Oggi la Russia ha certamente bisogno di uomini come Navalny, ma ancor più dell’educazione di un popolo da tempo vittima di una sistematica distruzione dei suoi valori
La persona irriducibile
Alexksej Navalny (1976-2024) |
Putin di riffa o di raffa si è levato di torno tutti i
possibili competitor alle imminenti elezioni, che poi competitor si fa per
dire, gente che al massimo avrebbe potuto rosicchiargli qualche punto
percentuale di un plebiscito preordinato. Ma non ha annientato neanche con la
morte la spina più acuta anche se apparentemente più inerme: il documentarsi
della persona nella sua irriducibilità e libertà di fronte al Potere. Anche la politica, la politica
vera, dovunque, nasce dalla mossa di persone libere che si mettono in gioco per
un ideale. Non può che nascere, o rinascere, così.
La paura e la moda
Ai suoi sostenitori, Navalny diceva
spesso: “Non dovete avere paura. Questo è il nostro Paese e non ne abbiamo un
altro”.
In Russia ci sono sempre stati individui che
la pensavano diversamente dal potere, zarista, bolscevico o anche, ora,
putiniano. Ma la differenza l’hanno fatta quelli che, come si usa dire da
quelle parti, “sono usciti dalle cucine” e hanno avuto il coraggio di battersi
per il rispetto dei diritti umani. Il coraggio, appunto. Attraverso forse la
continuità dei servizi di polizia politica e di controllo capillare della
realtà sociale (Putin viene dal Kgb), il potere nazional-capitalistico degli oligarchi ha ricostituito il
controllo capillare di ciò che si muove nella società sulla base del principio
– lo stesso del comunismo – che chi non è ciecamente conforme alla linea
ufficiale è un nemico.
Anche in Occidente non è sempre facile
non conformarsi agli assiomi del Potere, che una volta si chiamava “mentalità
dominante” o più semplicemente ancora “moda”, e che adesso tocca chiamare – Dio
stramaledica gli italiani che esagerano con l’inglese – mainstream. Negli ambiti più “avanzati” del progressismo nordamericano i
disallineati rispetto alla cultura woke, cancel culture, LGBT… eccetera, sono spesso i nuovi discriminati.
Se la propria consistenza è delegata al Potere,
finisce così. Si ha paura a sconfinare. Occorre chiedersi, ancora una volta, quale presenza,
quale compagnia, sostiene la persona mostrandosi più forte della paura.
L’individualismo è la cifra dell’impotenza.
Dai social alla condivisione
Una terza cosa, fra le moltissime, che
colpisce nella testimonianza di Navalny, è la sua scelta di tornare in patria, dopo le cure in Germania che
l’hanno salvato dall’avvelenamento, sapendo che sarebbero stati, come minimo,
dolori.
Avrebbe potuto fare il dissidente nobile
dall’estero, somministrando pensieri, giudizi e suggerimenti “da remoto”,
esperto nell’uso dei social com’era.
Mosca corteo 23 gennaio 2021 |
Navalny
ha scelto invece di passare dalla “rete” alla vita reale, essendo questa lo
spazio di una lotta politica e di una rivoluzione pacifica in cui gli era
chiaro – come ha scritto Anna Zafesova sulla Stampa di ieri
– versare “l’impegno, le mani, la voce, il corpo, in una scommessa che
può anche rivelarsi mortale, ma che premia solo chi non ha paura di farlo”.
Non stare al balcone o nelle case ma
esporsi nella strada e nella piazza (papa Francesco e Giorgio Gaber). Mettersi insieme, noi che
possiamo farlo liberamente e senza pericolo, per costruire dal basso nella
società e favorire una politica che non costringa a un signorsì o un signornò,
ma che ascolti, coinvolga e favorisca convergenze e collaborazioni.
Si chiama sussidiarietà, ed è quello che fa la differenza. Il resto è disco dance.
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