L'intervento del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio al convegno "Il suicidio dell’Occidente" tenutosi oggi nella Biblioteca del Senato. L'eugenetica, il caso Indi Gregory e la necessità di «aprire una crepa in un muro ideologico che appare intangibile»
Pubblichiamo l’intervento del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio al convegno “Il suicidio dell’Occidente” tenutosi presso la Biblioteca del Senato il 31 gennaio 2024. All’incontro hanno partecipato anche il cardinale arcivescovo emerito di Genova Angelo Bagnasco, il presidente della Commissione per la Biblioteca e l’Archivio storico del Senato Marcello Pera, il responsabile nazionale di Alleanza Cattolica Marco Invernizzi, il vicepresidente del Centro Studi Rosario Livatino Domenico Airoma e il responsabile della Biblioteca del Senato Francesco Pappalardo.
1. Il suicidio dell’Occidente non è espressione nuova: la usò una
quindicina di anni fa Roger Scruton come titolo per un suo libro. Più di
recente – con una variante, Suicidio occidentale – l’ha
ripresa, per una pubblicazione, Federico Rampini, mentre – se intendiamo
restare nell’area concettuale, non solo terminologica, di una civiltà che sta
scomparendo – è trascorso oltre un secolo dall’uscita dell’opera di Oswald
Spengler Il Tramonto dell’Occidente.
“Suicidio” è parola
più efficace di “tramonto” per qualificare la volontarietà dell’autolesionismo
di una civiltà. Lo sottolinea Luciano Violante, in un suo recente intervento:
oggi «la morte si presenta come ragionevole alternativa alla vita, anche fuori
dei casi di gravi intollerabili patologie»; Violante ricorda una ricerca del
maggio 2023, secondo cui in Canada, parte qualificata dell’Occidente, il 28%
dei cittadini consentirebbero a una richiesta di suicidio assistito se
proveniente da una persona senza dimora, e il 27% se l’unico motivo di
afflizione fosse la povertà, senza alcuna malattia in corso.
In Olanda si è passati
dalle 2000 eutanasie praticate nel 2002 alle 10.000 di oggi, anche sui bambini.
In Italia, come confermano le cronache delle ultime settimane, esistono le basi
culturali, giuridiche e politiche per percorrere la strada della morte a
richiesta: il dibattito è concentrato non già su come affiancare e aiutare il
disagio del paziente o dell’anziano (ciò a cui inizia a provvedere la recente
legge sugli anziani), ma su come garantirgli di porre fine alla propria
esistenza. La morte viene prospettata quale soluzione obbligata per uscire
dalla solitudine collettiva nella quale siamo immersi.
2. Non sono un filosofo, come il presidente Pera, né un teologo, come il
card. Bagnasco. Ho trascorso gran parte della mia vita a fare il giudice
penale. Poiché nel penale il fatto è centrale, vorrei partire, e far ruotare le
mie riflessioni, da un fatto concreto, accaduto poche settimane fa in
Inghilterra: la vicenda di Indi Gregory. Non la ripercorro nel dettaglio, è
conosciuta da tutti voi, ma comincio con elencarne i protagonisti, come nella
locandina di una tragica rappresentazione teatrale:
§ Indi, appunto, una bambina nata il 24 febbraio 2023, affetta da una seria
patologia mitocondriale;
§ la sua famiglia, composta dai genitori, Dean e Claire, e da due sorelle più
grandi di lei;
§ i medici del Queen’s medical center, l’ospedale dove la piccola era
ricoverata, che hanno deciso non soltanto che Indi non dovesse ricevere più
alcuna cura ma che, oltre che da loro, lei non potesse averla da nessuno,
§ i giudici di varie corti britanniche, ai quali i genitori di Indi si sono
rivolti perché fosse garantita la salute e il mantenimento in vita della
figlia,
§ l’opinione pubblica e i media,
§ il governo italiano e un importante ospedale della S. Sede che ha sede in
Italia, il Bambin Gesù.
3. Chi è, anzi chi era, Indi, la protagonista centrale? Un malato terminale, nei cui confronti ogni trattamento sanitario sarebbe stato sproporzionato? Il dato obiettivo non permette di dire, come qualcuno in Italia ha sostenuto, che fosse un caso di “accanimento terapeutico”. Era una disabile, affetta da una patologia per la quale ancora non esiste una terapia convenzionale efficace: in grado di interagire con chi la avvicinava – per es. stringendo con la manina il dito della mamma o dell’infermiera -, come hanno mostrato tanti video che la ritraggono.
Qui apro una
parentesi, per avvicinarmi al tema del nostro incontro. L’Occidente è stato
descritto come la sintesi fra la filosofia greca, che ruota attorno all’uomo,
il diritto romano, centrato sulla realtà dell’essere, e il personalismo
cristiano; la prima conseguenza di questa sintesi è la considerazione della
persona come unica e irripetibile: è uno dei pilastri della cultura
occidentale.
È stata la civiltà occidentale ad aver superato la visione dell’uomo, propria di tanti imperi pre cristiani, quale parte di un meccanismo, da scartare se è inidoneo a contribuire al successo di una collettività. Ma questa visione è stata nuovamente ribaltata con l’irruzione del darwinismo nelle scienze sociali, e col conseguente ingresso di una scienza biologica, che è diventata dottrina politica, e che ha teso a cambiare radicalmente la condizione umana in una prospettiva di selezione artificiale dei più adatti al progresso della società.
L’eugenetica sociale
fondata sull’evoluzionismo ritiene che per garantire il progresso autentico è
necessario prevenire la riproduzione dei soggetti inadatti, degli unfit. Tra la
fine del XIX sec. e l’inizio del XX l’ideologia eugenetica si è sviluppata
parallelamente in Germania e in area anglosassone. Non è rimasta allo stadio
teorico: nel 1927 negli Usa ebbe notevole rilievo la sentenza della Corte
Suprema – i giudici sono da sempre centrali in queste vicende – che ritenne
rientrante nei poteri di polizia dello Stato (nella specie la South Virginia)
la sterilizzazione forzata di una giovane donna, Carrie Buck, della quale era
stata accertata una maturità inferiore a quella effettiva. Per la cronaca la
bimba avuta da Carrie prima della sterilizzazione, Vivian, frequentò poi
brillantemente la scuola. Quando si parla di eugenetica imposta per legge o per
sentenza si pensa alla Germania nazionalsocialista: ma fino alla fine degli
anni 1930 negli Usa sono state compiute legalmente circa 20.000 sterilizzazioni
forzose.
Non è stato necessario
attendere l’avvento del nazismo per assistere al diffondersi di correnti
ideologiche eugenetiche. Altri Stati europei, come la Svezia nel 1934,
introdussero leggi di sterilizzazione dei malati di mente e delle persone
mentalmente disturbate.
I frutti più coerenti
della politica biologica di derivazione darwinistica furono però l’eutanasia e
il sostegno attivo al suicidio. Le tappe di questa espansione ideologica e
delle sue ricadute normative sono ben descritte nel volume Il “diritto”
di essere uccisi: verso la morte del diritto?, edito da Giappichelli,
curato dal prof. Mauro Ronco e dal Centro studi Livatino. Il libro è
interessante perché consente di cogliere radici non recenti, che elaborano già
dalla seconda metà del XIX secolo categorie quali quelle delle vite senza
valore, delle vite non degne di essere vissute.
Connie e Chris Gard, i genitori del piccolo Charlie, altro bambino britannico la cui vicenda medico-giudiziaria nel 2017 si concluse in modo analogo a quella di Indi Gregory (foto Ansa)
4. Il nesso fra l’eugenetica evoluzionistica e l’eutanasia è sempre
stato evidente, non solo sul piano teorico. Il 12 novembre 1915 in un ospedale
di Chicago avviene un episodio che costituisce uno spartiacque nel passaggio da
misure eugenetiche preventive ad atti propriamente eutanasici. Una donna di
nome Anna Bollinger partorisce un bambino. L’ostetrica avverte il capo dello
staff di chirurgia dell’ospedale che il piccolo presentava una serie di
anomalie, anzitutto una ostruzione anale. Il medico, Harry Haiselden, rifiuta
di costruire artificialmente un’apertura anale al bambino, e lo lascia morire,
pur potendolo salvare, perché quello era “il miglior interesse” del neonato:
sarebbe sopravvissuto, ma sarebbe stato infelice.
Nei due decenni
successivi negli Usa il tema dell’eutanasia si concentra non tanto sul dolore
insopportabile o sull’autodeterminazione del paziente, ma sul valore della vita
di soggetti deboli mentalmente o malformati: costoro sono visti come una
minaccia dalla quale la società deve difendersi.
Lo sterminio
nazionalsocialista di tanti disabili ha fortemente rallentato la strada verso
l’eutanasia intrapresa nei decenni successivi alla Seconda guerra mondiale
all’interno di non poche democrazie occidentali, a cominciare dagli Usa, e ha
provocato il passaggio da una motivazione eugenetica di derivazione darwinista
alla rivendicazione del diritto a morire come diritto di libertà. Non si parla
più di mercy killing, bensì di living will, che verrà introdotto in quasi tutti
i Paesi occidentali.
La prima legge
eutanasica negli Usa è quella dello Stato dell’Oregon,
a seguito di un referendum favorevole tenuto nel 1994, che permetteva ai medici
di uccidere con droghe letali i pazienti che manifestavano intenti suicidiari.
Nello stesso periodo leggi eutanasiche sono state introdotte in Belgio, in
Olanda e in Lussemburgo: è storia dei nostri giorni, fino al famigerato
protocollo di Groningen, una serie di criteri per autorizzare a uccidere i neonati
gravemente menomati, concordato dall’Università con la locale Procura, e varato
nel 2005 quali linee-guida dall’Associazione olandese per le cure pediatriche.
Dean Gregory e Claire Staniforth, i genitori di Indi, con la loro bambina
5. Torno a Indi e provo a chiarire la ragione della digressione appena
compiuta. I medici inglesi l’hanno ritenuta unfit, e – come già accaduto per
casi analoghi, da Charlie Gard ad Alfie Evans –
hanno sancito che le risorse del loro ospedale non dovessero andare “sprecate”
per lei. Non hanno in alcun modo tentato di sottoporla a cure sperimentali,
nonostante i recenti progressi scientifici nel campo delle patologie
mitocondriali.
Sulla scena della
tragedia entrano allora due ulteriori protagonisti: i genitori di Indi. Ho
avuto la fortuna di conoscerli personalmente, ricevendoli a Palazzo Chigi poco
prima di Natale insieme con le altre due bambine: sono persone semplici, non
medici né giuristi. Quello che hanno fatto per la loro ultima figlia è stato
non rassegnarsi a una decisione di morte di cui all’evidenza non coglievano
alcuna ragione.
Si sono scontrati col
ceto sanitario e con i giudici: i quali – come già accaduto per casi analoghi,
da Charlie Gard ad Alfie Evans – hanno respinto le loro istanze. Lo hanno fatto
i giudici inglesi, e poi la Corte europea per i diritti dell’uomo.
Anche qui, come per i
medici, non accade per caso. Ho ricordato prima come negli Usa, e in più d’una
nazione Europa, la legittimazione della deriva eutanasica è avvenuta per
sentenza, poi per protocolli, quasi mai passando per le scelte dei Parlamenti.
In tutto l’Occidente il superamento della norma di legge da parte del giudice è
diventata prassi consueta. L’“invenzione del diritto”, per riprendere il titolo
del libro di un ex presidente della Corte costituzionale italiana, è ormai una
categoria ideologica e una forma di controllo delle scelte della politica.
Vi è un’ulteriore
domanda: medici e giudici negano le cure nell’ospedale dove la bambina era
ricoverata; ma perché impedire che lei fosse curata altrove? L’alternativa era
stata prospettata in concreto da due altri attori intervenuti sulla scena: il
governo italiano che – come già accaduto nel 2018 per Alfie Evans – ha
riconosciuto la cittadinanza italiana a Indi per permettere alla nostra
rappresentanza consolare in UK di interloquire con medici e giudici inglesi, e
l’ospedale Bambin Gesù che, esaminati i dati clinici della piccola, si è reso
disponibile ad accoglierla.
6. La resistenza dei genitori di Indi, e l’iniziativa della presidente
Meloni e del Consiglio dei ministri non hanno salvato la vita della piccola:
Indi, privata anche del respiratore, è morta la notte del 13 novembre 2023. Ma
resistenza e iniziativa non sono state vane.
In tutte le tragedie
vi è un coro. In UK all’inizio esso è mancato: i media britannici hanno quasi
del tutto ignorato il caso, quelli italiani ne hanno parlato a seguito dei
passi operati dal governo. Per paradosso una vicenda consumata in Inghilterra
ha avuto un rimbalzo mediatico in Italia, e ha fatto aprire un dibattito oltre
Manica; un gruppo di medici operanti in UK ha chiesto a che serve una ricerca
scientifica avanzata – e sappiamo tutti che lì è fra le più avanzate al mondo
-, se poi i suoi esiti non sono calati proprio per affrontare i casi più
difficili e sfidanti. E ha aggiunto che, pur se le terapie per la grave
malattia che affliggeva Indi non erano ancora disponibili, comunque vi erano
delle proposte sperimentali, e quindi il suo mantenimento in vita avrebbe
permesso di guadagnare tempo, e di incentivare studi mirati di ricerca.
Che si apra una crepa
in un muro ideologico che appariva intangibile è un passo che è stato reso
possibile dall’amore di un padre e di una madre per la propria figlia, e dalla
scelta politica di un governo nazionale orientato alla vita: segno che ci sono
vari modi per non condividere la deriva suicidiaria dell’Occidente.
7. Certo, l’azione di un governo non basta. La battaglia è anzitutto
culturale e pre-politica, e quindi deve muoversi sul terreno dell’elaborazione
scientifica, filosofica e giuridica: senza farsi intimorire dalla
desertificazione intervenuta soprattutto negli ultimi anni, ma considerando
questo deserto parte della sfida da raccogliere. Lo stop alla proposta di legge
regionale eutanasica in Veneto è l’esito di una mobilitazione culturale e di un
lavoro che hanno privilegiato l’argomentazione ragionevole al semplicismo
ideologico.
Vorrei essere chiaro,
al limite della rozzezza. La sfida da raccogliere è quella di non demordere
nonostante l’irrilevanza di quel che rimane del popolo cattolico italiano, e
comunque di un popolo antropologicamente ben orientato; nonostante la
difficoltà che esso ha di trovare guide al suo interno; nonostante il drastico
abbassamento del suo profilo. Sono trascorsi 20 anni dall’approvazione della
legge n. 40/2004, che ha posto ragionevoli argini alla fecondazione
artificiale: quella legge è stata poi stravolta dalla giurisprudenza, ma il suo
varo aveva mostrato la capacità di quel popolo, e di chi lo rappresentava, di
giocare in attacco, e di non limitarsi a una pur importante opera di
interdizione di proposte ostili.
Che cosa è accaduto in
vent’anni a quel popolo, che era anche riuscito nel 2005 a vincere il
referendum abrogativo, per ridursi a frangia marginale, nemmeno riconoscibile?
Certo, gli spunti disorientanti si moltiplicano, e non risparmiano il recinto
ecclesiale. Non compete a me parlare di recenti documenti che hanno generato lo
sconcerto di intere conferenze episcopali, in primis quelle africane, le più
esposte al martirio e alla testimonianza.
Pongo solo un quesito,
limitandomi al dibattito italiano sull’eutanasia: ma possibile che con tanti
organismi, accademie e atenei di area ecclesiale, cui sono demandate
l’elaborazione culturale e la riflessione anche giuridica, questo mondo non è
riuscito a dire nulla sulla vicenda di Indi? Possibile che sull’argomento
l’ultima frontiera su cui attestarsi – la sola proposta che viene avanzata –
sembra essere la trasposizione in legge della sentenza della Corte
costituzionale del 2019? Possibile che questo mondo non sottoponga, come è
doveroso, il percorso argomentativo di quella sentenza a necessario vaglio
critico, per cogliere le anomalie che non pochi commentatori hanno rilevato? E
per cercare strade diverse rispetto a questa rincorsa senza fine verso
l’eutanasia fra pronunce giurisprudenziali e leggi dello Stato?
8. Vi è una espressione cara all’attuale Pontefice: «Non esistono i
vescovi-pilota». Che cosa vuol dire? Che per le questione sociali e politiche
la responsabilità all’interno della Chiesa è tutta dei laici. Non mancano sul
punto gli insegnamenti: abbondano fra i documenti del Concilio Vaticano II. La
confusione da parte delle guide non può trasformarsi in un alibi: non ci sono
altri che assumono le responsabilità che toccano a noi.
I genitori di Indi non
hanno atteso che qualcuno ricordasse loro il magistero ecclesiale sulla vita per
difendere con tutta la loro forza la loro piccola. Il loro sacrificio ha
portato alla loro conversione, tanto che hanno chiesto e ricevuto il battesimo.
L’Occidente nasce dalla conversione dei popoli e dal loro battesimo. La nostra
storia e la nostra fede si fondano sul sacrificio di un bambino: qualche
settimana fa, facendo il presepe, lo abbiamo ricordato. Giorgia Meloni e il
governo italiano non hanno ricevuto sollecitazioni da nessuno per dar loro una
mano; siamo pronti a darla, per quello che si può, a chiunque lavori per la
vita, purché avvenga con intelligenza, senza ridursi a slogan o a provocazioni.
Poco, non basta, ma dice qualcosa: che non condividiamo la prospettiva del
suicidio.
9. Nel Signore degli anelli il re Théoden esce dal torpore, si riprende, grazie all’intervento di Gandalf, che smaschera Vermilinguo e lo rivela per quello che era: uno strisciante servitore di Saruman. Dopo quest’aiuto il Re fu soprannominato Ednew, che vuol dire “rinato”. Seguendo i consigli di Gandalf, Théoden decide di affrontare le forze di Saruman, e vince.
Re Theoden all'ultima battaglia |
Qualche settimana fa
la parte di Galdalf l’ha assunta una bimba di sette mesi: quella sua piccola
mano protesa verso chi le stava intorno ha fatto uscire tanti dal torpore e ha
convinto che l’alternativa al suicidio esiste, ed è un’azione responsabile e di
sacrificio. Il nostro sacrificio, non soltanto quello di Indi e dei suoi
genitori.
Perché questo è giusto
fare. E questo, con l’aiuto di Dio, faremo.
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