Intervista al filosofo Rémi Brague, grande studioso di filosofia ebraica. "Per vigliaccheria, anche i sani di mente tacciono sulle esplosioni di follia che segano il ramo in cui siamo seduti" di Giulio Meotti
23 GEN 2024
Sembra di essere precipitati nel mondo descritto da Alasdair Macintyre
in Dopo la virtù, in cui il pensatore americano immagina che la
ragione abbia subito le conseguenze di una catastrofe e che i filosofi non
riescano più a comprendere di essere affondati in un caos senza senso.
Per lo scrittore britannico Gilbert Keith Chesterton (1874–1936), il mondo
moderno era “saturo di vecchie virtù cristiane divenute folli”. Riflessione da
cui parte il celebre filosofo Rémi Brague in Des vérités devenues
folles. Docente di Filosofia alla Sorbona che alla
Ludwig-Maximilian-Universität di Monaco ha occupato la cattedra Romano
Guardini, fra i massimi studiosi di Medioevo ebraico e islamico (ha curato i
trattati di etica e logica di Maimonide), Brague è qui a colloquio con me.
Perché il progetto moderno ha un tale impatto sul nostro patrimonio
intellettuale e morale?
Per via del mantra ‘facciamo tabula rasa’, questa voglia di ripartire da
zero spazzando via le eredità del passato. Si tratta di sospendere tutto ciò su
cui vivevamo per costruire su una base completamente nuova, o di deviare capitali
dai mondi antichi per servire i nuovi obiettivi di questo mondo moderno.
Abbiamo così progressivamente perso il senso della continuità e dello sviluppo.
Tuttavia, credo che la continuità dovrebbe essere uno dei diritti fondamentali
dell’umanità, per usare le parole di Charles Dupont-White, ‘la continuità è un
diritto umano’. Perché che ci piaccia o no, siamo eredi. I fisici spiegano che
gli atomi che compongono il nostro corpo sono comparsi pochi secondi dopo il
big bang. Naturalmente, questo non significa che la storia sarebbe il nostro
codice, ma richiede un certo rispetto per ciò che è stato, se non altro per non
segare il ramo dell'albero su cui siamo seduti. La continuità è la condizione
della continuazione: se ci tagliamo fuori da tutto ciò che ci precede, siamo
obbligati a fermarci per mancanza di carburante. Questo è ciò che mi spinge a
dare un significato positivo al termine ‘tradizione’. La tradizione ha,
infatti, un vantaggio: ha prodotto la nostra gente. D’altra parte, non è detto
che i nostri stili di vita contemporanei possano produrre un futuro.
Come spiegare questo rifiuto della continuità?
Viene dal sogno di non dipendere da nient'altro che da te stesso. La
libertà che capiscono molti nostri contemporanei è quella della caduta libera
della pietra o anche la libertà del taxi vuoto, che non va da nessuna parte e
che chiunque può prendere e portare dove vuole purché possa pagare.
Qual è la follia ideologica più pericolosa del nostro mondo contemporaneo?
Ce ne sono così tante che è difficile sceglierne una. Soprattutto perché le
follie si susseguono così rapidamente che è difficile stargli dietro e ogni
ondata è una sorpresa. Solo alcuni osservatori molto attenti della realtà
quotidiana, tra i quali non ci sono io, riescono a prevederle fin dall'inizio.
Così la mania del wokismo era imprevista e i tentativi di farne l'erede del
movimento per i diritti civili e, collegandolo ad esso, di prenderne in
prestito una legittimità morale, sono ingannevoli. Ma il peggio si trova forse
tra le persone in buona salute mentale, che reagiscono solo debolmente a tutti
questi scoppi di follia, il più delle volte per vigliaccheria, per paura di
essere visti come reazionari, antiquati o "fuori dal mondo".
Qual è l'idea più folle del mondo moderno?
L’idea di un progresso irresistibile che ci avrebbe portato verso ‘vette
radiose’, per dirla con Stalin. Il XX secolo, con due guerre mondiali e i
genocidi, è arrivato a mandare in frantumi questa illusione. Ora cercano di
venderci le cosiddette riforme ‘sociali’ affermando che costituiscono un
progresso. Ma chi ci dice che si stanno muovendo nella giusta direzione?
Lei dice che la famiglia è diventata un ostacolo per lo Stato.
Perché lo Stato, secondo la sua stessa logica, ha interesse a essere
l'unica autorità a cui può rivolgersi un individuo isolato. L'esistenza della
famiglia, di qualsiasi corpo intermediario, costituisce un ostacolo all'azione
dello Stato. Perché per lo Stato dobbiamo ricevere ciò che meritiamo, né più né
meno. Ma questo non avviene all’interno della famiglia: amiamo i nostri figli
qualunque cosa facciano. La logica della famiglia non è quella dello Stato e
tanto meno quella del mercato. Per questi ultimi, la situazione ideale è quella
del consumatore isolato che fa la spesa al supermercato e che non ha altra
preoccupazione se non quella di minimizzare la spesa e massimizzare il
profitto. Lo Stato ha dunque lo stesso ideale del mercato: una società (se
possiamo ancora usare questo termine) che non è altro che un pulviscolo di
individui isolati gli uni dagli altri, atomi umani che comunicano solo
attraverso l'intermediazione dello Stato e del mercato. La famiglia è la più
elementare delle istituzioni intermedie, quella su cui si fondano tutte le
altre. Solo essa permette all'individuo di diventare una persona. E solo essa
assicura la perpetuità della specie biologica che siamo anche noi. Possiamo
aspettarci un attacco sempre più violento. Dopo il "matrimonio"
omosessuale, il prossimo passo sarà probabilmente la poligamia. Ripeto che lo
Stato e il mercato vanno nella stessa direzione, sono in sizigia, come si dice
in astronomia (fase di congiunzione lunare). In certi ambiti, possiamo sperare
che l'uno dia all'altro regole severe, cosa che a volte riesce a fare
abbastanza bene. Ma non ci si deve aspettare che favorisca o addirittura
rispetti i corpi intermedi, che vedrà sempre come possibili rivali. È una
tendenza che va avanti da secoli, in forme diverse.
Il "genere" è un concetto grammaticale. Si differenzia dal
"sesso", che è un concetto biologico che riguarda direttamente il
modo in cui una specie vivente assicura la propria perpetuità riproducendosi.
Il "genere" è artificiale, il "sesso" naturale. Finora i
due concetti sono stati legati dall'istituzione del matrimonio. È presente, in
forme diverse, in tutte le civiltà. Permetteva di incanalare e nobilitare l'istinto
di riproduzione trasformandolo in una relazione tra persone. Il desiderio
poteva essere trasfigurato diventando amore. Il passaggio da un vocabolario a
un altro è più di un evento linguistico. È il sintomo di un'esigenza: quella di
un abbandono radicale della dimensione biologica dell'essere umano.
Ora chiedo all'uomo di cultura. È convinto che possiamo riprenderci da
questa follia? L'ideologia woke ha depotenziato le identità e le coscienze,
infiacchendo l'Occidente…
L'uomo di cultura che vorrei essere è piuttosto morigerato, persino
pessimista. So che la mia "equazione personale" è grigia e ne
diffido. D'altra parte, sono un po' appassionato di storia e ho letto che
l'umanità è stata in grado di riprendersi da una serie di follie.
L'iconoclastia bizantina ha ridotto il numero di icone primitive a poche, e poi
la venerazione delle icone ha preso il sopravvento. Le crisi del millenarismo
nel Medioevo, le processioni dei flagellanti, ecc. hanno lasciato poche tracce.
Le jacqueries scatenate dalla Riforma luterana portarono alla distruzione di
statue e immagini prima di essere abbattute nel sangue dai principi tedeschi.
Il Terrore si concluse con il Termidoro. Il nazismo fu sconfitto sul campo di
battaglia e la Germania fu costretta a una revisione radicale, una sorta di
conversione. Il leninismo è crollato di sua iniziativa nel 1991, ma non ha dato
luogo a un processo di Norimberga. Il personale dirigente è rimasto lo stesso,
senza l'ideologia, che è certamente un grande passo avanti, ma con le abitudini
che l'ideologia aveva incoraggiato o addirittura prodotto. Un grave errore, di
cui stiamo ancora pagando il prezzo. Quanto alle follie sulla sessualità, si
elimineranno da sole, perché sono sterili. Il movimento woke può solo
distruggere, ma non ha nulla di positivo da offrire. Se eliminiamo dalla
cultura del passato tutto ciò che può suscitare un'obiezione da parte di questo
o quel gruppo, non rimarrà nulla. Oppure ci saranno pochissimi libri, dipinti,
sculture, film e così via. Oppure cose piatte e prive di interesse, incapaci di
motivare qualcuno a fare qualcosa. Invece di morire in una conflagrazione di
odio, l'umanità morirà di noia.
E se non ci riprendiamo, che tipo di civiltà, che tipo di distopia, ci
aspetta?
Ci sono diversi tipi di incubo. Uno è la paura che la civiltà occidentale
si dissolva semplicemente. Non sarebbe male se fosse sostituita da qualcosa di
migliore, o almeno equivalente. Ma una civiltà ha un "insieme di
specifiche". Oggi deve soddisfare le seguenti esigenze fondamentali: una
scienza disinteressata che porti a una tecnologia efficiente, un sistema
politico che garantisca la libertà di tutti i cittadini, un'effettiva
uguaglianza dei sessi, una conoscenza del passato il più possibile imparziale e
la perpetuazione della specie su un pianeta abitabile. E tutti questi obiettivi
devono essere soddisfatti contemporaneamente e a lungo termine. Ora, nel
mercato delle civiltà attualmente in vita, non vedo altro che la civiltà
occidentale possa raggiungere questo obiettivo, a patto ovviamente che attui
alcune riforme fondamentali.
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