensione dell’amore, non è esente da pericoli, tanto che già San Paolo deve affrontare la questione nella prima Lettera ai Corinzi. Scrive così: «Si sente da per tutto parlare di immoralità tra voi, e di una immoralità tale che non si riscontra neanche tra i pagani” (5,1). Il rimprovero dell’Apostolo riguarda proprio una gestione malsana della sessualità da parte di alcuni cristiani.

Ma guardiamo all’esperienza umana, all’esperienza dell’innamoramento. Qui ci sono tanti sposi novelli, voi potete parlare di questo! Perché questo mistero accada, e perché sia un’esperienza così sconvolgente nella vita delle persone, nessuno di noi lo sa. Una persona si innamora di un’altra, l’innamoramento viene. È una delle realtà più sorprendenti dell’esistenza. Buona parte delle canzoni che si ascoltano alla radio riguardano questo: amori che si illuminano, amori sempre ricercati e mai raggiunti, amori carichi di gioia, o che tormentano fino alle lacrime.

Se non viene inquinato dal vizio, l’innamoramento è uno dei sentimenti più puri. Una persona innamorata diventa generosa, gode nel fare regali, scrive lettere e poesie. Smette di pensare a sé stessa per essere completamente proiettata verso l’altro, è bello questo. E se chiedete a un innamorato: “per quale motivo tu ami?”, non troverà una risposta: per tanti versi il suo è un amore incondizionato, senza nessuna ragione. Pazienza se quell’amore, tanto potente, è anche un po’ ingenuo: l’innamorato non conosce veramente il volto dell’altro, tende a idealizzarlo, è pronto a pronunciare promesse di cui non coglie subito il peso. Questo “giardino” dove si moltiplicano meraviglie non è però al riparo del male. Esso viene deturpato dal demone della lussuria, e questo vizio è particolarmente odioso, almeno per due motivi.

Anzitutto perché devasta le relazioni tra le persone. Per documentare una realtà del genere è sufficiente purtroppo la cronaca di tutti giorni. Quante relazioni iniziate nel migliore dei modi si sono poi mutate in relazioni tossiche, di possesso dell’altro, prive di rispetto e del senso del limite? Sono amori in cui è mancata la castità: virtù che non va confusa con l’astinenza sessuale – la castità è più che l’astinenza sessuale –, bensì va connessa con la volontà di non possedere mai l’altro.

Amare è rispettare l’altro, ricercare la sua felicità, coltivare empatia per i suoi sentimenti, disporsi nella conoscenza di un corpo, di una psicologia e di un’anima che non sono i nostri, e che devono essere contemplati per la bellezza di cui sono portatori. Amare è questo, e l’amore è bello. La lussuria, invece, si fa beffe di tutto questo: la lussuria depreda, rapina, consuma in tutta fretta, non vuole ascoltare l’altro ma solo il proprio bisogno e il proprio piacere; la lussuria giudica una noia ogni corteggiamento, non cerca quella sintesi tra ragione, pulsione e sentimento che ci aiuterebbe a condurre l’esistenza con saggezza. Il lussurioso cerca solo scorciatoie: non capisce che la strada dell’amore va percorsa con lentezza, e questa pazienza, lungi dall’essere sinonimo di noia, permette di rendere felici i nostri rapporti amorosi.

Ma c’è una seconda ragione per cui la lussuria è un vizio pericoloso. Tra tutti i piaceri dell’uomo, la sessualità ha una voce potente. Coinvolge tutti i sensi, dimora sia nel corpo che nella psiche, e questo è bellissimo, ma se non è disciplinata con pazienza, se non è inscritta in una relazione e in una storia dove due individui la trasformano in una danza amorosa, essa si muta in una catena che priva l’uomo di libertà. Il piacere sessuale, che è un dono di Dio, è minato dalla pornografia: soddisfacimento senza relazione che può generare forme di dipendenza. Dobbiamo difendere l’amore, l’amore del cuore, della mente, del corpo, amore puro nel donarsi uno all’altro. E questa è la bellezza del rapporto sessuale.

Vincere la battaglia contro la lussuria, contro la “cosificazione” dell’altro, può essere un’impresa che dura tutta una vita. Però il premio di questa battaglia è il più importante in assoluto, perché si tratta di preservare quella bellezza che Dio ha scritto nella sua creazione quando ha immaginato l’amore tra l’uomo e la donna, che non è per usarsi l’un l’altro, ma per amarsi. Quella bellezza che ci fa credere che costruire una storia insieme è meglio che andare a caccia di avventure – ci sono tanti don Giovanni! –, coltivare tenerezza è meglio che piegarsi al demone del possesso – il vero amore non possiede, si dona –, servire è meglio che conquistare. Perché se non c’è l’amore, la vita è triste, è triste solitudine. Grazie.

 

lunedì 15 gennaio 2024

THE COST OF ”MAKING A MESS”

Il costo del “fare casino”

Di seguito segnalo all’attenzione e alla riflessione dei lettori di questo blog l’articolo scritto da Charles J. Chaput, O.F.M. Cap., arcivescovo emerito di Filadelfia, e pubblicato su First Things

Charles J. Chaput, arcivescovo emerito di Philadelphia

Uno degli standard che la Chiesa usa per misurare la qualità dei suoi leader è una semplice frase della Scrittura: “Dio non è autore di confusione, ma di pace” (1 Cor 14, 33). 

Così era per Paolo. Così è oggi. Così è per i pastori e i vescovi locali, compreso il vescovo di Roma. La confusione tra i fedeli può spesso essere dovuta a individui innocenti che ascoltano ma non comprendono la Parola. L’insegnamento confuso, tuttavia, è un’altra questione. Non è mai giustificabile. La trasmissione della verità cristiana richiede prudenza e pazienza, perché gli uomini non sono macchine. Ma richiede anche chiarezza e coerenza. L’ambiguità deliberata o persistente – tutto ciò che alimenta l’incomprensione o sembra lasciare spazio a un comportamento oggettivamente peccaminoso – non è da Dio. E si traduce inevitabilmente in un danno per le anime individuali e per la nostra vita ecclesiale comune.

Ne parlo per un motivo. Un mio amico protestante, studioso della Riforma, il 18 dicembre ha inviato un messaggio ai suoi amici cattolici con la notizia che “Francesco ha scatenato il caos nella vostra comunione”. Si riferiva al testo Fiducia Supplicans (“Sul significato pastorale delle benedizioni”). Il Dicastero di Roma per la Dottrina della Fede (DDF), guidato dal Cardinale Victor Manuel Fernández, stretto collaboratore di Papa Francesco, lo aveva appena pubblicato quel giorno. Il documento è un doppio esercizio per affermare e sminuire contemporaneamente l’insegnamento cattolico sulla natura delle benedizioni e sulla loro applicazione alle relazioni “irregolari”. Ed è stato subito interpretato come un cambiamento significativo nella pratica della Chiesa. Padre James Martin, da tempo sostenitore delle istanze LGBTQ, è stato prontamente fotografato mentre benediceva una coppia gay in un articolo del New York Times in cui si leggeva:

Padre James Martin S.J.

Padre Martin aveva atteso per anni il privilegio di poter dire una preghiera del genere, per quanto semplice, all’aperto. “È stato molto bello”, ha detto martedì, “poterlo fare pubblicamente”.

La decisione del Papa è stata accolta come una vittoria storica dai sostenitori dei cattolici gay, che la descrivono come un significativo gesto di apertura e di cura pastorale, e come un promemoria del fatto che un’istituzione la cui età si misura in millenni può cambiare.

L’articolo del Times prosegue riconoscendo che “la decisione non ribalta la dottrina della Chiesa secondo cui il matrimonio è tra un uomo e una donna”. Né “permette ai sacerdoti di celebrare matrimoni tra persone dello stesso sesso”. Ma il sapore dominante e l’obiettivo di fondo dell’articolo sono stati colti al meglio dai vari uomini gay intervistati che hanno parlato della Chiesa che “si sta avvicinando” alla legittimità delle relazioni tra persone dello stesso sesso e delle coppie dello stesso sesso che “rivendicano il nostro spazio”.

Da dove cominciare? Innanzitutto, un ruolo chiave del Papa è quello di unificare la Chiesa, non di dividerla, soprattutto su questioni di fede e di morale. Ha il dovere analogo di unire i vescovi e non di dividerli.

In secondo luogo, un compito essenziale di un pastore amorevole è quello di correggere e accompagnare. Le benedizioni devono incoraggiare, ma anche, quando necessario, sfidare. Le persone che vivono unioni sessuali omosessuali e altre unioni non matrimoniali hanno bisogno di un accompagnamento stimolante da parte della Chiesa. Papi, vescovi, sacerdoti e diaconi sono chiamati dalla loro vocazione a essere profeti e pastori. Papa Francesco sembra spesso separare questi ruoli, mentre Gesù stesso li ha sempre incarnati entrambi nel suo ministero. Le sue parole alla donna colta in adulterio non furono semplicemente “I tuoi peccati sono perdonati”, ma anche “Va’ e non peccare più”.

In terzo luogo, le relazioni che la Chiesa ha sempre considerato peccaminose sono ora spesso descritte come “irregolari”. Questo neutralizza la realtà del comportamento moralmente difettoso e porta alla confusione su ciò che possiamo o non possiamo chiamare “peccato”.

Infine, mentre il documento non cambia di fatto l’insegnamento della Chiesa sul matrimonio, sembra cambiare l’insegnamento della Chiesa sulla peccaminosità dell’attività omosessuale. Il matrimonio non è il punto della Fiducia Supplicans. Il punto è la natura morale delle unioni omosessuali, e questa è una distinzione cruciale.

sabato 13 gennaio 2024

UN CHIARIMENTO CHE CONFONDE?

AMERICA MEDIA, LA RIVISTA DEI GESUITI AMERICANI,

DIFENDE IL DOCUMENTO SULLE BENEDIZIONI OMOSESSUALI:

NON E’ ERETICO

 

 


Una bandiera arcobaleno è visibile sul muro di una chiesa cattolica a Colonia, in Germania, il 10 maggio 2021, mentre l'edificio è aperto affinché le coppie dello stesso sesso ricevano una benedizione. (Foto dell'OSV News/Thilo Schmuelgen, Reuters)

Il Dicastero per la Dottrina della Fede ha emesso un comunicato stampa il 4 gennaio “per aiutare a chiarire l’accoglienza della Fiducia Supplicans”, la dichiarazione emessa dal dicastero il 18 dicembre che consentiva di impartire benedizioni semplici o pastorali alle coppie in situazione irregolare, comprese le unioni omosessuali. Rimproverando alcuni critici, il comunicato stampa insisteva sul fatto che la dichiarazione non poteva essere considerata eretica, ma riconosceva che i vescovi locali potevano discernere come applicarla, a condizione che non negassero totalmente la possibilità di tali benedizioni pastorali.

Sebbene quella dichiarazione originale affermasse che tali benedizioni erano per le coppie, non per la situazione particolare in cui si trovavano le due persone – divorziati e risposati o conviventi tra persone dello stesso sesso – ciò suscitò accese discussioni e persino polemiche in tutta la Chiesa cattolica. . Ha anche provocato reazioni contrastanti, addirittura contraddittorie, da parte dei vescovi di alcuni paesi e reazioni ampiamente negative in alcune nazioni africane, così come in Polonia e Ungheria .

Il cardinale Victor Manuel Fernández e mons. Armando Matteo, rispettivamente prefetto e segretario del dicastero, hanno firmato il documento originale e la dichiarazione odierna. Sembrano aver concluso che molti vescovi e sacerdoti non hanno letto adeguatamente il documento o lo hanno letto attraverso lenti ideologiche. Nel comunicato chiarificatore raccomandano “una lettura completa e calma della Dichiarazione per comprenderne meglio il significato e lo scopo”.

Secondo alcuni in Vaticano, con queste cinque pagine di chiarimento sotto forma di comunicato stampa, il DDF cerca di eliminare gran parte della confusione sorta sia da una lettura frettolosa del documento originale, sia da un'insufficiente comunicazione nella sua presentazione iniziale o dalla sua falsa rappresentazione in alcuni media. In molti casi, la dichiarazione è stata presentata come se il Papa approvasse le benedizioni per le unioni tra persone dello stesso sesso, piuttosto che benedizioni per le coppie in tali unioni o in situazioni matrimoniali irregolari.

Una comprensione più ampia delle benedizioni

Il cardinale Fernández e monsignor Matteo spiegano ancora che la dichiarazione del 18 dicembre, approvata dal papa, “contiene una proposta di benedizioni pastorali brevi e semplici – non liturgiche né ritualizzate – delle coppie in situazioni irregolari, ma non delle loro unioni, sottolineando che si tratta di benedizioni senza formato liturgico che non approvano né giustificano la situazione in cui si trovano queste persone”.

Il comunicato stampa sembra indicare che gli alti funzionari del DDF ritengono che gli elementi teologici più importanti della dichiarazione non siano stati adeguatamente compresi nella sua prima recezione. Sottolineano che “la vera novità di questa Dichiarazione, quella che richiede uno sforzo generoso di accoglienza e dalla quale nessuno deve dichiararsi escluso, non è la possibilità di benedire le coppie in situazioni irregolari”. Piuttosto «è l'invito a distinguere tra due diverse forme di benedizione: 'liturgica o ritualizzata' e 'spontanea o pastorale'».

Il comunicato rileva che il “contributo specifico e innovativo” della dichiarazione è “al significato pastorale delle benedizioni, [il corsivo nel comunicato] , consentendo un ampliamento e un arricchimento della comprensione classica delle benedizioni che è strettamente legato a una prospettiva liturgica”.Gli autori sottolineano che questa “riflessione teologica, fondata sulla visione pastorale di Papa Francesco, implica un reale sviluppo di quanto detto sulle benedizioni nel Magistero e nei testi ufficiali della Chiesa”.

La dichiarazione, hanno detto, intende fornire una comprensione più ricca e ampia delle benedizioni in un contesto pastorale. Di conseguenza, la dichiarazione richiede ai vescovi e ai sacerdoti “di riflettere [su questa comprensione più ampia] serenamente, con il cuore di pastori, liberi da ogni ideologia”.

Inoltre, sottolineano i massimi funzionari del DDF, «sebbene alcuni vescovi considerino prudente non impartire per il momento queste benedizioni, dobbiamo tutti crescere ugualmente nella convinzione che le benedizioni non ritualizzate non sono una consacrazione della persona, né della coppia. chi li riceve, non sono una giustificazione di tutte le sue azioni, e non sono un’approvazione della vita che conducono”.

Hanno spiegato che il Papa chiede a vescovi e sacerdoti di comprendere queste benedizioni come un “semplice gesto di vicinanza pastorale, che è un mezzo per promuovere l’apertura a Dio in mezzo alle circostanze più diverse”.