FRANCESCO E UN CATTOLICESIMO POST-IDEOLOGICO (?)
martedì 25 giugno 2013
Non sono un professore di storia del cristianesimo in
una prestigiosa università americana, né tanto meno teologo o filosofo di
professione (e si vede, potrete dire).
Sono un sacerdote che ama la Chiesa:
quella storica, concreta, reale; che cerca di vivere quotidianamente la
missione, in questo nostro tempo, usando anche i mezzi della comunicazione
sociale. Certo, sono mezzi interessanti, ma se sono vissuti e operati senza un
soggetto reale diventano strumenti di omologazione e di ripetizione (cioè
cinghie di trasmissione di un cieco potere, o del potere dell’ovvio… Direbbe il
poeta Giusti “strumenti ciechi di occhiuta rapina”).
Ho letto l’analisi del professor Massimo Faggioli sul “cattolicesimo post-ideologico”, pubblicato su L’Huffington Post del 25 giugno 2013. Interessante, certo, ma analisi anch’essa viziata da quel ideologismo che vorrebbe combattere.
Sembra infatti che l’insegnamento del Papa (ora Francesco, ma prima di lui Benedetto XVI) sia passato al vaglio di una critica che ne analizza il pensiero rispondendo a domande che non sono del pensiero stesso, ma imposte da una osservazione pregiudiziale, quando non da uno schematismo superficiale.
Un metodo non ideologico presuppone che la via adeguata per la conoscenza sia indicata dall’oggetto stesso - in questo caso la natura di “magistero” che le parole (e i gesti) del Papa vogliono realizzare. Allora si troverebbe una continuità con l’insegnamento costante della Chiesa con l’intento dichiarato del Concilio Vaticano II (così come ben espresso dal beato Giovanni XXIII e ripreso continuamente dai papi, Papa Francesco compreso).
E potremmo allora elencare i punti di questa continuità dottrinale:
Ho letto l’analisi del professor Massimo Faggioli sul “cattolicesimo post-ideologico”, pubblicato su L’Huffington Post del 25 giugno 2013. Interessante, certo, ma analisi anch’essa viziata da quel ideologismo che vorrebbe combattere.
Sembra infatti che l’insegnamento del Papa (ora Francesco, ma prima di lui Benedetto XVI) sia passato al vaglio di una critica che ne analizza il pensiero rispondendo a domande che non sono del pensiero stesso, ma imposte da una osservazione pregiudiziale, quando non da uno schematismo superficiale.
Un metodo non ideologico presuppone che la via adeguata per la conoscenza sia indicata dall’oggetto stesso - in questo caso la natura di “magistero” che le parole (e i gesti) del Papa vogliono realizzare. Allora si troverebbe una continuità con l’insegnamento costante della Chiesa con l’intento dichiarato del Concilio Vaticano II (così come ben espresso dal beato Giovanni XXIII e ripreso continuamente dai papi, Papa Francesco compreso).
E potremmo allora elencare i punti di questa continuità dottrinale:
·
«Noi
dobbiamo andare all’incontro e dobbiamo creare con la nostra fede una “cultura
dell’incontro”, una cultura dell’amicizia, una cultura dove troviamo
fratelli, dove possiamo parlare anche con quelli che non la pensano come noi,
anche con quelli che hanno un’altra fede, che non hanno la stessa fede. Tutti
hanno qualcosa in comune con noi: sono immagini di Dio, sono figli di Dio.
Andare all’incontro con tutti, senza negoziare la nostra appartenenza.»
[Papa Francesco, alla Veglia di Pentecoste 2013]
·
«Che cosa
significa “perdere la vita per causa di Gesù”? Questo può avvenire in due modi:
esplicitamente confessando la fede o implicitamente difendendo la verità… A voi
giovani dico: Non abbiate paura di andare controcorrente, quando
ci vogliono rubare la speranza, quando ci propongono questi valori che sono
avariati;… questi valori ci fanno male. Dobbiamo andare controcorrente! E voi
giovani, siate i primi: Andate controcorrente e abbiate questa fierezza
di andare proprio controcorrente. Avanti, siate coraggiosi e andate
controcorrente! E siate fieri di farlo!... Non portiamo con noi questi valori
che sono avariati e che rovinano la vita, e tolgono la speranza.» [Angelus del
23 giugno 2013]
·
«Il vostro
compito è certamente tecnico e giuridico, e consiste nel proporre leggi,
nell’emendarle o anche nell’abrogarle». [Ai Parlamentari Francesi]
·
«Il fine
dell’economia e della politica, è proprio il servizio agli uomini, a cominciare
dai più poveri e i più deboli, ovunque essi si trovino, fosse anche il grembo
della loro madre» [A Cameron, in occasione del G8]
·
«Ma c’è
anche un’altra povertà! È la povertà spirituale dei nostri giorni, che riguarda
gravemente anche i Paesi considerati più ricchi. È quanto il mio predecessore,
il caro e venerato Benedetto XVI, chiama la “dittatura del relativismo”,
che lascia ognuno come misura di se stesso e mette in pericolo la convivenza
tra gli uomini.» (Al Corpo Diplomatico)
Una lettura non ideologica si rileva allora necessaria; quella stessa lettura che ci farebbe essere realizzatori coerenti del Concilio Vaticano II.
Ci attende un compito entusiasmante.
Fonte: CulturaCattolica.it
martedì 25 giugno 2013
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