lunedì 24 giugno 2013

IL POTERE DEI SENZA POTERE

IL CROCEVIA
 
INTERVENTO DI
 
LUIGI GENINAZZI
CESENA 14 GIUGNO
 

Per me è sempre una particolare emozione parlare di Havel e del suo libro principale “Il potere dei senza potere”, soprattutto qui in terra romagnola, a Cesena, e non posso dimenticare che Don Francesco Ricci mi chiese poche settimane dopo che aveva pubblicato questo testo nel novembre del ’79, di presentarlo, non mi ricordo più se era a Imola o Faenza, comunque era da queste parti. Non potevo immaginare allora che da lì a pochi anni avrei avuto la grande fortuna di incontrare personalmente l’autore, e l’ho incontrato nel 1984, come inviato del settimanale “Il Sabato”, che era molto attento alla realtà dell’est e Havel era appena uscito da pochi mesi dal carcere, era stato condannato nel ’79, era uscito un po’ anticipatamente. Mi ricordo la grandissima difficoltà nello scovarlo perché mi trovavo a Praga, avevo il suo numero di telefono di casa, ma non rispondeva, e non rispondevano nemmeno i suoi amici, perché il telefono o non funzionava oppure era controllato dalla polizia, quindi preferivano non rispondere. Quindi dovevo andare in giro di persona e parlare con persone sconosciute, facendomi dare altri indirizzi, insomma alla fine ho saputo che Havel stava nella sua baita sui Monti dei Giganti, a Radacek nella sua casa di campagna, 200 km a nord di Praga, al confine con la Polonia, proprio su quei monti dove si era incontrato con i dissidenti polacchi negli precedenti la nascita di Carta 77. Quindi ho intrapreso questo viaggio, il problema era che vicino a casa di Havel, dove lui passava il mese di maggio, a scrivere, insieme alla moglie Olga, la polizia aveva costruito appositamente un'altra baita, il problema era non sbagliare per non andare a finire dai poliziotti. Per fortuna Havel era in giardino, mi è venuto incontro e mi ha fatto vedere questa casa dicendo che era il capolavoro dell’architettura socialista, costruita apposta per sorvegliarlo.
Era un intellettuale, timido, schivo, severo, dall’aria severa. Ripenso a quel pomeriggio, abbiamo chiacchierato per ore ed ore, ma vorrei ricordare questo, rispondendo alla sollecitazione di Spinelli che chiedeva appunto come questo libro è giunto in Italia, lui aveva saputo che il suo libro era stato tradotto, ma nessuno gli aveva chiesto l’autorizzazione, perché era impossibile, allora al di là della mia intervista, era lui che mi faceva delle domande, ed era molto interessato a sapere chi, come mai, aveva avuto questa idea, ovviamente era molto contento che fosse uscito, anche se lui non poteva averne dato l’autorizzazione. Io gli parlai di Don Francesco Ricci, questo contrabbandiere di libri, tra est ed ovest, che tutti qui abbiamo ancora nel cuore, che aveva avuto questa geniale intuizione e mi ricordo che gli dissi che era stato stampato nella collana “Out Prints”, questo neologismo inglese, io l’ho ancora l’edizione del 1979, letteralmente “stampato fuori”, diceva Don Francesco: scritti proibiti nel paese in cui sono stati pensati e pubblicati, quindi fuori, ma anche scritti che traggono la loro linfa da un terreno fertile fuori dalla coltura dominante in occidente, scritti per la verità dell’uomo, pensieri per altre possibilità, qualcosa di altro, di diverso, non solo per il cupo e repressivo regime comunista, ma anche per la società consumista, per la nostra società gaudente occidentale, e ho trovato Havel nettamente in sintonia con questa cosa. Per i più giovani, per quelli che non conoscono Havel mi permetto di dire molto brevemente da dove veniva questo personaggio che poi diverrà improvvisamente il capo della nuova Repubblica Cecoslovacca, nel 1989. Era figlio di una famiglia borghese, e già per questo bollato, emarginato dal regime comunista che prese il potere dopo le elezioni libere, ma poi fecero un golpe nel 1948, e quindi Havel non poté accedere all’università. La sua passione per il teatro, in generale per la cultura, per la riflessione sull’uomo, l’ha portato avanti da uomo libero, non professionalmente, per mantenersi lavorava in un birrificio, e vorrei farvi notare, se qualcuno non l’ha capito che questo è Havel, negli anni ’70 infatti si porta un sacco di malto, appunto credo in questo birrificio, in cui ha ambientato anche alcuni dei suoi drammi è interessante il suo giudizio nel ’68, sulla Primavera di Praga, su questo tentativo di creare da parte di Dubcek, dei cosidetti socialisti riformisti, un socialismo dal volto umano. Lui disse che quel movimento non toccò il nocciolo della struttura del sistema, era dentro il sistema, una critica quindi molto forte. Pensate che questo giovane intellettuale costretto a lavorare in un birrificio, nel 1975, nella Cecoslovacchia ormai un po’ depressa senza speranza dopo la repressione dei carri armati sovietici nel 1968, osò indirizzare una lettera aperta al Presidente della Repubblica del Partito Comunista Gustáv Husák. E dice: “Dietro la facciata posticcia ed enfatica dei grandi ideali umanistici, si nasconde la modesta casetta di un borghesuccio socialista.” - parole dure, scritte apertamente - “Si nasconde la vuotezza ed il grigiore di una vita ridotta alla ricerca affannosa dei beni di prima necessità. Ma una tale situazione non può che condurre alla perdita dell’orizzonte assoluto e alla crisi dell’identità umana.”
È questo che assilla Havel e tutti quelli che con lui danno vita a Carta 77. Cos’era Carta 77? Un movimento di dissidenti, ovviamente, ma la parola dissidente non piace tanto a loro, per primo ad Havel, era soprattutto una compagnia, ci sono dei filmati in cui si vedono appunto come vivevano, cene, momenti conviviali, riunioni, discussioni, gite, una compagnia insomma, un amicizia, una vita nella verità in cui ognuno era se stesso e parlava di se stesso. È questo il contesto per farvi capire da dove nasce questo libro, che vi invito a leggere se ancora non lo avete fatto, perché non sono solo riflessioni sue, ma sono riflessioni di tutto questo gruppo, “Il potere dei senza potere”.
Mi raccontava Havel quando l’ho intervistato che mentre l’ha scritto nel 1978 era strettamente sorvegliato e aveva il terrore che venisse scoperto e portassero via quello che scriveva che ogni tanto, mi diceva, andava nel bosco, lo faceva ancora adesso, e portava i fogli scritti e li nascondeva dietro la corteccia di un albero, per paura che i poliziotti qua vicino, i miei cari vicini (come li definiva) venissero un giorno e mi portassero via tutto. Quindi pensate al clima in cui è stato scritto questo libro. Qual è, ed è l’ultima cosa che mi permetto di dire, la cosa centrale di questa sera, qual è il contenuto di questo libro. Spinelli un po’ l’ha già spiegato, l’ha già introdotto in vari elementi. Io vorrei sottolineare due cose: la prima è che Havel parla di post-totalitarismo e non di totalitarismo, che cosa vuol dire, post-totalitarismo non vuol dire qualcosa di più morbido, di qualcosa che è successivo alla dittatura. No. È un tipo diverso dalla dittatura che abbiamo conosciuto nei regimi comunisti, con Stalin e con gli stalinisti, cioè il regime che usa la forza bruta e che usa l’ideologia con un furore rivoluzionario, in cui tu devi credere all’uomo nuovo che sta costruendo il sistema socialista, l’uomo nuovo che sta costruendo il partito, e se non ci credi, sei subito messo da parte, discriminato, e se osi dire qualcosa processato e poi condannato alla prigione. No adesso non c’è più bisogno della forza brutale e l’ideologia è diventato solo una finzione in cui non crede più nessuno, neanche il capo del Partito Comunista, come diceva già nella lettera aperta a Husák del ’75. Diventa solo un codice di legittimazione per cui tu ti senti in sintonia con il resto della società. Questo è il valore del famoso cartello del racconto dell’ortolano, del verduraio, che mette fuori il cartello “proletari di tutto il mondo unitevi”, probabilmente nessuno lo guarda, nessuno se ne accorge perché la gente va lì per comprare frutta e verdura, mica per leggere. Ma perché lo mette?, Lo mette perché sa che in questo modo manda un segnale, un codice al potere, guardate che io sono una persona in regola che obbedisce a quello che è stato stabilito, praticamente un segnale di sudditanza. Havel nota acutamente il senso di questo messaggio è molto chiaro io sono un suddito fedele e pauroso e per questo metto fuori questo cartello come vuole il partito. Quel cartello con quella frase è un valore che nessuno mi può contestare, non è un disvalore, e così io mi identifico con il potere, tramite l’ideologia, l’ideologia che ha questa funzione di elevare la realtà dell’abiezione, della miseria umana, della paura, a qualcosa di elevato, alla fratellanza universale, è questa ideologia che maschera tutto, che annebbia la mente e il cuore degli uomini, è la vita nella menzogna. Cosa succede quando l’ortolano ad un certo punto dice io questo cartello non lo metto più fuori. Allora se ne accorgono tutti, nota Havel, chi va a comprare che prima non lo notava, adesso nota che manca qualcosa, perché anche chi va a comprare deve mettere quel cartello lì dove lavora, nell’ufficio, nella fabbrica dove lavora, allora si rompe qualcosa, rompe questo muro, vive nella verità, parla di se stesso, l’uomo viene fuori, l’uomo messo tra parentesi dal sistema, viene fuori con il suo volto. Ecco potremmo parlare a lungo di cosa ha significato questo per il regime comunista, ma la cosa più interessante di cui ci dovrà parlare Monsignor Negri, e non per nulla abbiamo chiamato lui, è di cosa vuol dire questo oggi, perché non è che noi davanti a questo libro, come protremmo fare con un testo qualsiasi scritto 50 anni fa diciamo è stato scritto allora, adesso cerchiamo di tirarne qualche conseguenza per noi, possiamo farla con Aristotele come con un autore dell’ottocento. No. È l’unico brano che voglio leggervi, abbiate pazienza. È lo stesso Havel che dice che quello che scrive non vale solo per il regime comunista, vale anche per l’occidente, e questa intuizione incredibile della vita nella menzogna e della vita nella verità.
Questo vasto adattamento della vita nella menzogna  - scrive Havel, pagina 53, per chi vuole andare a vedere – questa facile diffusione dell’autototalitarismo sociale – una definizione complicata ma da il concetto di un totalitarismo che ognuno impone a se stesso, perché Havel toglie l’idea che c’è di individuo sacro e puro che è contro il potere, se c’è un sistema così vuol dire che l’individuo è convivente, l’ortolano è convivente - allora questo vasto adattamento alla vita nella menzogna non corrisponde forse alla ripugnanza dell’uomo, nella società dei consumi a sacrificare qualcosa delle sue sicurezze materiali per amore della propria verità spirituale morale, non è questo una specie di memento per l’occidente che gli svela il suo latente destino.
Nell’intervista gli ho chiesto di questo legame con l’occidente ed ecco cosa mi ha detto: Guardi anche se di colpo sparissero dalla faccia della terra i sistemi totalitari non per questo il mondo sarà liberato dal rischio di un potere anonimo che opera al di fuori di ogni criterio di verità. Cos’è il comunismo, è uno specchio convesso dell’occidente, voi vi vedete un immagine deformata di noi perché siamo un po’ buzzurri, un po’ autoritari, grotteschi, ma è l’immagine vostra, un po’ deformata, è la tendenza profonda che opera nella civilizzazione occidentale, questo potere anonimo che non si cura, anzi nega la verità dell’uomo.

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