TRATTORI E SINISTRA IN EUROPA
La protesta degli agricoltori che infuria in Europa non è del
tutto nuova. Almeno superficialmente, si potrebbero indicare due precedenti: il
movimento dei “forconi”, che tra alterne vicende serpeggiò in Italia fra il
2011 e il 2013, e il movimento dei gilet gialli, che paralizzò la Francia dalla
fine del 2018 ai primi mesi del 2019. Queste analogie, tuttavia, non devono
trarci in inganno.Trattori alla porta di Brandeburgo a Berlino
Il movimento di oggi è diverso, molto diverso da quelli di
allora. La prima differenza che balza agli occhi è il carattere transnazionale della protesta odierna, partita da Olanda
e Belgio ma rapidamente propagatasi ai principali paesi europei, fra cui
Francia, Italia, Polonia, Spagna, Romania. La seconda differenza è che ora, al
centro delle contestazioni, ci sono le
politiche europee in materia di ambiente (il cosiddetto green
deal), con le loro ripercussioni sulla PAC, la politica
agricola comune. La terza differenza è che il movimento dei trattori si espande
e si rafforza man mano che ci avviciniamo alla data delle europee.
La ragione è semplice:
oggi il cuore della protesta non sono le scelte specifiche dei governi nazionali,
ma è l’orientamento complessivo della politica europea non solo in materia
agricola, ma – più in generale – in tutte le materie sulle quali le scelte
pro-ambiente della Commissione Europea mettono a repentaglio redditi, posti di
lavoro, aziende, valore degli immobili.
È il caso, per fare solo i due esempi più macroscopici, delle
direttive in materia di motori termici (che comporteranno il deprezzamento del
parco veicoli attualmente circolanti), e delle direttive in materia di
abitazioni (che costringeranno i proprietari a scegliere fra costosi
efficientamenti energetici e ingenti perdite di valore degli immobili
posseduti).Cosa che inoltre colpisce indiscriminatamente tutti i cittadini.
È difficile prevedere come tutto ciò potrà influenzare il voto
europeo di giugno. Quel che però, fin da ora, è abbastanza evidente, è che
questa protesta impatta in modo asimmetrico sulla destra e sulla sinistra. I socialisti, da sempre in sintonia con gli
orientamenti dirigisti della Commissione, rischiano di perdere ulteriori
consensi tra i ceti popolari. Specularmente, le forze di destra (Riformisti Conservatori e Identità e
Democrazia) hanno l’opportunità – ma
forse si dovrebbe dire: un’opportunità unica – di consolidare il proprio
consenso fra i ceti popolari, finora alimentato soprattutto dalle
preoccupazioni in materia di criminalità e immigrazione.
È uno sbocco inevitabile?
Se i
principali partiti europei di sinistra sono compattamente schierati pro-immigrazione
e pro-transizione ecologica, secondo l’ortodossia finora prevalente a
Bruxelles, sono destinati a rafforzare il trend che, ormai da diversi decenni,
ha fatto della sinistra la rappresentante privilegiata dei ceti medi e
benestanti. E, specularmente, a perfezionare la migrazione dei ceti popolari
sotto le ali dei partiti di destra, più o meno estrema.
Dove invece la sinistra prova a essere recettiva delle
inquietudini popolari, come in Francia, in Danimarca, in Germania, e fuori
dell’Ue nel Regno Unito, i giochi sono più aperti.
E in
Italia?
In Italia,
a sinistra, non muove foglia che Schlein non voglia. La nuova segretaria del Pd
appare ben decisa a perseverare sui pilastri ideologici della linea seguita fin
qui: diritti LGBT, migranti, transizione green. Una formula perfetta per fare
il pieno di voti dei ceti medi urbani, istruiti e riflessivi. Lasciando
ai Cinque Stelle, ma soprattutto alle destre, di raccogliere il voto dei
colletti blu, delle periferie, delle campagne. Un mondo di cui i trattori
stanno diventando il simbolo.
Da un intervento di Luca Ricolfi su FondazioneHume.it
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