IL CROCEVIA
INTERVENTO DI
LUIGI GENINAZZI
CESENA 14 GIUGNO
Per me è sempre una particolare emozione
parlare di Havel e del suo libro principale “Il potere dei senza potere”,
soprattutto qui in terra romagnola, a Cesena, e non posso dimenticare che Don
Francesco Ricci mi chiese poche settimane dopo che aveva pubblicato questo
testo nel novembre del ’79, di presentarlo, non mi ricordo più se era a Imola o
Faenza, comunque era da queste parti. Non potevo immaginare allora che da lì a
pochi anni avrei avuto la grande fortuna di incontrare personalmente l’autore,
e l’ho incontrato nel 1984, come inviato del settimanale “Il Sabato”, che era
molto attento alla realtà dell’est e Havel era appena uscito da pochi mesi dal
carcere, era stato condannato nel ’79, era uscito un po’ anticipatamente. Mi
ricordo la grandissima difficoltà nello scovarlo perché mi trovavo a Praga,
avevo il suo numero di telefono di casa, ma non rispondeva, e non rispondevano
nemmeno i suoi amici, perché il telefono o non funzionava oppure era
controllato dalla polizia, quindi preferivano non rispondere. Quindi dovevo
andare in giro di persona e parlare con persone sconosciute, facendomi dare
altri indirizzi, insomma alla fine ho saputo che Havel stava nella sua baita
sui Monti dei Giganti, a Radacek nella sua casa di campagna, 200 km a nord di
Praga, al confine con la Polonia, proprio su quei monti dove si era incontrato
con i dissidenti polacchi negli precedenti la nascita di Carta 77. Quindi ho
intrapreso questo viaggio, il problema era che vicino a casa di Havel, dove lui
passava il mese di maggio, a scrivere, insieme alla moglie Olga, la polizia
aveva costruito appositamente un'altra baita, il problema era non sbagliare per
non andare a finire dai poliziotti. Per fortuna Havel era in giardino, mi è
venuto incontro e mi ha fatto vedere questa casa dicendo che era il capolavoro
dell’architettura socialista, costruita apposta per sorvegliarlo.
Era un intellettuale, timido, schivo,
severo, dall’aria severa. Ripenso a quel pomeriggio, abbiamo chiacchierato per
ore ed ore, ma vorrei ricordare questo, rispondendo alla sollecitazione di
Spinelli che chiedeva appunto come questo libro è giunto in Italia, lui aveva
saputo che il suo libro era stato tradotto, ma nessuno gli aveva chiesto
l’autorizzazione, perché era impossibile, allora al di là della mia intervista,
era lui che mi faceva delle domande, ed era molto interessato a sapere chi,
come mai, aveva avuto questa idea, ovviamente era molto contento che fosse
uscito, anche se lui non poteva averne dato l’autorizzazione. Io gli parlai di
Don Francesco Ricci, questo contrabbandiere di libri, tra est ed ovest, che
tutti qui abbiamo ancora nel cuore, che aveva avuto questa geniale intuizione e
mi ricordo che gli dissi che era stato stampato nella collana “Out Prints”,
questo neologismo inglese, io l’ho ancora l’edizione del 1979, letteralmente
“stampato fuori”, diceva Don Francesco: scritti proibiti nel paese in cui sono
stati pensati e pubblicati, quindi fuori, ma anche scritti che traggono la loro
linfa da un terreno fertile fuori dalla coltura dominante in occidente, scritti
per la verità dell’uomo, pensieri per altre possibilità, qualcosa di altro, di
diverso, non solo per il cupo e repressivo regime comunista, ma anche per la
società consumista, per la nostra società gaudente occidentale, e ho trovato
Havel nettamente in sintonia con questa cosa. Per i più giovani, per quelli che
non conoscono Havel mi permetto di dire molto brevemente da dove veniva questo
personaggio che poi diverrà improvvisamente il capo della nuova Repubblica
Cecoslovacca, nel 1989. Era figlio di una famiglia borghese, e già per questo
bollato, emarginato dal regime comunista che prese il potere dopo le elezioni
libere, ma poi fecero un golpe nel 1948, e quindi Havel non poté accedere
all’università. La sua passione per il teatro, in generale per la cultura, per
la riflessione sull’uomo, l’ha portato avanti da uomo libero, non
professionalmente, per mantenersi lavorava in un birrificio, e vorrei farvi
notare, se qualcuno non l’ha capito che questo è Havel, negli anni ’70 infatti
si porta un sacco di malto, appunto credo in questo birrificio, in cui ha
ambientato anche alcuni dei suoi drammi è interessante il suo giudizio nel ’68,
sulla Primavera di Praga, su questo tentativo di creare da parte di Dubcek, dei
cosidetti socialisti riformisti, un socialismo dal volto umano. Lui disse che
quel movimento non toccò il nocciolo della struttura del sistema, era dentro il
sistema, una critica quindi molto forte. Pensate che questo giovane intellettuale
costretto a lavorare in un birrificio, nel 1975, nella Cecoslovacchia ormai un
po’ depressa senza speranza dopo la repressione dei carri armati sovietici nel
1968, osò indirizzare una lettera aperta al Presidente della Repubblica del
Partito Comunista Gustáv Husák. E dice: “Dietro la facciata posticcia ed
enfatica dei grandi ideali umanistici, si nasconde la modesta casetta di un
borghesuccio socialista.” - parole dure, scritte apertamente - “Si nasconde la
vuotezza ed il grigiore di una vita ridotta alla ricerca affannosa dei beni di
prima necessità. Ma una tale situazione non può che condurre alla perdita
dell’orizzonte assoluto e alla crisi dell’identità umana.”
È questo che assilla Havel e tutti quelli
che con lui danno vita a Carta 77. Cos’era Carta 77? Un movimento di
dissidenti, ovviamente, ma la parola dissidente non piace tanto a loro, per
primo ad Havel, era soprattutto una compagnia, ci sono dei filmati in cui si
vedono appunto come vivevano, cene, momenti conviviali, riunioni, discussioni,
gite, una compagnia insomma, un amicizia, una vita nella verità in cui ognuno
era se stesso e parlava di se stesso. È questo il contesto per farvi capire da
dove nasce questo libro, che vi invito a leggere se ancora non lo avete fatto,
perché non sono solo riflessioni sue, ma sono riflessioni di tutto questo
gruppo, “Il potere dei senza potere”.
Mi raccontava Havel quando l’ho
intervistato che mentre l’ha scritto nel 1978 era strettamente sorvegliato e
aveva il terrore che venisse scoperto e portassero via quello che scriveva che
ogni tanto, mi diceva, andava nel bosco, lo faceva ancora adesso, e portava i
fogli scritti e li nascondeva dietro la corteccia di un albero, per paura che i
poliziotti qua vicino, i miei cari vicini (come li definiva) venissero un
giorno e mi portassero via tutto. Quindi pensate al clima in cui è stato
scritto questo libro. Qual è, ed è l’ultima cosa che mi permetto di dire, la
cosa centrale di questa sera, qual è il contenuto di questo libro. Spinelli un
po’ l’ha già spiegato, l’ha già introdotto in vari elementi. Io vorrei
sottolineare due cose: la prima è che Havel parla di post-totalitarismo e non
di totalitarismo, che cosa vuol dire, post-totalitarismo non vuol dire qualcosa
di più morbido, di qualcosa che è successivo alla dittatura. No. È un tipo
diverso dalla dittatura che abbiamo conosciuto nei regimi comunisti, con Stalin
e con gli stalinisti, cioè il regime che usa la forza bruta e che usa
l’ideologia con un furore rivoluzionario, in cui tu devi credere all’uomo nuovo
che sta costruendo il sistema socialista, l’uomo nuovo che sta costruendo il
partito, e se non ci credi, sei subito messo da parte, discriminato, e se osi
dire qualcosa processato e poi condannato alla prigione. No adesso non c’è più
bisogno della forza brutale e l’ideologia è diventato solo una finzione in cui
non crede più nessuno, neanche il capo del Partito Comunista, come diceva già
nella lettera aperta a Husák del ’75. Diventa solo un codice di legittimazione
per cui tu ti senti in sintonia con il resto della società. Questo è il valore
del famoso cartello del racconto dell’ortolano, del verduraio, che mette fuori
il cartello “proletari di tutto il mondo unitevi”, probabilmente nessuno lo
guarda, nessuno se ne accorge perché la gente va lì per comprare frutta e
verdura, mica per leggere. Ma perché lo mette?, Lo mette perché sa che in
questo modo manda un segnale, un codice al potere, guardate che io sono una
persona in regola che obbedisce a quello che è stato stabilito, praticamente un
segnale di sudditanza. Havel nota acutamente il senso di questo messaggio è
molto chiaro io sono un suddito fedele e pauroso e per questo metto fuori
questo cartello come vuole il partito. Quel cartello con quella frase è un
valore che nessuno mi può contestare, non è un disvalore, e così io mi
identifico con il potere, tramite l’ideologia, l’ideologia che ha questa
funzione di elevare la realtà dell’abiezione, della miseria umana, della paura,
a qualcosa di elevato, alla fratellanza universale, è questa ideologia che maschera
tutto, che annebbia la mente e il cuore degli uomini, è la vita nella menzogna.
Cosa succede quando l’ortolano ad un certo punto dice io questo cartello non lo
metto più fuori. Allora se ne accorgono tutti, nota Havel, chi va a comprare
che prima non lo notava, adesso nota che manca qualcosa, perché anche chi va a
comprare deve mettere quel cartello lì dove lavora, nell’ufficio, nella
fabbrica dove lavora, allora si rompe qualcosa, rompe questo muro, vive nella
verità, parla di se stesso, l’uomo viene fuori, l’uomo messo tra parentesi dal
sistema, viene fuori con il suo volto. Ecco potremmo parlare a lungo di cosa ha
significato questo per il regime comunista, ma la cosa più interessante di cui
ci dovrà parlare Monsignor Negri, e non per nulla abbiamo chiamato lui, è di
cosa vuol dire questo oggi, perché non è che noi davanti a questo libro, come
protremmo fare con un testo qualsiasi scritto 50 anni fa diciamo è stato
scritto allora, adesso cerchiamo di tirarne qualche conseguenza per noi,
possiamo farla con Aristotele come con un autore dell’ottocento. No. È l’unico
brano che voglio leggervi, abbiate pazienza. È lo stesso Havel che dice che
quello che scrive non vale solo per il regime comunista, vale anche per
l’occidente, e questa intuizione incredibile della vita nella menzogna e della
vita nella verità.
Questo
vasto adattamento della vita nella menzogna
- scrive Havel, pagina 53, per chi vuole
andare a vedere – questa facile
diffusione dell’autototalitarismo sociale – una definizione complicata ma
da il concetto di un totalitarismo che ognuno impone a se stesso, perché Havel
toglie l’idea che c’è di individuo sacro e puro che è contro il potere, se c’è
un sistema così vuol dire che l’individuo è convivente, l’ortolano è convivente
- allora questo vasto adattamento alla
vita nella menzogna non corrisponde forse alla ripugnanza dell’uomo, nella
società dei consumi a sacrificare qualcosa delle sue sicurezze materiali per
amore della propria verità spirituale morale, non è questo una specie di
memento per l’occidente che gli svela il suo latente destino.
Nell’intervista gli ho chiesto di questo
legame con l’occidente ed ecco cosa mi ha detto: Guardi anche se di colpo sparissero dalla faccia della terra i sistemi
totalitari non per questo il mondo sarà liberato dal rischio di un potere
anonimo che opera al di fuori di ogni criterio di verità. Cos’è il comunismo, è uno specchio convesso
dell’occidente, voi vi vedete un immagine deformata di noi perché siamo un po’
buzzurri, un po’ autoritari, grotteschi, ma è l’immagine vostra, un po’
deformata, è la tendenza profonda che opera nella civilizzazione occidentale,
questo potere anonimo che non si cura, anzi nega la verità dell’uomo.
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