martedì 18 gennaio 2011

IL SENSO RELIGIOSO



Non c'è probabilmente altra poesia di tutto il nostro Novecento che
rimandi con altrettanta tormentata intensità il senso religioso dell'attesa come
Dall'immagine tesa di Clemente Rebora.

Attesa del fulmineo precipitare del soprannaturale nella storia, e non nella storia universale dell'umanità, bensì in quella - tanto in fondo più dolorosamente coinvolgente - di ciascuna singola
irripetibile esistenza.

E' l'avvisaglia ancora flebile ma già non più soltanto indiziaria della manifestazione di un qui ed ora che non consente dilazioni, di una prepotenza d'amore che urgerà l'anima di chi ne è investito tanto da non potersene più distogliere.

La manifestazione della Presenza avverrà d'improvviso, quando meno la si
attende. La si riconoscerà perché darà "perdono di quanto fa morire", sarà
misura che colmerà con inesauribile abbondanza quanto avrà tolto. Sarà una
primavera, uno sbocciare quasi inavvertito da principio, una vita rinnovellata,
senza più vincoli con la precedente, spezzati dall'incontro che annichilisce
ogni nostalgia verso il passato.

E la rinascita, dapprima incerta inaspettata  esitante, s'amplierà in vibrazioni concentriche sempre più vaste, ad ingemmare di sé tutta l'anima, perché darà certezza, sarà "ristoro" al travaglio
sofferto.

Tuttavia, la risurrezione non è "ristoro" solo per chi nell'attesa o
prima ancora di porsi consapevolmente all'ascolto si è in qualche misura più
o meno grande perduto, ma lo è anche delle pene dell'Altro, che non può
perdersi, ma che pure Lui ha dolorosamente sperimentato, essendo la Sua
venuta un fulminante concentrarsi della Divinità in un punto della nostra
storia, di una storia costruita da innumerevoli generazioni di uomini, e per ciò
stesso tormentata, angustiata, mille volte e più deviata dal suo corso.

L'impressionante specularità nel dolore di creatura e Creatore si ritrova nella
certezza del tesoro ("suo e mio ") di verità infinita che verrà e si stempera in
una prospettiva audace e dolcissima di condivisione, altrettanto
impressionante, tra chi è in attesa e l'Atteso. Ma la composizione finale del
penare umano, conclusione soltanto vagamente adombrata nella poesia,
attraversa necessariamente (come itinerario catartico? come punizione per la
facilità delle cadute?) il prolungato tormento del dubbio e dell'insicurezza
prima, del conoscersi fatalmente inadeguato a ciò cui ci si sente infine protesi
poi.
Luigi Preziosi

Nessun commento:

Posta un commento